Come Zombieland è diventato un cult in soli 10 anni
Quando nel 2009 Ruben Fleischer debuttava alla regia sul grande schermo con Zombieland (Benvenuti a Zombieland, nella traduzione nostrana), probabilmente non immaginava il successo della portata che ha poi avuto.
Non si trattava infatti né del primo, né sarebbe stato l’ultimo film a trattare il tema dei morti viventi riadattandolo in chiave comica, eppure a fronte di un budget contenuto incassò al box office oltre 100 milioni di dollari, inserendo immediatamente Fleischer nello star system.
Il vero successo però non arrivò dal botteghino, quanto dal passaparola immediato che ne conseguì, e la visione di questo piccolo gioiello si espanse a macchia d’olio contagiando tutti. Non è un caso infatti che, a distanza di dieci anni dalla sua uscita, la gente si sia completamente esaltata alla notizia tanto attesa e spesso annunciata, ma finalmente confermata, di un sequel.
Ma a cosa è dovuta la fortuna di Zombieland? Cosa lo rende sostanzialmente diverso da tanti prodotti simili? Cosa ha fatto di questa pellicola una sorta di cult?
Rispondere con una affermazione secca non è facile, poiché in effetti il successo di Zombieland è imputato a tutta una serie di fattori e alla vincente combinazione tra di essi.
Innanzitutto si deve partire dal fascino che gli zombie hanno sempre esercitato su di noi, motivo per cui sono finiti e finiscono ancora per esser protagonisti in tantissimi medium, dal cinema al videogioco, al fumetto, ai libri e via dicendo, con sfumature che vanno dall‘horror al comico.
Ed è proprio quest’ultimo punto una delle chiavi che apre al successo di Zombieland.
L’opera di Fleischer sfrutta il tema del contagio dei morti viventi e di un mondo post-apocalittico cucinandolo in salsa comica, ma lo fa intelligentemente. C’erano già stati esperimenti in tal senso (e ce ne saranno ancora), tra i quali ricordiamo il più riuscito di tutti, ovvero Shaun of the Dead di Edgar Wright, e proprio per questo motivo per sorprendere serviva una marcia in più.
Zombieland però ci stupisce da subito. Dalla maniera in cui ci presenta la realtà di un America ormai messa alle corde dal contagio, con la fida voce di uno dei protagonisti, Jesse Eisenberg, che ci illustra una serie di regole per la sopravvivenza, ammiccando un po’ al Manuale per sopravvivere agli zombie di Max Brooks, in un modo che appare più un omaggio che un plagio.
È un’introduzione che ci dice su Zombieland più di quanto crediamo, assicurandoci che stiamo entrando a contatto con un’ironia acuta e sagace, dove ben presto vedremo un utilizzo altrettanto brillante degli elementi tipici delle commedie demenziali. Come non amare le varie scene sullo “Zombie secco del mese”? Per chi non ha visto il film, si tratta di alcune sequenze in cui gli umani fanno fuori uno o più zombie con modalità imprevedibili e rocambolesche.
Ovviamente non sarebbero bastate una buona idea di base e dei guizzi di regia e di script; per confezionare un prodotto vincente c’era bisogno di un cast artistico di spessore, ma soprattutto funzionale a questo tipo di racconto. E anche qui Fleischer & Co. fanno centro.
La prima regola è “Trovate un compagno con le palle”, dice Jesse Eisenberg aka Columbus all’inizio del film, e l’eroe cazzuto e stravagante che trova sulla sua strada è Woody Harrelson, che indossa i panni di Tallahassee.
Totalmente diversi tra loro, i due impareranno a convivere e guardarsi le spalle l’un l’altro in un mondo post-apocalittico in cui il pericolo zombie è sempre dietro l’angolo, e dove si deve star attenti anche ai pochi umani rimasti.
Nel loro cammino si imbatteranno infatti in Wichita (Emma Stone) e Little Rock (Abigail Breslin), e nonostante una postilla alle famose regole di Columbus dica che “la cosa migliore di essere tra i pochi uomini rimasti sulla Terra è che le donne ti rimorchiano”, nulla è mai come sembra e i due ragazzi lo impareranno a proprie spese. Tuttavia i loro destini sono destinati a incrociarsi e la commistione tra questi quattro elementi così diversi tra loro creerà una serie di situazioni divertenti.
In Zombieland non manca una più o meno velata critica alla società moderna, ed utilizza la raffigurazione di un mondo ormai vuoto e pieno di privazioni, per rimarcare alcuni aspetti malsani della nostra quotidianità e i benefici che gli zombie hanno portato. Come il “non esser costretti ad aggiornare lo stato di Facebook” (e stiamo parlando di un film del 2009: pensate come sarebbe stato adesso) o asciugarsi le lacrime e soffiarsi il naso coi soldi, strumento cardine della nostra società ma che ormai, nella Terra degli Zombie, non ha più alcun valore.
Siccome da ogni cosa negativa può arrivare qualcosa di buono, Fleischer calca la mano, sempre con ironia, su ciò che ci restituirebbe una realtà post-apocalittica e per questo primordiale, ricordandoci una serie di valori ormai dimenticati o facendoci apprezzare le piccole cose a cui oggi non diamo più peso, poiché parte di una routine consolidata. Come dei semplici twinkies.
Tutto questo, abbinato alla comicità delirante ma arguta, crea un mix vincente che scava anche in alcuni reconditi desideri dell’animo umano. Cosa fareste, in un mondo del genere, se vi trovaste in una cristalleria con in mano una mazza da baseball? La risposta è piuttosto scontata.
Ed anche l’utilizzo delle armi è un plus da considerare nel giudizio complessivo di Benvenuti a Zombieland. Fleischer, come catapultandoci in un videogioco, mette sul bancone ogni tipo di strumento per far fuori gli zombie ed alcune trovate sono davvero geniali, con un’atmosfera adrenalinica in crescendo, che culmina in un finale stracolmo di action all’interno di un Luna Park infestato dai morti viventi.
In definitiva, non amare Zombieland risulta pressoché impossibile anche per i tanti riferimenti nerd o i cameo incredibili che Fleischer si diverte ad inserire, ed è per questo il nostro hype cresce a dismisura, sempre di più, nella spasmodica attesa del promesso sequel.