Neunundneunzig Luftballons
Sulle note di 99 Luftballons, canzone di Nena simbolo dell’abbattimento del muro di Berlino, David Leitch ci porta nella capitale tedesca nell’ormai lontano 1989, presentandoci una Charlize Theron più bella e feroce che mai.
Atomica Bionda (Atomic Blonde) è l’adattamento cinematografico della graphic novel The Coldest City (2012) scritta da Antony Johnston e illustrata da Sam Hart, e sarà accolto dalle sale italiane a partire dal 17 agosto.
Sono tanti i punti di forza di quest’opera che si manifesta in realtà come un qualcosa di estremamente particolare.
Per analizzarla tuttavia partiamo dalle fondamenta, che in questo caso hanno un nome e un cognome: il già citato David Leicth.
Si tratta – per coloro che ignorano la sua identità – del co-regista di John Wick, nel quale affiancò appunto Chad Stahelski, che poi riprese in mano le redini del secondo capitolo in solitaria, con risultati non proprio soddisfacenti.
Leicht invece, al primo lungometraggio senza compagnia, si dimostra cineasta vero, portando sullo schermo un’opera frenetica ed intensa che ha il grande pregio di riuscire a mescolare con naturalezza action e spy in una sorta di mix (migliorato) tra Salt e La Talpa, con Charlize Theron che però resta stupenda come e più della Jolie (pure se piena di lividi) e come agente segreto non sfigura assolutamente, anzi.
Chi ha seguito un po’ di pre-produzione ha potuto notare il lavoro effettuato dall’attrice per rendere il suo personaggio il più veritiero possibile, con tanto di energici allenamenti di arti marziali e qualche dente rotto. Il risultato è eccellente, ma di certo non scopriamo oggi le molteplici qualità della meravigliosa creatura del Sudafrica che qui combina in modo egregio sensualità ad action puro, in ogni circostanza, da un combattimento corpo a corpo, ai suoi tuffi nella vasca piena di cubetti di ghiaccio fino ad una scena di sesso saffico che entra di diritto tra i migliori momenti hot di sempre.
Il vero merito di Atomica Bionda, tuttavia, è il suo saper prendere la sostanza dall’estetica in cui Leicth immerge interamente il film, senza snaturarne l’essenza ma anzi aiutandolo così a galleggiare e ad aumentare la sua solidità. Nulla diventa caricaturale o macchiettistico ma si plasma elegantemente in funzione del plot e del suo flusso, a partire da un personaggio bislacco ed eccentrico come il David Percival di James McAvoy per finire a tutto ciò che fa da contorno al film. Le stesse ambientazioni, con i due volti di Berlino così curati e così smodati nella maniera in cui vengono rappresentati, restano sempre in bilico tra una visione deformante ed eccessiva ed una componente allegorica, in un modo che non possiamo che apprezzare e gustarci con tutti i sensi, sapendo che ad ogni scelta stilistica corrisponde una motivazione narrativa, e ci ritroviamo a guardare stupefatti una sorta di videoclip infinito.
Il trionfo dell’estetica riesce a colpire anche laddove, solitamente, questo elemento fallisce e si schianta contro il rigido muro del giudizio critico, ovvero la sceneggiatura. Nonostante la componente spy sia ben inserita all’interno della struttura narrativa, alcuni passaggi risultano esageratamente complessi però al tempo stesso ci sorprende il modo in cui siano funzionali all’armonia e all’apparenza sui cui Leicht tesse parte della sua tela. Non che sia un’opera puramente effimera, altrimenti non staremo qui a rendere tutti questi omaggi, ma – come detto – è incredibile il modo in cui si riesce a dar equilibrio a quei punti in cui traspare un po’ di disordine.
C’è sempre qualcosa, che sia una canzone assolutamente al posto giusto al momento giusto, o una sequenza di incantevole action, o più semplicemente la bionda atomica che si abbassa un po’ le vesti, che ti fa dire: “wow!”.
A proposito di canzoni, queste rappresentano davvero uno dei punti cardine dell’adattamento di Leicth. L’atmosfera di quel particolare periodo ci viene accuratamente restituita anche tramite l’utilizzo di una soundtrack studiata nel dettaglio, con cambi repentini di traccia e scelte mai banali e sempre strabilianti, tramite midley indovinati e slow motion scrupolosi.
Charlize Theron è la wonder woman di cui il cinema ha assolutamente bisogno, e in poco meno di due ore prende a calci tutti gli stereotipi ed i trascorsi di ruoli simili affidati a donne, agguantando tra le mani un film e trascinandolo, magari, al punto di farlo diventare un franchise. Le indiscrezioni ci sono, le nostre speranze anche.
Verdetto:
Atomica Bionda (Atomic Blonde) è l’adattamento cinematografico della graphic novel The Coldest City (2012) scritta da Antony Johnston e illustrata da Sam Hart.
L’opera è diretta da David Leicth, che si dimostra abile cineasta al suo primo lungometraggio in solitaria (dopo aver affianco Chad Stahelski nel primo John Wick), mescolando abilmente la componente spy con l’action pura e cruda, affidando a Charlize Theron un ruolo per nulla facile e banale ma in cui l’attrice dimostra, ancora una volta, il suo assoluto valore.
Tra calci e pugni e sensualità da vendere, la meravigliosa creatura del Sudafrica prende in mano le redini di un film che – oltre ad una buona struttura – rappresenta il vero trionfo dell’estetica, grazie a scelte sempre perfettamente indovinate, che sia il sapiente utilizzo della soundtrack o una favolosa scazzottata. Il vero merito di Atomica Bionda, consiste pertanto nel suo saper prendere la sostanza dall’estetica in cui Leicth immerge interamente il film, senza snaturarne l’essenza ma anzi aiutandolo così a galleggiare e ad aumentare la sua solidità.
Non ci resta che augurarci un successo al box office, per sperare in un secondo capitolo.