Action-Comedy con la musica nelle orecchie
L’eccentrico Edgar Wright torna dietro la macchina da presa per dirigere Baby Driver, un’opera assolutamente nelle corde del regista britannico e che vede il giovane e talentuoso Ansel Elgort nei panni del protagonista, affiancato da mostri sacri come Kevin Spacey e Jamie Foxx, ma anche da comprimari d’eccezione come Jon Hamm e Jon Bernthal, Elisa Gonzalez e la sua “Bonnie”, ovvero Lily James.
L’action-comedy sarà proiettato nelle nostre sale a partire dal prossimo 7 settembre.
All you need is one killer track
L’abbiamo definito action-comedy, bislacco connubio di genere che sembra un ossimoro ma che in realtà altro non è che un evoluzione dello stile di E.Wright, re dello humour, un elemento al quale non rinuncia mai poiché sa di essere uno dei più bravi sulla piazza a saperlo utilizzare.
Dopo la Trilogia del Cornetto e Scott Pilgrim vs The World infatti, il regista alza l’asticella e si cimenta in un action di cui il banalotto sottotitolo italiano (Il Genio della fuga) ha in realtà il compito di spiegarci brevemente le sfumature tipiche di Wright, per certi versi accentuate e per altre attenuate da un genere finora quasi sconosciuto al cineasta, se non forse per Hot Fuzz, che tra tutti più si avvicina a Baby Driver.
Qui Baby è giovane pilota che deve saldare un debito con un grande boss del crimine, Doc (Kevin Spacey), e si trova pertanto costretto a mettere a disposizione della mala le proprie eccezionali doti di guida, stando al volante in una serie di rapine, a fianco di personaggi stravaganti interpretati da coloro che abbiamo citato in apertura. Quando però il giovane Baby si innamorerà di Debora, cercherà in tutti i modi di uscire da quella pericolosa vita che non ha mai sentito come sua.
Il suo personaggio è l’elemento centrale dell’opera. Da piccolo, a causa di un terribile incidente che ha avuto gravi conseguenze nella sua vita familiare, ha riportato un fastidioso acufene che cerca di coprire con la musica, ed è per questo che Baby non fa altro che indossare cuffiette, vivendo una vera e propria ossessione per i suoi ipod e muovendosi sempre a ritmo, come in una sorta di musical, e come se fosse perennemente in un film (ops), accompagnato da una costante colonna sonora scelta appositamente da lui.
L’inizio di Baby Driver infatti ci lascia davvero col sorriso, mentre notiamo il ragazzo aggirarsi per le vie della città muovendosi al ritmo delle note trasmesse dal suo lettore mp3, o facendo schizzar via la macchina a seconda del tipo di traccia selezionata. Sublime la scena (non spoilero nulla: è sul trailer n.d.R.) in cui Baby chiede ai compagni di aspettare ad uscire dalla macchina per andare a fare un “colpo”, perché deve prima riavvire una traccia.
In un certo senso non possiamo negare che il “driver” di Gosling debba aver ispirato Wright e, conseguentemente, il suo protagonista Elgort. Sono molti i richiami tra i due personaggi, così uguali e così diversi. Entrambi parlano poco; e se a Gosling basta uno sguardo, grazie alla sua incredibile capacità di comunicare con le espressioni del viso, Baby deve metterci tutto il suo corpo e le sue movenze per poter competere. L’abilità alla guida è diversa ma ugualmente eccezionale, e nonostante la totale diversità delle due opere, per trama, tipologia e tutto il resto, l’importanza del protagonista al volante e della vettura in sé è un punto cardine per entrambi i film. Altro punto comune è la musica. Drive di W.Refn sguazza in una soundtrack che culla lo spettatore in un’atmosfera noir, qui invece la musica diventa un elemento attivo della pellicola, senza il quale non ci sarebbe nessun Baby e nessun Driver.
Per fortuna invece non ne abbiamo dovuto fare a meno, e soprattutto non ne ha dovuto fare a meno Edgar Wright, che punta molto sul suo protagonista, il quale compare praticamente sempre sullo schermo, danzando insieme alla sua telecamera.
Baby Driver è infatti anche un esercizio stilistico del regista, che è ben consapevole delle sue doti dietro la macchina da presa e a volte si lascia prendere (forse) un po’ troppo la mano andando appresso, pedissequamente, ai movimenti di Elgort, donandoci inquadrature sempre frenetiche, senza mai una sosta. Gli amanti del suo cinema sono abituati a questo tipo di regia, ma probabilmente stavolta Wright si è lasciato andare ad eccessivi virtuosismi, che possiamo tuttavia perdonargli grazie ad una seconda parte del film in cui questa danzante frenesia lascia il posto a corse adrenaliniche sia a piedi che al volante. Le sequenze dell’ultima rapina dimostrano, ancora una volta, la vera abilità del regista, con tinte action caotiche allo stato puro, ma sempre tremendamente ordinate.
Molto interessante anche l’analisi dei personaggi. Oltre al già citato protagonista Baby, troviamo una crew d’eccellenza. Kevin Spacey è un po’ la bellissima macchietta di se stesso, unendo parte dei suoi riusciti villain in un modo che – a proposito di musica – farà senza dubbio esaltare Caparezza (and the winner is… Kevin Spacey!); ma qualche parola di elogio va spesa anche per Jamie Foxx, che sembra l’evoluzione cazzuta del suo Dean “Fottimadre” Jones di Come ammazzare il capo… e vivere felici. L’anello debole è forse costituito da Jon Hamm, non per la sua perfomance, che a tratti è davvero efficace, né per il personaggio in sé, quanto per il modo in cui Wright struttura su di lui il finale, rendendolo troppo banale per un film – appunto – di Wright.
Verdetto:
Baby Driver è molte cose. Il connubio musica-cinema è il quid che esalta per il modo in cui Wright l’ha pensato e messo sullo schermo. Alcune sequenze, come quella iniziale e quelle finali, sono al cardiopalma e sanno far divertire lo spettatore, ma anche e soprattutto dimostrano le brillanti doti del regista, che bilancia il tipo di sequenza con la corrispettiva traccia di sottofondo, danzando insieme agli attori con la telecamera (forse troppo).
Il cast in alcuni frangenti ammicca volutamente a personaggi già visti sullo schermo, ma sempre nel modo tremendamente autoriale di Wright, che resta senza dubbio uno di quelli che ha – ed avrà a lungo – un seguito di aficionados che amano incondizionatamente i suoi lavori ed il suo stile. Del resto, dopo la Trilogia del Cornetto, dopo quel capolavoro che è Scott Pilgrim vs The World, e – ora possiamo dirlo – dopo Baby Driver, non potrebbe essere altrimenti.