Black Box, ultima creatura di Prime Video, è un horror che esaspera le paure dell’immaginario comune

La Blumhouse decide di entrare a gamba tesa nel palinsesto cinematografico di Prime Video e, pertanto, apre il mese di ottobre (in cui ci saranno altri tre film della casa di produzione) fornendoci una coproduzione decisamente riconducibile al genere horror, che ricalca il trend distopico nato da Black Mirror, ma con nette influenze del nuovo Vate del terrore Jordan Peele: Black Box.

 

La pellicola diretta dal giovane Emmanuel Osei-Kuffour Jr. vede protagonista Nolan, un padre di famiglia che da qualche tempo è intrappolato in un inferno in terra. L’uomo, infatti, dopo un terribile incidente ha iniziato a soffrire di fortissime amnesie che gli provocano grandi disagi sia lavorativi che familiari e per questo sarà disposto a sottoporsi anche a controverse terapie per tornare alla normalità.

L’incipit brevemente esposto sarebbe facilmente ricollegabile a qualsiasi episodio di una delle stagioni più disturbanti di Black Mirror e, infatti, i presupposti sono talmente chiari che risulta impossibile non vedere tali influenze. La  struttura di Black Box è riconducibile sia all’horror che alla distopia sci-fi, ponendoci dinnanzi ad un mondo a noi già noto, ma avvolto da quell’alone tetro e inquieto che ci fanno guardare con costante disagio il futuro.

Ed ecco che, pian piano, la distopia diventa improvvisamente una realtà onirica, tangibile solo in piccoli frammenti, amplificando maggiormente la percezione di cosa è reale e cosa non lo è.
Nolan (interpretato da Mamoudou Athie) è intrappolato in questo meccanismo che prova a trasportare con sé anche lo spettatore. La domanda da porsi però è: “ci riesce?” 

Apparentemente sì, visto che, nonostante la produzione originale di Prime, in 1 ora e 40 minuti, ci riproponga delle sequenze già note -soprattutto se appassionati, come già detto, di Black Mirror o Get Out, senza annoiarci e spingendoci ad arrivare alla risoluzione finale (sola, unica e, probabilmente, scontata). Il tutto facendoci passare il tempo con agilità. Nel concreto, però, Black Box essendo un horror con una determinata natura talmente specifica ed intrisa di una cultura nata per far riflettere il fruitore su temi ben specifici, non riesce nell’intento generale.

black box horror

Black Box è un horror piacevole e godibile, ma si svuota totalmente del senso che si presuppone di avere, nonostante il tono con il quale si presenti allo spettatore non sia per nulla paragonabile a quello di una pellicola di maggiore spessore.
Il contorno c’è, le inquadrature, il sottofondo musicale, il montaggio sonoro (molto creepy) anche, ma sono piccole oasi nel deserto che verrebbero notate solo da un occhio più esperto, senza destare scalpore nello spettatore X.

Tutto ciò, però, fa aumentare ulteriormente il desiderio di vedere altro. Le sequenze che si susseguono davanti ai nostri occhi sono statiche e ripetitive, ci interessano, ma soprattutto vogliamo comprendere qual è la strada da percorrere e dove ci porterà.

Da sottolineare in positivo, in questa aggrovigliata digressione volta a trovare difficoltosamente i punti puliti e realmente meritevoli di lode, è la prova di Athie, vero one man show.
Tutta la narrazione viene sostenuta dalle sue spalle e, per un attore ancora in rampa di lancio, vuol dire tanto. Soprattutto se si viene “intrappolati” in uno script privo di carne e quasi ridotto all’osso.

Sostanzialmente Black Box è un horror atipico, capace di unire generi familiari tra di loro, ma mai realmente associati. La produzione di Prime nasce con determinati intenti, senza ottenere però quella totale consapevolezza del proprio Io e riuscendo a destare nell’animo dello spettatore solo la curiosità, ma poco altro.

black box prime video

Black Box è il classico horror che ha potenzialità, ma non si applica

Adoperando una metafora potremmo dire che questa visione è simile a quella di una corsa automobilistica con in pole position, sin da subito, colui che riuscirà ad arrivare primo. Si prosegue la visione, speranzosi che da un momento all’altro possa esserci qualche stravolgimento di situazione, ma consci che andando avanti, curva dopo curva, giro dopo giro, si sa già il risultato finale e, nonostante la godibilità, non lascia quel “qualcosa” in più.

Un “vorrei, ma non posso” manifestato anche, e a maggior ragione, da basi di partenza intriganti. Peccato perché Prime, negli ultimi tempi, ci aveva abituato bene, ma anche i migliori sbagliano e, probabilmente, saprà rifarsi ben presto. Magari con i prossimi lavori della Blumhouse, che fanno parte di questo progetto di ottobre.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.