L’agghiacciante storia di Shiori Ito raccontata nel suo libro Black Box
Sono passati già sei anni da quando Shiori Ito ha cominciato la sua battaglia contro il collega Noriyuki Yamaguchi e adesso è disponibile il suo memoir Black Box (termine con cui si indicano casi dalle circostanze poco chiare, avvenuti in assenza di altri testimoni), scritto nel 2017 e finalmente tradotto anche in italiano grazie alla libreria e casa editrice indipendente Inari Books di Torino.
Anche in seguito alla pubblicazione di Black Box, la lotta di Shiori Ito per portare a galla la verità in quella che sembrava una causa praticamente impossibile da vincere non si è mai realmente conclusa: sebbene nel 2019 abbia finalmente ottenuto un riconoscimento dalla giustizia per la violenza subita, la giornalista e attivista giapponese è nel frattempo diventata volto del movimento #MeToo, ispirando tantissime donne a parlare e denunciare abusi e molestie che troppo spesso rimangono, invece, nascosti o ignorati anche dalle forze e istituzioni che dovrebbero proteggere i cittadini e la società.
Questa è ora la sua missione, in controtendenza a tutto ciò che le è stato detto nel corso delle indagini, delle cause e dei colloqui avuti dopo quell’evento tremendo.
Vittima per due volte
Shiori Ito, infatti, come scrive in Black Box, non solo ha vissuto un’esperienza che segna per sempre qualunque persona ma le immediate conseguenze sono state altrettanto gravi, tanto da farla sentire vittima per due volte, del suo aggressore prima e del giudizio e della società poi.
La storia narrata in Black Box comincia nel 2015, con un’intraprendente Shiori Ito che desidera ardentemente diventare una giornalista affermata. È un suo sogno fin da quando era bambina e le si presenta un’ottima opportunità quando conosce per la prima volta il signor Noriyuki Yamaguchi. Questi è un pezzo grosso del giornalismo giapponese: direttore della sede della TBS (Tokyo Broadcasting System) a Washington e all’epoca biografo dell’ormai ex Primo Ministro Shinzo Abe. Non si può dire che non fosse un uomo a modo suo influente nell’ambiente giornalistico, anche internazionale.
I due entrano in contatto e Yamaguchi fa da tramite per Shiori Ito per farle ottenere un ingaggio, mentre lei è ancora stagista presso la Thomson Reuters a New York. Si scambiano diverse mail fino a loro incontro a Tokyo, durante il quale, però, Shiori perde i sensi dopo aver bevuto un paio di drink. La ragazza si risveglia poi nella stanza di un albergo su un letto, con Yamaguchi sopra di lei.
Compresa la situazione, Shiori cerca subito di andarsene ma al contempo di ottenere una qualche spiegazione da parte del collega, che nega qualsiasi forma di violenza e afferma che il rapporto fosse consenziente, anche se entrambi erano ubriachi. Lei non ricorda assolutamente nulla e sospetta di esser stata drogata ma a nulla servono i tentativi di far ammettere qualcosa a Yamaguchi, che in seguito continua a scriverle mail riguardo il lavoro come non fosse successo nulla e ribadendo la sua posizione.
Da qui in avanti inizia l’estenuante epopea della donna la quale, non essendo del tutto consapevole delle tempistiche con cui si deve denunciare il fatto secondo le procedure di indagine, lascia passare troppo tempo prima di rivolgersi alla polizia. Dopo cinque giorni Shiori si reca a sporgere denuncia ma, non senza enorme difficoltà, tra gli agenti trova supporto solo in A. (rimasto anonimo nel libro). Interessatosi al caso con fervore, alla fine nemmeno lui può nulla contro l’annullamento dell’arresto di Yamaguchi.
Dopo un anno e mezzo, infatti, il caso viene archiviato per insufficienza di prove, anche se era stato emesso un mandato d’arresto e alcune prove erano state raccolte a favore di Shiori, che intanto aveva dovuto ripetere diverse volte la sua testimonianza: addirittura le fu chiesto di simulare l’avvenimento con un manichino e più volte le venne fatto presente che la sua carriera di giornalista sarebbe finita, se avesse insistito con le sue accuse. Praticamente subendo un’ulteriore violenza da chi avrebbe dovuto aiutarla.
Black Box: Shiori Ito ha aperto la sua “scatola nera”
Il dolore psicologico dovuto a quest’esperienza profondamente deludente con le forze di polizia, tuttavia, non ferma la giornalista, decisa a dare voce non solo a sé stessa ma anche a tutte quelle donne zittite da un sistema incapace di tutelarle. Shiori Ito decide quindi di rendere nota la sua verità attraverso il suo libro Black Box, che da noi arriva nel 2020 ma che nel 2017 diventa praticamente un caso editoriale e dà origine al movimento #MeToo in Giappone, così come in altre parti del mondo.
Le leggi giapponesi in materia di stupro sono vecchie di un secolo, mai riprese in mano dalla politica e dalla giustizia perché fossero aggiornate e rese al passo coi tempi: per capirci, in esse non viene nemmeno fatto presente il concetto di “consenso” quando si parla di un rapporto sessuale, cosa che spinge tantissime donne a non provare nemmeno a denunciare la violenza.
Le falle nel sistema sono tante e Shiori ha dovuto affrontarle tutte, per molto tempo quasi inutilmente: quasi perché solo dopo anni, ovvero nel 2019, ha ottenuto finalmente un riconoscimento della propria causa in tribunale civile. Come ribadisce lei, però:“Se il nostro sistema legale avesse funzionato correttamente, non avrei dovuto condividere la mia storia pubblicamente”, sottolineando il problema alla base, ossia che politica, giustizia e società necessitano di riforme che permettano di prendersi cura delle vittime di violenza (e non solo), senza il timore di pregiudizi, stigmatizzazioni e mancanza di supporto.
Con Black Box, Shiori Ito ha aperto una specie di scrigno di Pandora, scatenando un flusso di testimonianze e commenti. Coraggiosamente ha sfidato lo scetticismo delle istituzioni, che spesso incolpano la vittima: emblematico fu il commento di Mio Sugita, personalità politica del Partito Liberal Democratico che accusò Ito di essersi messa in una condizione, quella di ubriachezza in presenza di un uomo, quasi volutamente, per cercare di ottenerne i favori.
Insomma, è evidente che il lavoro da fare per sradicare anche delle convinzioni sbagliate sia arduo, specialmente se questo tipo di pensiero viene formulato da altre donne e nella società questi eventi vengono sminuiti o commentati con freddezza e malizia nei confronti delle vittime che, evidentemente, “se la sono cercata” o “lo fanno per diventare famose”. Inoltre, Yamaguchi ha fatto ricorso contro la sentenza del 2019, perciò la battaglia di Ito e delle vittime come lei non finisce qui. Ma intanto tutte loro hanno trovato una nuova forza e nuovo sostegno le une nelle altre grazie a Shiori Ito e alla sua Black Box, un libro crudo ma necessario, dal linguaggio diretto come il suo messaggio: bisogna fare il primo passo, per quanto sia duro, se vogliamo cambiare la visione del mondo.