Quando stravolgere il genere supereroistico significa omaggiarlo
Che cos’è Black Hammer? Risposta facile: è la serie scritta e ideata da Jeff Lemire, con i disegni di Dean Ormston e i colori di Dave Stewart, al debutto italiano ad aprile 2017 sotto l’egida di Bao Publishing, con il volume che raccoglie i primi sei episodi, usciti negli States nel tipico formato degli spillati Marvel / DC. La storia narra di un gruppo persone in una fattoria in quello che, secondo l’immaginario collettivo creato dal cinema moderno, sembra essere un luogo imprecisato della campagna americana. Una storia sui redneck, all’apparenza.
L’apparenza, però, inganna, e bastano pochissime pagine a illuminarci sui veri protagonisti dell’albo: non una normale famiglia ma una normale famiglia di supereroi che, in quanto tali, tanto normali non sono. Quindi, di nuovo, che cos’è Black Hammer? Abbiamo dato la risposta facile. Ora consideriamo quella difficile…
Facciamo la conoscenza con i vari personaggi e scopriamo, a poco a poco, che Abe, il capostipite di questa combriccola di eroi, e i suoi compari non hanno scelto di ritirarsi dal lavoro ma sono stati confinati in questo luogo imprecisato da un evento ancora sconosciuto.
La storia parte molto a rilento, prendendosi i primi numeri (diciamo pure la prima metà del volume) per raccontarci il background dei protagonisti, dedicando a ognuno di essi un episodio “monografico”. La struttura sembra essere facilmente individuabile: un paio di albi dedicati ad approfondire la storia di questo o quel personaggio, uno concentrato sulla storyline principale, poi di nuovo daccapo. Come un motore diesel che parte con calma ma una volta presa velocità procede di gran carriera, così Black Hammer dopo una partenza farraginosa e una presentazione dei personaggi forse troppo lunga, svela le sue carte anche al lettore meno attento, coinvolgendolo in un vortice di rivelazioni che corre a perdifiato fino alla fine (di questo volume, sia chiaro).
I supereroi sono stati raccontati in tutte le salse, ormai: li abbiamo visti nel pieno del loro vigore, senza macchia e senza paura, abbiamo assistito alla nascita dei loro problemi (economici, familiari, etici), li abbiamo destrutturati prima e dopo Watchmen, li abbiamo resi zombie, messi gli uni contro gli altri, siamo invecchiati con loro e siamo tornati bambini (e loro alle origini), rivedendo le rispettive radici per crescere ancora più forti, eppure – ancora oggi – c’è chi si ostina a raccontare il mito del supereroe. Pertanto, per l’ennesima volta, la domanda sorge spontanea: che cos’ha questo racconto sui supereroi in più di tutti gli altri?
La risposta di Black Hammer (ci teniamo a dirlo, positiva in quasi tutti gli aspetti) ci viene fornita da una struttura capace di prendere il meglio di tante saghe supereroistiche: il background dei personaggi, le loro uniformi e i loro nemici sono un omaggio alla Golden Age del fumetto di genere, ad esempio. Nelle pagine che raccontano il passato dei protagonisti abbondano citazioni e omaggi ai maestri del passato, sia narrativi che grafici, e vedere le care, vecchie onomatopee delle scazzottate (“Pow!”, “Thwap!”) ci ha strappato ben più di un sorriso, tanto per dirne una. Elencare tutte le citazioni sarebbe noioso e controproducente, vi basti sapere che tra le tante altre cose troverete anche vignette che omaggiano grandi copertine DC e storie che ricalcano le origini di supereroi oggi stra-noti grazie al cinema.
Ma non finisce qui: l’altro aspetto interessante in cui Black Hammer cambia completamente registro rispetto a quello che abbiamo citato finora è l’ambientazione. Il soffocante paesino della provincia americana e i pochi personaggi che abbiamo conosciuto farebbero invidia allo Stephen King di Cose Preziose o di The Dome. La capacità narrativa di Lemire è accompagnata ed esaltata, soprattutto in questo passaggio, dai disegni di Ormston e dai colori di Stewart: prendendo spunto dalla fantascienza degli anni ’50 e dai fumetti indipendenti horror degli anni ’70, il duo di autori ha saputo dare un tono underground alla storia. L’apparente paradosso è che, di fronte a del materiale che pesca a piene mani nel passato di un certo tipo di fumetto, Black Hammer è riuscito ad aggiungere comunque un punto di vista nuovo, e intrigante, a un genere già così rimaneggiato.
Il volume è corredato infine da alcune appendici molto utili: una lunga posta fazione dello sceneggiatore, in cui si narra la genesi del progetto, l’attesa fino alla pubblicazione e i motivi del coinvolgimento del team di artisti, le schede di approfondimento di ogni personaggio e lo sketchbook di Ormston con gli studi e le varie versioni di ogni personaggio.
Una nota a parte meritano le copertine (la cui lavorazione è presente nello sketchbook in coda al volume): ogni numero è intervallato dalla cover della versione originale, scandendo così perfettamente la storia e lasciando che il lettore segua il percorso narrativo voluto dallo sceneggiatore. Le copertine hanno tutto il gusto retrò degli albi di fumetti e delle weird tales degli anni ’30 e ’40, con un occhiolino alla fantascienza e uno all’horror, sempre mantenendo un livello, sia di composizione che di cura dell’immagine, altissimo.
Verdetto
Black Hammer è solo all’apparenza una storia di supereroi: ambientata in un paesino della grande e desolata provincia americana, mette in evidenza tutte le idiosincrasie che nascono da una lunghissima convivenza forzata. I protagonisti, ormai legati alla loro vita di supereroi solo dai ricordi, si ritrovano confinati senza volerlo e senza alcuna apparente via d’uscita in una dimensione retrograda e soffocante. Il volume racchiude i primi sei albi della serie, introducendo i protagonisti (Abe Slam, Golden Gail, Barbalien, Madame Dragonfly, il Colonnello Weird e Talky Walky, il robot tuttofare) e fornendo la direzione intrapresa dagli autori. La storia, nonostante una partenza in sordina, appassiona il lettore detonando lungo il cammino, delineando conflitti e misteri che, supponiamo e speriamo, si risolveranno nei prossimi numeri. Graficamente si tratta di un volume molto interessante, che sa guardare anche alla fantascienza e all’horror, uscendo sapientemente dal seminato supereroistico, cui comunque paga diversi omaggi.