Dove andremo a parare?
Quando si pensa a quei videogame ampiamente serializzati, il pensiero corre di solito ad alcuni nomi specifici che negli anni ci hanno letteralmente sommersi di uscite, talvolta anche doppie, data la buona scusa del mercato multi piattaforma. Tra questi è impossibile non pensare ad Assassin’s Creed, popolare brand Ubisoft che dopo un più che magnifico rilancio con il suo secondo capitolo (era l’inizio dell’indimenticata saga di Ezio Euditore) ha poi progressivamente puntato ad una serializzazione forsennata di cui questo Syndicate è l’ultimo (ma non ultimo) arrivato. Lo scorso anno non avevamo propriamente apprezzato l’uscita del “francofono” Unity, minato – tra le varie – da un codice a dir poco penoso e fallato, artefice di una moltitudine di problemi tecnici, tali da aver fatto scuola… di memetica. Non solo, ammettiamo che è più o meno da AC III che il nostro amore per il brand è andato progressivamente scemando, complice una certa ripetitività e l’evidenza (almeno a nostro dire) di un bacino di idee per la serie che sia narrativamente, che ludicamente, si sono andate rapidamente ad esaurire. Con queste premesse, e con la promessa da parte di Ubisoft di concentrarsi di più sul proprio gioco (non ultimo cannando definitivamente il multiplayer online!) ci approcciamo a Syndicate con ben più di un dubbio consci che, bene che ci dica, sarà l’ennesimo viaggetto nella storia con cambio di personaggi e location. E chiariamolo subito, qui in premessa: è così. Non c’è nessuna rivelazione/rivoluzione. C’è qualche aggiunta e forse poco di più, tali da costruire sicuramente un gioco divertente e apprezzabile, ma a nostro dire nettamente agli antipodi del concetto di “masterpiece”. Vediamo il perché.
God bless the queen
Ambientato a metà del 1800 a Londra (e dunque, nella celeberrima Età Vittoriana che fa anche da sfondo a innumerevoli opere della cultura steampunk), Assassin’s Creed Syndicate narra di uno stralcio della vita di due maestri assassini del tempo, i gemelli Jacob e Evie Frye, due assassini (all’inizio della storia poco più che novizi) che a causa di un desiderio intrinseco, più che di una necessità ideologica (almeno all’inizio) si trasferiranno nei quartieri londinesi per trovare la propria dimensione all’interno del Credo. Governata dalla Regina Vittoria, ma in realtà interamente gestita e manipolata dal Gran Maestro templare Crawford Starrick, la Londra di Syndicate racconta dell’ennesima lotta di quartiere tra assassini e templari, in un contesto in cui l’allegoria della “lotta di quartiere” assume una dimensione assolutamente concreta, visto il continuo scontro tra la banda di strada di Starricks, i Blighters, e i ragazzi messi in piedi da Jacob e Evie, i Rooks. E così con quello che è un feeling concettuale che pare richiamare in modo evidente ad opere come “Gangs of New York”, Syndicate riporta in campo il concetto di “setta” in un videogame che da diversi anni ha perso gran parte di quel suo originario e intrigante DNA. La trama, su cui invero non c’è molto da spoilerare salvo un ultimo, interessante, cliffangher, procede su binari ormai sin troppo noti, in cui l’assassino di turno se le dà di santa ragione con la locale cellula templare, generalmente alla caccia di un frutto dell’eden o di chissà quale nuovo e misterioso manufatto importantissimo di cui, per qualche motivo, ad oggi non si era mai parlato. E in effetti così è, e Syndicate non propone altro che la stessa solfa narrativa, occasionalmente infarcita di personaggi storici più o meno noti, a seconda di quelle che possono essere le vostre conoscenze storiche e letterarie.
In questo calderone di zuppa tiepida quel tanto da sembrare riscaldata, Ubisoft ha però inserito un paio di guizzi che sebbene si esauriscano in poco, riescono comunque a dare a questo Syndicate una dignità che, tanto per dirne una, non avevamo riconosciuto nel suo “fratello” dello scorso anno. La scelta, ad esempio, di demandare la narrazione a due diversi punti di vista, benché molto limitati, è quanto meno interessante. L’idea di un doppio protagonista è in effetti un po’ più stimolante della recente media di uscite del brand, a maggior ragione di una caratterizzazione che sembra finalmente volersi liberare di ogni fantasma del passato (parliamo ovviamente di Ezio) per dare ai nuovi volti della saga una propria dimensione, a prescindere che poi essa non sia sempre credibile… ma forse questa è pignoleria. Evie, tanto per dirne una, è certamente un personaggio molto affascinante e ben scritto, perfetto per essere agli antipodi del più irruento e meno ponderato Jacob. I gemelli Frye, in tal senso, danno alla storia un pizzico di brio in più seppure, e ci spiace constatarlo, anche a questa tornata le vicissitudini storiche perdono ulteriormente del loro “senso” per trasformarsi in una mera scampagnata a spasso nel tempo. Con la precedente uscita, in effetti, constatavamo proprio questo: uno squilibrio tra quella che è la vera trama di Assassin’s Creed (il presente, con le sue divinità digitali, il sacrificio di Desmons, ecc…) e il passato, che è ormai semplicemente relegato ad una lunga caccia al tesoro, priva di particolari guizzi e con un piglio che è demandato direttamente al contesto storico e nulla più. Siamo lontanissimi, ad esempio, dalla bellissima costruzione narrativa che si era avuta nelle avventure di Ezio e nel senso del suo viaggio, e forse ciò è anche logico, perché da quando il mistero della Prima Civiltà è stato svelato, quel senso di meraviglia e quel bisogno di scoperta, sono un po’ andati a mancare. Anche il cliffangher di fine partita di cui abbiamo già parlato, è un po’ fine a sé stesso e sembra essere stato messo lì più per necessità di vendita (del prossimo gioco ovviamente) che per una vera necessità in termini di narrazione, in quanto né si lega a quanto avete appena giocato, né è sufficiente a costruire qualcosa che permetta di definire il nuovo corso di Assassin’s Creed “a prova di futuro”.
La trama nel presente, infine, è ormai ai suoi minimi storici. Ubisoft ha infatti messo le avventure degli assassini nel presente nelle mani di 4 o 5 video in computer grafica, interamente concentrati sul reperimento dell’artefatto che, allo stesso modo, Evie Frye sta cercando nel suo tempo. Come detto nulla di nuovo, ma se prima vi era una qualche forma di pigra interattività, ora ci è rimasta solo la pigrizia… un fattore che, per altro, avevamo già aspramente criticato in Unity. La domanda è: ma Assassin’s Creed dove sta andando a parare? Di che cosa vorrebbe parlare? Il punto è che certe decisioni sembrano le medesime prese in certe scadenti serie televisive in cui, rimasti nel panico più totale, gli sceneggiatori prendono decisioni assurde, mandando a quel paese buona parte di quanto si era costruito in passato e che, paradossalmente, ha per i fan più valore dei progetti presenti. Non stiamo dicendo che dovrebbero copia/incollare quello che era stato fatto con Ezio, ma è amaro constatare come, quanto detto in merito nel nostro articolo sulle “imperdonabili 8 cazzate di Unity” sia valido ancora oggi. Il gioco, infine, dura poco più di 15 ore, segnando un record di brevità per una serie che fino ad oggi, si è dimostrata invece sempre molto prolissa. Non che la cosa comporti particolari pregi o difetti, semplicemente è un AC breve, la cui lunghezza (trama esclusa) va di pari passo alla vostra volontà di completare i compiti secondari. Postilla di fine paragrafo: Crawford Starrick è un buon villain, scritto forse molto meglio di tutti i villain recenti della serie e padrone anche di un certo “physique du role”. Peccato che, come da tradizione per la serie, ogni approfondimento, ogni motivazione, ogni tensione, sia glissata in “sono un un cattivo e voglio dominare il mondo”, il che fa cascare un pochino le palle dopo alcuni momenti di ottima interpretazione. Ma giusto un pochino…
“Colui che a Londra può dominare la tavola…”
Parlando del gioco in sé, è doveroso chiarire che Syndicate non si propone di presentare nessun nuovo modello ludico per la serie, ed anzi il cuore del gioco è saldamente identico a quello degli albori salvo per l’introduzione di un nuovo gadget di cui, in effetti, si è sempre sentita una certa mancanza. Con l’Età Vittoriana e la sua meccanica industriosità arriva dunque il “lancia corda”, meglio noto come “rampino”, uno strumento che sparando una corda verso un cornicione ci permette di raggiungere rapidamente un punto sopraelevato… si, come Batman. Il lanciacorda risponde in realtà ad una richiesta evidente, che è poi la seconda grande introduzione del brand: strade tanto grandi da poter ospitare il traffico di carrozze che anima Londra, e che ovviamente possiamo rubare, nello stile di un antesignano di GTA. Le carrozze, la cui guida è piuttosto arcade (avreste mai detto che una carrozza può sgommare a tutta velocità in una curva a gomito? Ubisoft si), hanno comportato un enorme allargamento delle strade, con una distanza tra i palazzi certamente più realistica che in passato. Ebbene il lanciacorda, con la possibilità di usare la corda sia in verticale che in orizzontale, risponde a questa necessità, permettendoci una esplorazione sempre molto rapida e con pochi scivoloni. Certo, la funzionalità non è proprio all’altezza di prodotti come Batman Arkham, poiché esso richiede una distanza davvero minima da un palazzo affinché compaia il tasto di aggancio, rendendo forse la pratica macchinosa; tuttavia la sua funzionalità è lodevole ed il suo uso, unito alla rivisitazione del sistema di corsa e scalata mutuato da Unity, rende il tutto molto fluido e divertente. Ovviamente, come potete intuire, in questa dinamica le lunghe scalate in parkour quasi non esistono più, poiché basta ora sparare una corda per arrivare a punti elevatissimi, tuttavia visto il level design sempre ben ponderato, non manca mai occasione di scalare o esplorare a piedi.
Tornando ai nostri gemelli, ed alla nostra città in pericolo: le missioni di gioco saranno divise in sole 9 sequenze (più un’altra, ambientata altrove… ma non spoileriamo) segnando, come detto, un record verso il basso per la serie. In queste missioni ovviamente si rispecchierà parte della dualità dei personaggi che, date e loro attitudini, si interfacceranno a personaggi e stili di gioco diversi, uno più votato all’azione per Jacob, ed uno più silenzioso e ragionato per Evie. La cosa si traduce in due contesti diversi, con missioni per Jacob incentrate sull’omicidio e sulla guerra dei suoi Rooks con i Blighters, mentre ad Evie saranno affidate missioni più discrete, atte non di rado a risolvere alcuni dei casini involontariamente fatti dal fratello. Il problema è che l’I.A. è così scema ed il gioco così facile che lavorare in silenzio è più una sfida con sé stessi che un obbligo imposto dal gioco (salvo dove non sia esplicitamente richiesto) ed è possibile portare avanti quasi tutto il gioco semplicemente ammazzando qualunque nemico ci si pari davanti rendendo tutto estremamente facile. Unici ostacoli in tal senso sono esclusivamente i livelli dei nemici, prestabiliti per avere sempre una precisa difficoltà a seconda della zona di interesse, a cui si farà fronte salendo a nostra volta di livello ed acquistando le varie abilità atte a migliorare il nostro campionario. Gli upgrade acquistabili con appositi punti per i due gemelli saranno poi, in parte, dedicate proprio alle attitudini di cui sopra, con 3 skill uniche per ogni gemello, e le altre a disposizione del giocatore che potrà tranquillamente arrivare a fine gioco conquistandole tutte. Per il resto, la dualità dei gemelli è più un vezzo ed un escamotage narrativo che una vera e propria differenza. I due sono infatti totalmente sovrapponibili, ed anche le loro abilità uniche non cambiano poi di molto l’approccio al gioco. Infine, pur potendo scegliere quando giocare con uno o con l’altro personaggio, le missioni della trama principale saranno comunque in una sequenza lineare obbligandoci a cambiare il personaggio nel momento del bisogno. Per il resto, oltre alle ovvie missioni secondarie commissionateci da illustri personaggi storici (ed occhio perché se ne sblocca un altro a fine gioco!), ci saranno fondamentalmente 4 tipologie di missione atte più che altro alla riconquista di Londra (opzionale, ma praticamente fondamentale). Anche queste missioni sono commissionate da particolari personaggi, e possono aumentare la lealtà che questi alleati proveranno per noi. Tale lealtà, a cui sono assegnati dei punti per il completamento di ogni missione, ci permetterà poi di ottenere dei progetti speciali o delle risorse uniche, dandoci la possibilità di sbloccare il meglio per il nostro equipaggiamento. Un peccato che a questa lealtà non fosse legato anche qualche fattore più squisitamente ludico o narrativo (di fatto i personaggi collaboreranno leali o meno), tuttavia tali compiti si rivelano comunque fondamentali in termini di progressione del personaggio a cui, come per Unity, sono legati alcuni semplici parametri in stile GDR ed un campionario di vestiti accessori che manco Barbie Principessa del Castello. Dulcis in fundo, un problema di questo capitolo è la fondamentale mancanza di spettacolarità che rende le missioni tutte un po’ anonime e noiose. Non bastasse la mancanza di momenti scriptati o simili, il ritmo dell’azione è praticamente nullo e tutto si riduce ad una solfa che si esaurirà nel giro di poche ore, salvo alcuni – comunque poco encomiabili – guizzi e occasionalmente intervallata solo dai risvolti narrativi che, in ogni caso, non sono poi così memorabili.
I Ragazzi sono in giro
Tornando a parlare delle caratteristiche di Jacob e Evie, ricalcando l’idea di Unity (a sua volta “potenziamento” dell’idea delle cappe di Brotherhood), entrambi i gemelli potranno essere vestiti ed equipaggiati di tutto punto onde aumentare i propri parametri di attacco e furtività. Come detto, sia i gemelli che i nemici avranno poi un apposito livello, sino ad un massimo di 10, cui corrisponde anche un aumento dei parametri di attacco e difesa. Onde fronteggiare i nemici del livello giusto è dunque importantissimo tenersi al passo, tenendo soprattutto presente che i quartieri, come le missioni, sono associati proprio ad un livello consigliato il che, specialmente nella conquista dei quartieri, può rendere la sfida molto ostica. In tal senso le attività secondarie non vanno relegate alla fine del gioco ma andrebbero effettuate durante il proseguimento della storia, questo non solo perché con esse è possibile reperire molti oggetti utili al potenziamento, ma anche perché la riconquista dei quartieri ci permetterà di avere più Rooks in giro per la città, permettendoci di non avere troppi nemici tra i piedi, e di avere anche un gruppetto di alleati con cui andare a menare le mani. Infatti fino ad un massimo di 5 Rooks possono essere portati con noi in quasi tutte le missioni del gioco, rivelandosi utili sia per sconfiggere più semplicemente alcuni avamposti, sia per creare un po’ di diversivi. Anche i Rooks, infine, hanno le loro caratteristiche che, seppur non soggette a parametri o varie, possono contare su un bell’albero di abilità acquistabili con la moneta di gioco, con cui rendere i nostri “boys” decisamente più coriacei e letali. Anche armi, vestiti ed altri oggetti possono essere ovviamente acquistati, costruiti per mezzo del semplicissimo sistema di crafting, o potenziati, il tutto con la moneta in game che vive le stesse sorti del passato della serie. Alcune attività ci faranno fare soldi, l’acquisto di alcune abilità Rooks rimpinguerà le nostre casse e, in generale, pian piano diventeremo sempre più ricchi in quello che è un sistema che non pone vincoli alla crescita del giocatore che può, senza troppe difficoltà, potenziare al massimo sia i personaggi, che gli sgherri, che tutto il resto. Si segnala solo un miglior bilanciamento nelle meccaniche di guadagno che, salvo nel post endgame, non ci renderà mai così ricchi da poter avere tutto e subito.
“Londra è una moderna Babilonia”
Dal punto di vista estetico, Ubisoft ha fatto una scelta coraggiosa che, tuttavia, si può dire ben ripagata. Il team ha infatti effettuato un cospicuo passo indietro rispetto alla qualità tecnica raggiunta con Unity, memori di tutte le innumerevoli critiche, ed annesse problematiche, sono state aggirate in virtù di un prodotto meno performante ma più pulito. Un downgrade evidente a tutti sarà, ad esempio, quello relativo ai passanti che in Unity raggiungevano spesso un numero tale da impedire quasi di camminare per strada. La gente di Londra, invece, per quanto numerosa, è di sicuro presente con un numero minore di modelli cosicché ci si è potuti concentrare meglio sulla città e sul suo “funzionamento”, premesso comunque un impatto scenico veramente notevole e bellissimo. Magagne comunque ce ne sono, anche se tutto impallidisce dinanzi ad alcune scelte che sembrano proprio sbavature di programmazione. Tanto per dirne una, come se la deficienza artificiale dei PNG non fosse già abbastanza, capita non di rado che per influenza di programmazione proprio di quel difetto di I.A. alcuni modelli comincino a fare il cazzo che gli pare negli intermezzi (o alla fine) delle missioni. Ora, detta così non è forse chiarissima, pensate allora al seguente esempio: guidi una carrozza per una missione (e dunque, non perché hai scelto tu di guidarla, sia CHIARO!) ed arrivi al punto A, fai quel che devi, ammazzi chi di dovere e torni al punto di partenza dove, ti dice la missione, devi riprendere la carrozza e andare al punto B. Peccato che tu non trovi il cavallo per andare al punto B, ed il simbolo verde che normalmente ti indica il tuo obiettivo, lo vedi allontanarsi a velocità sostenuta verso una meta ignota. Che è successo? È successo che il tuo cavallo è impazzito, ed ha deciso di infrangere il codice della missione per andare a fare la sua routine in giro per la mappa. Ti tocca allora deviare dalla missione e improvvisare: rubi una carrozza e ti metti a inseguire la TUA carrozza, perché senza la tua missione non continua e dovresti fare tutto da capo dal checkpoint. Il bello è che questa situazione non è stata unica, e si è presentata in modi incredibili, con addirittura un omicidio storicamente non datato (e forse involontario) di Charles Dickens… ma magari ne parliamo un’altra volta. Il punto, insomma, è che spesso i modelli utili al gioco impazziscano e facciano quello che gli pare il che intacca non poco la fiducia che il gioco ci stava dando.
Comunque, tornando alle “cose belle”, ci sentiamo di dire che nonostante quella che è una performance minore, la Londra di Syndicate è certamente più intrigante e visivamente appagante della Parigi di Unity, complice un lavoro di costruzione che mescola, come è tipico del meltin’pot londinese, diversi ceti e culture, rendendo l’ambiente credibile e interessante da esplorare. I quartieri sono tutti ben caratterizzati e rappresentano in modo più che diginitoso la loro situazione sociale e culturale. Fatiscenza e pomposa bellezza, edifici popolari e decadenti che si susseguono al benessere aristocratico ed allo sfarzo regale di Buckingham Palace. Londra è insomma un continuo susseguirsi di ambienti diversi, ma omogenei, con un fascino tale che sembra di essere tornati ai lustri “nostrani” dei primi capitoli. Non solo, le strade sono ora ricche di particolari, simbolo dell’ormai rampante ricchezza dell’età industriale, e così cartelloni pubblicitari, manifesti, insegne, Londra si staglia quasi sempre con un panorama bellissimo, impreziosito poi dalle condizioni atmosferiche, che conferiscono al tutto un aspetto ancor più lodevole e realistico. Il comparto sonoro, poi, non è da meno. Le musiche composte da timpani e archi donano all’atmosfera un carattere ancor più immersivo,e gestiscono più che bene i ritmi dell’azione o dell’esplorazione, senza alcuna sbavatura. Buona anche la prova del doppiaggio, con un sync generalmente buono e giusto qualche scivolone in alcune scene comunque non fondamentali.
Un passo indietro…
Ma allora vi starete chiedendo il perché di questo voto, tutto sommato “basso” rispetto alle vostre aspettative ed a buona parte della stampa specializzata. Siamo onesti: Syndicate, come ormai da tempo per l’intera saga, è un compito diligente e fatto bene, ma è e resta un compito e basta. Non troviamo, infatti, nessun mordente in questo gioco e per quanto possa essere bellissimo girare per Londra, l’idea è che sia tutto un enorme luna park, accattivante, ma comunque limitato e fasullo. Infine, gran parte delle critiche mosse alla serie non sono state minimamente tenute in considerazione ed anzi, se possibile Syndicate offre anche meno che in passato. Ubisoft ci da l’idea di essersi concentrata solo sul piano tecnico, risolvendo quelle beghe che avevano obbligato la società a scusarsi con i giocatori appena un anno fa. Altri fattori non sono stati tenuti in considerazione e se, tutto sommato, vi sentite soddisfatti della trama (noi no, ma vabé), altre cose, come il sistema di combattimento, puzzano per miglia di fregatura. Si era detto “abbandoniamo le spade, e concentriamoci sulle risse per qualcosa di più adrenalinico”, ok ma se “adrenalinico” significa qualche finishing move scriptata, allora forse non parliamo la stessa lingua. A concludere un quadro non proprio allegro l’intelligenza artificiale, che a dispetto dell’ottimo level design risente ancora di più della propria idiozia. La “deficienza artificiale” dei nemici potrebbe fare scuola ed è assurdo che Ubisoft abbia un atteggiamento quasi del tutto disinteressato, di certo giustificato dalla volontà di tenere la difficoltà bassa, ed il gioco più accessibile possibile. Insomma, se la scatola è bellissima, tutto il resto un po’ di meno.