Meglio Saul che male accompagnati
Better Call Saul è un serial che da sempre ha dovuto combattere con il fantasma di Breaking Bad. Nata infatti da una costola di una delle serie TV più amate di tutti i tempi, ovviamente presenta – a partire dai personaggi – diverse analogie con essa, ed ha dovuto sempre tentare di dimostrare di essere un prodotto diverso e valido a prescindere dall’ingombrante parentela.
Giunti alla terza stagione, chi segue il prodotto dai suoi albori il pregiudizio dovrebbe ormai esserselo lasciato alle spalle. Per chi invece ancora non l’avesse vista, beh, è arrivato il momento: l’inizio di stagione conferma quanto di buono fatto in quelle passate e getta le basi per quella che promette essere un’altra ottima annata.
Il pilot si apre con la nuova vita di Saul post-Breaking Bad: un lavoro fin troppo tranquillo in un centro commerciale, ma tantissimi pensieri in testa, come ovvio che sia. Saul, pardon, Gene, è un uomo provato, costretto a vivere in cattività in un mondo in cui non si sente per niente a suo agio. Cerca di fare buon viso a cattivo gioco, ma convive con la paura e con la stanchezza di dover tenere il profilo basso e fare la cosa giusta, elemento che viene puntualmente e magistralmente esplicitato con l’episodio di un ragazzino colto a taccheggiare in uno dei negozi del mall.
Si passa poi all’azione vera e propria, ossia il continuo flashback di cui vive la serie, che riparte dal cliffhanger della scorsa stagione: la confessione di Jimmy registrata segretamente da Chuck. Anche in questo caso l’impronta della serie è ben visibile: l’impossibilità di usarla come prova in tribunale rende la registrazione di Chuck praticamente inutile, se non da un punto di vista strettamente personale. La sensazione è che anche questa stagione vivrà del confronto tra i due fratelli, e che ci sia molto dello zampino di Chuck nella trasformazione di Jimmy in Saul, che ricorderebbe anche un po’ quella da Anakin a Darth Vader, se non fosse che si tratta di due personalità già di base assolutamente non positive.
Memorabile in questo senso il dialogo tra i due mentre si accingono a rimuovere l’alluminio dalle pareti.
Protagonista di questa storia è però anche Mike, che avevamo lasciato alle prese con un misterioso bigliettino lasciato sulla sua macchina. La sua storia è come sempre di poche parole, di un personaggio fin troppo attento ai suoi movimenti, alle sue tracce e a quelle dei suoi bersagli, sorpreso di essere stato… sorpreso, ma subito pronto a rimettersi in strada, trovare una soluzione e seguire una nuova traccia.
Better Call Saul non è una serie frenetica, anzi, soprattutto nei primi episodi di ogni stagione ha un ritmo lento e compassato, ma ciò nonostante sempre pieno di tensione, specialmente nella storyline di Mike, che ti lascia incollato al televisore, e che a fine puntata ti fa maledire il dover aspettare un’altra settimana per vedere dove vogliano andare a parare Gilligan e soci.
Ed è una serie che vive di momenti sporadici, di inquadrature magistrali, di lunghe scene mute o in bianco e nero diventate quasi un trademark del prodotto.
Prodotto che ha ormai compiuto il definitivo salto di qualità, e nonostante la continua contraddizione tra il volersi distaccare definitivamente da Breaking Bad ed il richiamare gli attori protagonisti di quella stessa serie (emblematica in questo caso la campagna promozionale della terza stagione, praticamente basata per intero sul franchise di Los Pollos Hermanos), se non si tratta del classico caso dell’allievo che ha superato il maestro, poco ci manca.