Ogni anno debuttano innumerevoli mangaka ma quanti di questi possono dire di vivere grazie ai manga?
In Giappone, l’editoria dedicata ai fumetti funziona in maniera molto diversa dalla nostra, sotto ogni punto di vista. Considerando il gran numero di manga disponibili (basta farsi un giro su un qualsiasi sito di scan o sul più recente servizio fornito da Shueisha, Manga Plus), è chiaro che gli editori puntano di più alla quantità che alla qualità. Quest’ultima, infatti, non è certo facile da ottenere e soprattutto mantenere, principalmente a causa dei ritmi che un mangaka deve sopportare. Se osserviamo alcune delle riviste più famose (ad esempio Weekly Shonen Jump e suoi derivati, Betsucomi, Ribon, Margaret, Cookie), si capisce subito che per raggiungere un tale volume di pubblicazioni ci sono da rispettare determinati parametri, primo fra tutti la consegna mensile, se non addirittura settimanale.
Ci sono, tuttavia, fattori che non sono dipendenti dall’autore che non fanno che aumentare la pressione: opinioni dei lettori, richieste della casa editrice, disponibilità degli assistenti e molto altro. Una tale esperienza lavorativa, quindi, non poteva non diventare fonte di ispirazione per alcuni dei migliori mangaka in circolazione, che in questo modo traggono qualcosa di positivo dai loro sforzi.
Diventare un mangaka
Ai più verrà subito in mente Bakuman, l’opera di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata che narra la loro professione, in maniera quasi autobiografica ma un bel po’ più romanzata. Uscito in Italia fra il 2010 e il 2013, questa serie ci mostra da vicino il lavoro di un mangaka, dal suo debutto agli incontri con l’editor, fino alla serializzazione.
Pur mantenendo una vena abbastanza rilassata e a tratti comica, in Bakuman possiamo cogliere da subito le difficoltà maggiori per un aspirante mangaka. Solamente il poter pubblicare una storia autoconclusiva è un risultato molto difficile da ottenere, a maggior ragione una serie con cadenza regolare. Questo perché, almeno per quanto riguarda Jump (la rivista su cui pubblicano gli stessi Ohba e Obata), c’è prima bisogno di testare i lettori, verificando se racconto e stile degli autori sono di loro gradimento.
Questo ci porta a un altro elemento fondamentale di queste riviste, ovvero i sondaggi. Con una semplice schedina compilabile, i lettori possono esprimere le loro preferenze sui vari titoli serializzati. Non solo, ci sono anche sondaggi sul personaggio più popolare di un manga in particolare, cosa che i mangaka sfruttano per dare loro più spazio e per evolverne il background. I sondaggi sono quindi strumenti fondamentali e dal potere piuttosto importante, poiché capaci addirittura di condizionare il prosieguo di una serie.
In Bakuman vengono spesso tirati in ballo nelle riflessioni dei personaggi e, poiché è una sorta di meta-manga, naturalmente sono stati compiuti dei sondaggi anche su di loro e le opere comparse nel fumetto. A giudicare dai numeri di votanti e dalla lunghezza del manga, si può dire che Bakuman abbia riscosso un buon successo.
Vivere da mangaka
Ma cosa serve per poter dire di vivere grazie ai manga? Il succitato Bakuman si può dire abbia tutti i requisiti: innanzitutto è scritto da due autori che già hanno saputo produrre un’opera eccezionale come Death Note, che in Bakuman stesso viene accostato ad altre colonne portanti di Jump, come Naruto, One Piece e molti altri. La fama di un autore, perciò, automaticamente lo precede e determina una buona partenza per la sua nuova opera. Tuttavia, ciò non è davvero sufficiente. Sempre in Bakuman (ma è possibile constatare ciò anche nei free talk degli autori, che troviamo pure sui volumi in italiano), si capisce chiaramente che c’è un traguardo in particolare che, se raggiunto, porta su un altro livello l’opera: ottenere la produzione di un anime.
Tale livello di popolarità, come già detto, è difficile da ottenere, vista l’enorme quantità di manga pubblicati ogni anno e Ohba e Obata non sono i soli a saperlo bene.
Normalmente si diventa mangaka solo dopo un lungo percorso fatto di gavetta, rifiuti e partecipazioni a concorsi nei quali viene offerta la pubblicazione su rivista. Tuttavia, c’è chi lo diventa quasi per caso e riesce poi a far carriera. È il caso di Akiko Higashimura, che iniziò come semplice studentessa di belle arti ma, non riuscendo a superare gli esami d’ammissione, si convinse sempre di più a perseguire la strada dei manga. Nonostante tale decisione, la Higashimura non prese molto sul serio gli studi e nemmeno il proprio percorso di mangaka.
Come ci racconta in Disegna! (Kakukaku Shikajika) attraverso il rapporto controverso col suo maestro, al contrario di molti altri aspiranti colleghi lei si addormentava spesso sugli allori, preferendo godersi i piaceri della gioventù e ricevendo per questo rimproveri. Il suo manga dimostra quanto la nascita di un artista possa essere differente e originarsi dalle motivazioni più disparate e, in questo caso, molto personali.
Lavorare da casa
Il lavoro del mangaka si svolge principalmente in casa sua o in un ufficio affittato appositamente per questo scopo, qualora possa permetterselo. Ciò significa vivere quasi completamente isolato, visti i tempi strettissimi di consegna, incontrando solamente famiglia, assistenti e editor.
Tali condizioni portano il mangaka a doversi arrangiare da solo in tutto, specialmente durante il lavoro notturno. Lo sa bene l’illustratore di Eyeshield 21 e One Punch Man, Yusuke Murata, che ad un certo punto ha raccolto in un volumetto le proprie ricette salva-vita. Facili e veloci da preparare, così da non perdere il treno del processo creativo ancora in corso.
In Henshin, la raccolta di racconti brevi di Ken Niimura, sono infatti inseriti alcuni stralci della sua vita da mangaka: in particolare, nel racconto Salieri, Niimura esprime in maniera autoironica la fatica fatta per trovare un’idea originale da poter sviluppare e quanto sia difficile riuscire a farsi venire in mente qualcosa prima che ci pensi qualcun altro. Come Akiko Higashimura, anche Niimura ha voluto ispirarsi direttamente al proprio vissuto e naturalmente non sono gli unici.
Un altro recentissimo esempio è rappresentato dal manga di Moyoco Anno, Insufficient Direction, nel quale la mangaka racconta la sua quotidianità col marito Hideaki Anno, regista di Evangelion.
In particolare, in Insufficient Direction apprendiamo quanto “malsano” possa diventare questo stile di vita: Hideaki Anno è un otaku di vecchia generazione, con alcune abitudini che la moglie esagera volutamente nel proprio manga ma che sottolineano il loro vivere in un mondo a parte, fatto di manga, opening di anime e storie fantastiche. Il che porta spesso a orari e gestione dei tempi assurdi.
Tutti sanno, ad esempio, che il maestro Oda, autore di One Piece, dorme solo 3 o 4 ore a notte. In questo caso stiamo parlando di un autore affermato, con una serie tra le più longeve di sempre, che può permettersi di avere numerosi assistenti. Eppure, sembra che la vita dei mangaka si consumi tutta lì, tra tavole, pennini e inchiostro.
Il declino di un mangaka
Stress, depressione, sfiducia e demotivazione. Queste sono alcune delle cause che portano alcuni mangaka a chiedersi se valga la pena continuare. Hideo Kazuma, autore del celeberrimo Pollon e di Nanà Supergirl, abbandonò tutto e tutti, diventando un senzatetto ma liberandosi così di ogni obbligo. Da quest’esperienza estrema, acuita dall’abuso di alcol e da un tentato suicidio, Kazuma ha tratto il Diario della mia scomparsa, nel quale racconta la propria sparizione dalla scena manga e non solo, diventando quello che viene considerato un “peso per la società”.
In verità, così come viene fatto notare in Bakuman e altri manga non legati a questo mestiere, il lavoro di mangaka non è visto di buon occhio. Non tanto perché si tratta di fare fumetti, come potremmo pensare ignorantemente qui in Italia, dove tale cultura viene stranamente denigrata; semmai molti ritengono che non sia un lavoro sicuro, poiché la fama va e viene, così come le idee. Lo vediamo anche in Reiraku di Inio Asano.
Asano è conosciuto per opere come Buonanotte PunPun e Dead Dead Demon’s Dededededestruction (attualmente in corso), Reiraku è solo una delle sue opere più recenti. In Reiraku, una storia autoconclusiva, Asano racconta la crisi di un mangaka che si trova ad aver appena concluso un’opera di successo e deve sfornarne al più presto un’altra. I lettori lo chiedono a gran voce, anche attraverso i social, dietro i quali il protagonista nasconde angoscia, disillusione e rabbia.
Il divorzio dalla moglie (editor nella stessa casa editrice) e il successivo incontro con una ragazza dai tratti molto particolari, lo porteranno in qualche modo a schiarirsi le idee, tornando quindi sui propri passi. Forse Asano necessitava di un cambiamento: per scrivere Reiraku, abbandonò temporaneamente Dead Dead Demon’s Dededededestruction e sembra che anche il suo protagonista ne avesse bisogno, dato che si stava lasciando cadere in un abisso di oscurità. Può darsi che Asano stesso abbia vissuto tale sconforto e lo abbia infuso quindi in Reiraku.
La maestria di Asano nel rappresentare sensazioni dolorose in maniera realistica, soprattutto grazie al suo tratto distintivo, fa sì che Reiraku sia un perfetto esempio (insieme a tutti quelli succitati) di cosa possa comportare l’essere un mangaka.
Fama, apprezzamenti, qualche aneddoto divertente e talvolta addirittura fascino e soldi, ma anche tristezza, infelicità e disagio emotivo che potrebbero non andarsene mai.