Banane in Pigiama fece il suo esordio su RAI 2 negli anni Novanta. Visto adesso, si trasforma in uno show completamente folle e surreale
Youtube, Rai Yoyo, DeAKids, Nick Jr, Netflix, Amazon. La lista potrebbe durare all’infinito. Chi ha un bambino, un fratello, un cugino, un figlio di amici che viene smollato per permettere ai genitori di andarsi a prendere uno spritz in tranquillità, ha una galassia sterminata di contenuti da offrire, con moderazione, nei momenti in cui nulla sembra funzionare come anti pianto. Se vi siete trovati in questa situazione, già sapete la conclusione di questi apparentemente tragici momenti. Improbabili video nei quali per trenta minuti vengono mostrati giocattoli, principalmente Lego e Playmobil, che rapiscono lo sguardo di ogni bambino nato negli ultimi cinque anni. Basta fare un’analisi delle views di questi veri e propri inni al capitalismo per capire la strana tendenza.
Se il 2022 ha un’offerta pressoché illimitata, gli anni Novanta andavano decisamente in modo differente. L’assenza di Internet e un’attenzione diversa nei confronti del target legavano indissolubilmente l’intrattenimento televisivo al palinsesto offerto dalla RAI. Mediaset, allora conosciuta come Fininvest, e le sue sorelle regionali, avevano un pubblico di età più alta. Anche se all’epoca non era ritenuto eticamente mostruoso lasciare i propri figli ancora in fase gattoneggiante davanti alla violenza efferata gentilmente offerta da Ken il Guerriero o l’Uomo Tigre.
I cartoni e i programmi studiati ad hoc per la fascia più bassa erano pochissimi e avevano tutti le stesse caratteristiche. Se provate a rivederli, vi accorgerete di quanto fossero bizzarri e stravaganti, con personaggi e ambientazioni che sembrano usciti dalla pellicola espressionista Il gabinetto del dottor Caligari. Per capire la portata surreale di questo delirio tutto made in ’90 bastano tre parole: Banane in pigiama. Se siete nati negli anni ottanta, probabilmente vi si sarà sbloccato un ricordo sbiadito e lontano. Quel momento in cui eravate davanti ad un televisore più profondo che largo, bevendo una tazza di cioccolata Sprint e ascoltando una delle sigle meno ispirate di sempre. “Banane in pigiama. Le scale scenderan…”.
È l’agosto del 1993. L’estate dei record di Topolino. Oltre un milione di copie per i numeri 1963-1965 che regalavano uno dei gadget simbolo di quel decennio: il Topowalkie, con cui una generazione di bambini si parlava da uno stabilimento all’altro. La stessa generazione che ora parla da sola, lasciando quei vocali di dieci minuti che tanto piacciono al buon Tommaso Paradiso. L’estate volgeva lentamente al termine, mentre i genitori si godevano le poche ferie al ritmo di “Un battito animale” di Raf e “Sei un mito” degli 883, i loro figli iniziavano a sudare freddo per il ritorno a scuola, prontamente ricordato dalle innumerevoli e inopportune pubblicità degli zaini.
La possibilità di intercettare cartoni si limitava a due fasce orarie. Dalle 16 alle 18 si duellavano Big! e Bim Bum Bam, mentre all’alba Italia Uno dava il via alle danze con Ciao Ciao Mattina. Il grande competitor nell’intrattenimento dei bambini, durante la colazione e vestizione solenne con i tanto odiati grembiulini, era Rai Due, che offriva un blocco per i più piccoli, in cui dettava legge l’Albero Azzurro con il suo mattatore Dodò. Prima della trasmissione, allora condotta da Claudio Madia e Francesca Paganini, trovavano spazio prodotti d’intrattenimento per l’infanzia provenienti da tutto il mondo. In quella fascia divenne un cult lo svizzero Pingu. Banane in pigiama fece il suo esordio il 23 agosto 1993 con il primo di ben 304 episodi, divisi in sei stagioni.
La serie era sta importata addirittura dall’Australia, dove aveva riscosso un successo clamoroso nel 1992, per essere poi esportata in tutto il mondo l’anno seguente. Un exploit che poi ispirerà prodotti simili, uno su tutti i Teletubbies che fecero il loro trionfale ingresso nel mondo dello svago adatto ai 2-4 anni.
Come per i cugini d’Oltre Manica, le Banane in Pigiama altro non erano che pupazzoni interpretati da attori, che tra l’altro, a causa della scomodità di quegli enormi e pesantissimi involucri, appesero ben presto i costumi al chiodo, limitandosi a doppiare i personaggi.
Nomen omen, i protagonisti di Banane in pigiama erano due frutti dell’amor, chiamati, con uno slancio pachidermico di fantasia, B1 e B2. Le due banane in versione antropomorfa erano circondate da uno stuolo di personaggi altrettanto stravaganti: il canguro Tops, il dispettoso topo Rat, gli orsetti Lulu, Amy e Morgan, il cane Bernard e la scimmia Charlie, aiutante numero uno delle due banane.
Tutta questa variegata gang si occupa in ogni puntata delle attività del vicinato; in particolar modo le due banane in pigiama vivono nei pressi della spiaggia e sono una sorta di bagnini. Il programma è composto di piccoli sketch intervallate da canzoni con tutti i personaggi all’opera.
Fonte di ispirazione per la serie fu una canzone per bambini del 1969, scritta dal compositore britannico Carey Blyto. La canzone parlava, appunto, di banane in pigiama che inseguivano orsacchiotti. Già l’origine dell’idea del format ideato dalla showrunner Helena Harris lascia presagire il grado di delirante fantasia che accompagna ogni puntata. Il tono è costantemente sopra le righe, i dialoghi sono strambi oltre ogni parametro, i personaggi si muovono come sotto l’effetto di potenti sostanze psichedeliche. Proprio per questo un rewatch contemporaneo di Banane in Pigiama sarebbe in grado di regalare momenti di autentico folle e lisergico intrattenimento.
L’unico problema è la difficoltà estrema con cui è possibile ritrovare gli episodi originali, soppiantati da una meno nostalgica versione in CGI del 2011. Se riusciste a recuperare Banane in Pigiama degli anni Novanta, preparatevi ad un’esperienza totalmente surreale e nonsense. A partire dalla sua sigla animata.
“Banane in pigiama
Son pronte già a giocar…
Banane in pigiama
Dietro agli orsetti van…”