Grande schermo, grandi attori, storia vera. Risultato?
La pellicola Warner Bros. che risponde al nome di Black Mass: L’ultimo Gangster, di prossima uscita nelle sale, è ispirata da un quasi omonimo libro del 2001 (Black Mass: The True Story of an Unholy Alliance Between the FBI and the Irish Mob, di Dick Lehr e Gerard O’Neill), a sua volta tratto dalla vera storia di James “Whitey” Bulger, noto criminale americano di origini irlandesi, assorto negli anni ’80 a Boss criminale della città di Boston. Il film segue l’ascesa al potere di Bulger, nonché la sua strumentale alleanza con l’FBI, in un intreccio che finisce per coinvolgere famiglia, amici e nemici del suddetto “Ultimo Gangster”.
Piccola premessa. Capita, andando al cinema, di sentire che un film è “tratto da una storia vera“. Tale affermazione cattura subito la nostra attenzione, mette i nostri sensi in allarme. Già, ma perché?
Presto detto: molto spesso i film tratti da storie vere sono raccontati come fossero effettivamente storie vere. E questo è, nel mondo del cinema, sbagliato. Le storie vere (Esempio: Cosa mi è successo oggi), da sole, non bastano ad appassionarci fino in fondo, sono semplici susseguirsi di fatti, magari pure interessanti ma privi di una direzione, un senso, un messaggio. Cose che un film, come qualsiasi storia propriamente narrata (Esempio: Cosa ho imparato oggi, come e perché), deve avere.
Black Mass è, per l’appunto, un film che soffre di “storiaverismo”. Gli eventi cui assistiamo, che vanno a comporre sul grande schermo l’intricato arazzo della vita di Bulger, sono senza dubbio interessanti e raccontati con grande abilità… ma purtroppo mancano di una direzione unificante. Lo stesso Whitey (un Johnny Depp in grande spolvero, ma di questo parliamo dopo) è un personaggio che, nella sua brutalità con poche ma sufficienti sfaccettature a renderlo intrigante, non dimostra di essere cambiato alla fine del film, non ha imparato niente. E lo stesso vale per tutti i numerosi personaggi della storia. Alcuni, tra l’altro, scompaiono dopo un terzo del film, o appaiono soltanto nel terzo finale. Questo succede nella realtà, continuamente. Nei film è da considerarsi invece una licenza pesante, se non proprio un errore, ai fini della narrazione.
Rassegnati a questo proposito, si riesce comunque a godere di una pellicola evidentemente curata nella sua realizzazione. Il Cast è nutrito e costellato di volti noti, oltre al grande Johnny Depp protagonista: Benedict Cumberbatch è Billy, fratello di Whitey e politico di successo; Joel Edgerton è John Connolly, l’agente FBI che convince Whitey, suo amico di infanzia, a stipulare l’anomala alleanza coi federali; Dakota Johnson, Miss 50 sfumature di grigio; Kevin Bacon; Corey Stoll. E questi sono solo alcuni della folta schiera di personaggi che conoscerete, spizzicando di ognuno un po’ ma, ahimè, di nessuno abbastanza. La nota positiva è che tutti recitano la propria parte, ridotta o meno, con grande maestria.
Brilla poi in particolare la prova di Depp, reinventato criminale vagamente sovrappeso, dagli occhi di ghiaccio, i denti gialli e ben oltre la stempiatura. Johnny ci dimostra in Black Mass, dopo molto (troppo?) tempo, che è assolutamente capace di fare parti diverse dal pirata stramboide/cappellaio matto. Non che Whitey Bulger ci stia poi tanto con la testa, eh, ma la sua follia è fredda, la sua bestialità calcolata, le sue violenze inevitabili.
Last but not least, regia e fotografia restituiscono perfettamente la cruda atmosfera della storia, a metà tra la sempreverde realtà criminale e gli anni ’70-’80 americani. Il film, quindi, è un prodotto estremamente rifinito e lascia indovinare, se non altro dal cast di alto profilo, quanto sia costato a mamma Warner. Non può che aumentare, in considerazione di ciò, il senso di occasione persa.
Si voleva chiaramente riprodurre la storia di Bulger quanto più fedelmente alla realtà, per colpire il pubblico proprio con la sua spontanea crudezza. Obiettivo sacrosanto, da raggiungere però donando al film ciò che invece alle storie vere manca e che nemmeno tanti e tali attori possono sostituire: una prospettiva che dia al pubblico la possibilità di interpretare, oltre che osservare.