Blonde, il nuovo film di Dominik con Ana de Armas nei panni di Marilyn Monroe, è stato tacciato di essere un’opera sessista e offensiva. Ma è davvero così?
londe, il nuovo film di Andrew Dominik sulla vita della star Marilyn Monroe è ormai sulla bocca di tutti. Già a Venezia fece scalpore e chiacchierare molto, ma adesso che la pellicola è arrivata su Netflix anche l’utenza ha iniziato a dire la propria su un film obiettivamente scioccante e per nulla banale.
Tre ore di durata scandagliano la vita dell’attrice americana, traendo ispirazione dal romanzo di Joyce Carol Oates, passando di palo in frasca e mostrandosi come un’opera volutamente indecifrabile, a tratti ammaliante ma anche sconvolgente, angosciante e disturbante.
Non è tanto un film su Marilyn ma su Norma Jeane che diventa a tutti costi Marilyn, ritraendola in una maniera che non tutti hanno apprezzato, dalla critica al pubblico.
Manohla Dargis del New York Times ha dichiarato di esser sollevata che la Monroe “non debba soffrire per le volgarità di Blonde, l’ultimo intrattenimento necrofilo a sfruttarla”, aggiungendo che si tratta di uno dei film più detestabili che abbia visto. Un atto di crudeltà auto-indulgente di un regista profondamente disinteressato”. Del resto, su quest’ultimo punto lo stesso Dominik non è che abbia proprio voluto attirarsi le simpatie della gente, affermando in un’intervista che ormai nessuno guarda i film della Monroe.
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Eppure, rispetto all’opinione piuttosto popolare riguardo la sopraccitata detestabilità di Blonde, mi permetto di dire che non ho provato affatto queste sensazioni durante la visione. L’angoscia e la sofferenza della protagonista, magistralmente interpretata dalla sensuale e fenomenale Ana de Armas, quella sì, ma è un canale volutamente percorso dal regista che anzi sembra quasi glorificarla, facendo di lei una martire soggiogata dagli uomini e da tutte le persone che nel corso degli anni hanno sfruttato lei, il suo corpo, la sua bellezza, la sua immagine, il suo nome. Il suo talento troppo spesso veniva screditato, e alcune scene sono piuttosto emblematiche, come quando, in seguito ad un brillante idea di Marilyn, Arthur Miller (Adrien Brody) le chiede chi gliel’abbia suggerita.
Tutto questo disturba lo spettatore con un minimo di sensibilità, così come per motivazioni assai diverse si può soltanto che provare orrore di fronte alle indicibili sofferenze dell’infanzia della Monroe, raccontante tramite un’introduzione divampante, che ci apre la strada del rapporto col padre, o meglio della sua assenza, che riecheggia in tutto il film.
Un orrore amplificato dal resto della narrazione, dallo sfruttamento sessuale rappresentato nell’arco di quasi tre ore, dal titolare dello studio che la lancia nello star system abusando di lei, fino a John F. Kennedy che la costringe ad un rapporto orale, scena quest’ultima che si è attirata ovviamente molte critiche, sia per la folle audacia registica che per l’accusa di una mancanza di rispetto verso entrambi, soprattutto considerando che il rapporto tra i due non è mai stato ufficialmente confermato. Alla fine, comunque, sembra un po’ che tutti escano male da questa triste storia.
Tecnicamente però il film è una bellezza. Il rapporto d’aspetto in 4:3 è un fantastico modo per effettuare un salto temporale all’indietro, ed è apprezzabile anche la scelta dei repentini passaggi dal bianco e nero alla fotografia a colori: nel complesso, peraltro, il lavoro di Chayse Irvin è da applausi scroscianti. Menzione speciale poi alle musiche di Nick Cave e Warren Ellis, che facilita l’immersione in un’opera che non sempre riesce a coinvolgere lo spettatore. Su quest’ultimo punto infatti Dominik avrebbe forse dovuto agire diversamente, magari asciugando un po’ il film e tagliando qualche passaggio di troppo, anche perché mettere a posto tutti i pezzi del puzzle non è semplice ed eliminare un po’ di ridondanza avrebbe aiutato.
Il titolo chiaramente estremo e provocatorio di questo articolo è dettato dal fatto che in questi giorni ho letto critica e pubblico puntare il dito contro questa rappresentazione, asserendo che manchino elementi fondamentali, come la personalità, l’intelligenza, la sensibilità, la sagacia e la tenacia della Monroe. Secondo me invece non c’è niente di più sbagliato, perché senza dubbio Blonde non è un film esenti da difetti, ma quello che riesce a far emergere tra le righe, per chi riesce a carpirlo, è proprio tutto ciò. Il talento e la sensibilità di una donna fuori dal comune, al cospetto di una vita più grande lei.