Come definire la visione di Baby Reindeer? Strana, senza alcun dubbio, ma etichettarla con un genere non è affatto facile. Comedy drama, direbbero gli americani. Ma oltre alla commedia drammatica c’è di più, c’è un intrattenimento costante tipico delle serie da binge watching, abbinato tuttavia ad una sorta di horror bordeline alla Misery non deve morire. In effetti delle somiglianze tra la Annie Wilkes di Kathy Bates e la Martha Scott di Jessica Gunning ci sono.
Ma al di là di tutto questo, ciò che più è agghiacciante non è nemmeno tanto il fatto che si tratti di una storia vera. O meglio, questo è senz’altro agghiacciante ma lo supera il fatto che il protagonista, nonché autore della miniserie, Richard Gadd è anche la reale vittima di questa “true story”.
Per chi non sappia di cosa stiamo parlando, in questa riproposizione dell’orrore vissuto da Richard, egli veste i panni di Donny, un barista e aspirante comico sulla trentina che diventa improvvisamente vittima di stalking quando nel pub in cui lavora conosce Martha, la quale inizia a mandargli centinaia di messaggi ed email ogni giorno. Le molestie psicofisiche della donna fanno inoltre tornare a galla vecchi ricordi di altri soprusi subiti dall’uomo anni prima.
Se all’inizio ci sembra di assistere a una nuova versione di You, insomma, col passare delle puntate ci rendiamo conto del fatto che il prodotto che abbiamo davanti è qualcosa di incredibilmente diverso, ben più complesso e non legato soltanto all’intrattenimento.
Le infinite e-mail che terminano con “inviato dal mio iPhone”, sebbene Martha non lo possegga affatto, sono il primo sintomo evidente che in lei ci sia qualcosa di strano, e Donny lo comprenderà bene, anche indagando un po’ nell’oscuro e inquietante passato della donna, per la quale in alcuni frangenti prova anche compassione.
E a proposito di horror, Baby Reindeer sembra girato proprio come un film di questo tipo. Tra primi piani e angolazioni inquietanti e un’atmosfera disturbante, questo “show” riesce a essere spaventoso pur mantenendo i canoni del comedy drama; come del resto lo stesso nome baby reindeer sembra suggerire.
Ma c’è tanto nel corso delle 7 puntate di questa miniserie. E forse Gadd avrebbe voluto inserirne di più.
Dalla vergogna, il disprezzo di sé e quello degli altri versi di lui, la malattia mentale, la solitudine, lo stalking, le droghe, la speranza e la disperazione; tante sottotrame estremamente sofisticate e complesse, comprese quelle legate a certe dinamiche appartenenti al mondo dello spettacolo. E soprattutto c’è il dolore, quello intenso e costante vissuto dal protagonista che a un certo punto arriva a pensare che “di certo, da qui in poi non potrà andare peggio”. Anche se la vita ci insegna che al peggio non c’è mai fine.
Baby Reindeer si attesta come una piacevole sorpresa, un prodotto che sembra dare continuità al recentissimo level up di Netflix che sta introducendo, pian piano, film e serie di una qualità superiore ai suoi standard, nella speranza che continui così.