Dal 7 luglio al cinema (e su Disney+) Black Widow, tie-in della terza fase, ormai chiusa, del Marvel Cinematic Universe
L’abbiamo atteso a lungo ed eccolo qua. Black Widow di Cate Shortland arriva nei cinema e su piattaforma, con una distribuzione in simultanea su piccolo e grande schermo. Forse il primo vero blockbuster dell’era post covid e, non a caso, un tie-in che racconta i retroscena di una delle saghe più amate degli ultimi anni. Black Widow è interamente dedicato alla figura di Natasha Romanoff, dal 2012 interpretata da Scarlett Johansson, e si colloca cronologicamente tra gli eventi di Civil War e Infinity War (in mezzo, sappiamo, corrono diversi stand alone, ma qui ci atteniamo alla linea narrativa degli Avengers). Il pubblico sa perfettamente che il destino di Romanoff è segnato, l’ha visto chiaramente in Avengers: Endgame, e forse proprio per questo Black Widow è una celebrazione commovente ed esaltante di una dei Vendicatori più complessi di sempre.
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Oltre il Girl Power
Uno stand alone dedicato alla più antica componente femminile degli Avengers, diretto da una regista e con un cast prevalentemente composto da donne. Eppure, Black Widow non è mimamente un’operazione di pinkwashing. A differenza di altri tentativi, fatti sia da Marvel sia dalla Distinta Concorrenza, il film di Shortland ha radici tematiche molto più profonde e dolorose. Il trionfo del femminile c’è, ma dopo un faticoso percorso interiore ed esteriore di apertura e liberazione. Di autodeterminazione, per usare una parola-chiave. Natasha, educata come una sicaria spietata e senza emotività , una macchina per uccidere inarrestabile, ha già compiuto parte del suo cammino offrendo le sue capacità a una causa, ma sarà sufficiente?
Black Widow parte proprio da questo interrogativo, in un momento in cui la “famiglia” degli Avengers si è sfaldata a causa del conflitto tra Steve Rogers e Tony Stark. Sarà proprio in questo momento così delicato che Natasha farà i conti con un’altra famiglia surrogata, e sarà chiamata davanti alla scelta: voltare le spalle al passato o rischiare tutto per mettere fine all’altrui sofferenza? Forse mutuato dai suoi compagni di squadra, forse come dote innata, l’altruismo di Romanoff guiderà il personaggio, confermando ancora una volta che l’apparente glacialità non è altro che una maschera.
Black Widow: un buon film d’azione con un buon contenuto
Attenzione: può contenere spoiler
Se una diva come Scarlett Johansson deve dare l’addio uno dei franchise di maggior successo di sempre, allora è giusto che lo faccia col botto. Ed effettivamente Black Widow è un film che si può dire tagliato su misura sulla sua protagonista. Forse al limite della credibilità come eroina action, Johansson qui passa il testimone alla più giovane Florence Pugh, che interpreta la “sorella minore” Yelena Belova. Ad accompagnarle, andando poi a costituire un nucleo familiare tanto disfunzionale quanto commovente, ci sono Rachel Weisz (Melina Vostokoff) e David Harbour (Alexei Shostakov). I due, che nella scena iniziale sembrano essere i genitori delle due bambine che diverranno poi vedove nere, sono in realtà due agenti al soldo di Dreykov (Ray Winstone), capo della famigerata “Stanza Rossa“. Questa è il quartier generale del super villain e, soprattutto, il luogo dove migliaia di bambine e ragazze di tutto il mondo sono addestrate a diventare killer. Se questo sia di loro gradimento o meno sarà alla base dell’azione principale del film.
Nonostante venga da un cinema più intimo e posato, Shortland riesce a dirigere delle ottime scene d’azione, che non mancano di tenere bella alta l’adrenalina. Forse un po’ sopra le righe, sono decisamente un’ottima prova per la protagonista e i comprimari. Inoltre, nonostante l’innegabile bellezza, la Vedova Nera di Johansson/Shortland si affranca sull’ipersessualizzazione dei primi tempi, come la stessa attrice ha dichiarato di recente alla stampa.
Si torna sempre al fumetto
Un punto a favore del MCU sta proprio nel buon uso della materia prima, ovvero i fumetti da cui i film (e le serie tv) prendono spunto. Non c’è una trasposizione pedissequa, ma una scelta spesso azzeccata di elementi e personaggi chiave, integrati in un universo ormai autonomo. Nel caso di Black Widow, ci sono alcune situazioni ben note ai lettori, che qua troveranno con sfumature più o meno consistenti di differenza.
In primo luogo c’è Red Guardian, membro della Guardia d’Inverno – una specie di versione sovietica degli Avengers di fine anni Novanta. In questo caso l’eroe russo è visto in una sua visione matura, paterna, goffa e legata con romantica nostalgia “ai vecchi tempi”. Nonostante la sua ambiguità iniziale, presto chiarisce il suo ruolo di supporto delle protagoniste e soprattutto mostra un elemento dirimente nella sua interpretazione. A differenza del villain, lui è mosso da ideologia ma presto capisce gli affetti hanno soppiantato ogni dottrina. In un contesto di così forte rivalsa femminile, Red Guardian è un alleato, la cui forza sta nel passare la palla vincente ma lasciare che le altre vadano a rete. Nel film sono citati altri due membri della Guardia d’Inverno, Dinamo Cremisi e Ursa Majior, ma la loro scoperta resterà un easter egg per lo spettatore.
La Stanza Rossa e le Vedove Nere, inoltre, è riprodotta in maniera piuttosto fedele, lasciando sottintendere gli elementi più crudi. Ciononostante, in un dialogo si dichiara apertamente forse una delle manipolazioni più atroci e invasive che le ragazze subiscono, l’asportazione dell’utero, così da negare ogni altra aspirazione che non sia quella che il loro padrone decide per loro. Ma, anche qui, l’Uomo ha decisamente sottovalutato la Donna.
Black Widow: famiglia e autodeterminazione
Quella di Natasha Romanoff è un’epopea di rinuncia, di colpa e di riscatto. Rinuncia a un futuro, anche ma non soltanto per il suo sacrificio in Endgame. Colpa, per le “vittime collaterali”, che sono cadute nella traiettoria tra la Vedova e i suoi obiettivi. Riscatto, in questo stand alone che racconta la seconda impresa più importante della sua vita. Seconda sola ad aver salvato l’Universo. Il desiderio di chiedere scusa alle vittime mietute durante gli anni senza empatia, guida la bussola morale di Natasha in questo film. Ma non solo, anche la voglia – il bisogno, anzi – di non pensarsi come individuo solo, ma come parte di un gruppo. Il bisogno di far parte di una famiglia.
Questo concetto è ricorrente ed è alla base del grande trasporto emotivo che Black Widow riesce a creare. Nonostante sia stata messa su da uno spietato manipolatore di menti, una delle famiglie di Natasha ha conservato quell’ancestrale cura uno dell’altro. Ad un certo punto del film, la protagonista ammette di avere due famiglie: gli Avengers e quella composta da Yelena, Melina e Alexei. Ma forse ce n’è una terza, su cui ha una responsabilità ancora maggiore. Se Natasha abbozza con malinconia davanti alla domanda sul suo desiderio di essere madre, compie – realizzando la sua missione – un atto da vera capostipite: si batte perché le sue sorelle siano libere di scegliere, come lo è stata lei. Lo spirito di un’eroina non sta solo nelle imprese gigantesche, tra Tiranni distruttori di universi e Divinità ultraterrene. Natasha ha ampiamente dimostrato che un Avenger non è solo i suoi grandi poteri, ma chi non accetta che nessuna ingiustizia venga commessa in nessun luogo, su nessun innocente. Sarà retorica disneyana, ma è anche un messaggio di ampio respiro, che permette di godere di due ore entusiasmanti. Un ottimo ritorno in sala. Un ottimo ritorno del MCU.