Black Mirror 5: Quante volte può finire una serie tv?

Mettiamo caso di trovarci davanti allo schermo del nostro PC, con aperta la home di Netflix.
Tra le varie uscite del mese, oltre a colossal hollywoodiani, teen-drama e documentari in 4K, la nostra curiosità viene rapita da un prodotto nuovo, anomalo: Black Mirror 5.

Ovviamente questo discorso sarebbe valido se una persona fosse stata ibernata dal 2011 (anno dell’uscita ufficiale della tanto discussa, quanto amata serie), ma, in questo caso, proviamo a ragionare  per assurdo ipotizzando che l’ultima stagione di BM rappresenti invece il suo lancio ufficiale.

Cosa possiamo dedurre da una simile serie? Cosa ci lascia un prodotto che si offre in 3 episodi da poco più di un’ora ciascuno,  autoconclusivi, imbottiti di nomi importanti come Anthony Mackie (alias Falcon nell’MCU), Pom Klementieff, Andrew Scott (Locke e Spectre ) e Miley Cyrus, volti a narrarci un inquietante futuro tecnologico non così lontano dalla realtà?

https://www.youtube.com/watch?v=yLakFCC44io

 

La quinta stagione di Black Mirror, o, se vogliamo vederla in questa ottica, la nuova serie TV di Netflix, ci offre delle storie amare, che non ci fanno disperare, ma ci mostrano un triste spaccato della nostra quotidianità, andando a sviscerare i rapporti umani e i gesti che spesso e volentieri riteniamo naturali e scontati. Ciò che ci fa storcere maggiormente il naso, seppur sia nella natura intrinseca della serie, non è la natura più soft di questa stagione, ma lo scollamento totale che si pone tra le prime due puntate e l’ultima.

Nel primo episodio si crea una conflittualità d’animo tra i protagonisti che ci può risultare familiare, ci fa riflettere, ci lascia un amaro in bocca che è difficile da poter togliere. Affascinante l’idea di destrutturare la finalità della realtà virtuale di un picchiaduro vecchio stampo (Striking Vipers), ponendola su un piano tutt’altro che scontato, seppur aridamente immaginabile. Nel secondo, invece, è la quotidianità a prendere il sopravvento, nessun futuro distopico, nessun sentore di luddismo nell’aria, niente robot, niente IA super tecnologiche, ma un semplice social e una semplice app (Smithereens) bastano e avanzano per offrirci una storia interessante – con un bravissimo Andrew Scott.

Una “normalità” che, seppur sia perfetta per un qualche spot pubblicitario dello Stato, viene messa in scena nel migliore dei modi, con delle risoluzioni interessanti.
Eppure, dopo le buone premesse delle prime due ore di “proiezione”, la puntata finale sembra uscita da un programma per ragazzi qualsiasi, da un Disney Channel X, e no, non per via della presenza della Cyrus.

Rachel, Jack e Ashley (così il nome dell’episodio), inizialmente ci intriga, stuzzica la nostra curiosità, mettendo sulla scacchiera dei pezzi potenzialmente interessanti, salvo poi offrirci una risoluzione super soft da teen drama del sabato sera, priva di insegnamenti o veri spunti di riflessione.

Black Mirror 5

Una stagione diversa dalle precedenti, ma riesce a mantenere intatta l’idea dell’alienazione sociale e la paura per il presente più che per il futuro

In sostanza, quindi, Black Mirror 5 è una serie riuscita? Prendendola come un prodotto a sé stante sì, nonostante le problematiche dell’ultimo episodio, ma se messa a confronto con tutte le idee interessanti, e le ancor più affascinanti messe in atto a livello di regia e sceneggiatura degli anni passati, il calo – in termini puramente artistici – risulta evidente.

La qualità tecnica resta comunque elevata, la struttura narrativa, i movimenti di camera, e lo sviluppo dello sceneggiato si  mostrano sul piccolo schermo, tramite sequenze da top show, ma le idee molto più soft tendono a rimarcare, più che un desiderio esplicito di offrirci un messaggio meno claustrofobico, lo scolorimento dell’anima nera della serie, allontanandosi da quanto visto in Bandersnatch.

Black Mirror 5 è senza dubbio un prodotto interessante, ma sembra più una versione “grey” delle primissime puntate dove la distopia e la paura dell’innovazione tecnologica erano talmente forti ed opprimenti da far uscire di senno la stragrande maggioranza degli spettatori di tutto il mondo.

black mirror 5

Ovviamente bisogna tenere da conto anche l’abitudine del nostro cervello, il quale è stato nutrito negli anni da puntate più crude e spigolose, e da altre centina di produzioni seriali che hanno seguito il filone della distopia, finendo per stancarci anche un po’.

La vera domanda, a questo punto, non è se Black Mirror 5 sia una buona stagione, ma se sostanzialmente non siamo noi ad esserci annoiati di vedere in TV, in streaming e al cinema prodotti perennemente volti a narrarci un futuro/presente oscuro assoggettato totalmente a internet, social e IA. Perché la realtà è che anche questi tre episodi sono perfettamente in linea col solito Black Mirror, prendono spunto da quell’anima dark, satirica e drammatica che ha tenuto incollati allo schermo milioni di spettatori, e, seppur non abbiano quell’alone inquietante che da sempre permea lo show, ci mostrano delle realtà tanto angoscianti quanto possibilmente reali.

Perdita delle interazioni sociali, strumentalizzazione dell’arte, dipendenze social, inaridimento dei rapporti umani, illusione delle giovani generazioni: tutte tematiche estremamente familiari quanto attinenti.

Black Mirror 5 non sarà la stagione più bella della vita, senza dubbio, ma, a fronte di scelte registiche interessanti, un cast importante, e temi balzati fuori dal brodo primordiale dello show, risulta valida, forse fine a sé stessa, ma che probabilmente segnerà la nuova fine o, probabilmente, l’ennesimo nuovo inizio della serie.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.