Bloodstained: Ritual of the Night mantiene le promesse di Igarashi: realizzare un nuovo episodio di Castlevania sotto mentite spoglie.
Dieci anni sono passati dall’ultima uscita di un vero Castlevania a quella di Bloodstained: Ritual of the Night – no, quelli di Mercury Steam non li contiamo. Nel 2009 usciva in Europa (nel 2008 in Giappone) Order of Ecclesia, l’ultimo Castlevania 2D a firma di Koji Igarashi, l’autore del filone metroidvania di una delle serie più affascinati di Konami.
In soccorso dei fan è andata, come è ormai consuetudine, una campagna Kickstarter messa in piedi da Koji Igarashi stesso, per realizzare un nuovo episodio della sua serie sotto altro nome. E così è andata: dopo quattro anni di attesa finalmente possiamo giocare un nuovo Castlevania, che però si chiama Bloodstained: Ritual of the Night.
Nel frattempo però è successo qualcosa. I metroidvania hanno conosciuto una nuova giovinezza, grazie a una scena indie più in fermento che mai. Giocare a Bloodstained: Ritual of the Night dopo aver giocato Ori and the Blind Forest o Hollow Knight non è facile. Non è facile perché il platform, e di conseguenza il metroidvania, si è evoluto negli ultimi anni in un modo ben preciso. Bloodstained invece è esattamente quello che era Order of Ecclesia, e anzi qualcosa di meno.
Si potrebbe obiettare che Igarashi altro non ha promesso che un nuovo Castlevania sotto mentite spoglie, e così ha fatto. Ma ha senso un’operazione “nostalgia” di questo tipo? Chiaramente tutti i fan della serie avrebbero voluto tornare nel castello di Dracula, io in primis, ma le cose cambiano e si evolvono, e se ho un ricordo bellissimo di Aria of Sorrow e degli altri cinque capitoli portatili usciti tra Game Boy Advance e Nintendo DS, mi sono dovuto accorgere giocando a Bloodstained che quel sistema di gioco è ormai vecchio, che non è facile tornare indietro, tornare a quell’approccio al platform e al combattimento dopo aver giocato un Hollow Knight.
Forse il problema principale di Bloodstained è proprio quello di essere “troppo Castlevania”
Paradossalmente il problema principale di Bloodstained è che fa troppo letteralmente quello che aveva promesso. È una scelta precisa? Forse sì, ma non è una scelta che mi sento di promuovere. Probabilmente i fan più duri e puri di Castlevania saranno contenti di giocare esattamente quel tipo di Castlevania, ma chiunque si sia negli anni abituato a ritmi più serrati, a un’esplorazione di più ampio respiro e a combat system più complessi non potrà che sentir suonare qualche campanello d’allarme.
Bloodstained: Ritual of the Night infatti riprende il filone di Akumajō Dracula partito da Symphony of the Night e concluso con Order of Ecclesia alla lettera: la fisica dei salti e dei movimenti è quella, la struttura RPG è quella, il sistema di combattimento è quello. Un solo colpo, più gli attacchi specifici per tipologie di arma da effettuare con una combinazione tipo picchiaduro, un’esplorazione lenta che presenta lo stesso identico approccio alla mappa, e alla sua struttura, di vent’anni fa. Un sistema di combattimento basato come detto su un solo tipo di colpo per arma, più le ovvie skills ricavabili dai nemici, peraltro mal bilanciate con alcune abilità in grado di rendere qualsiasi scontro una passeggiata e altre piuttosto inutili.
Se avete giocato un qualsiasi nuovo metroidvania mi sembrerà di tornare indietro, vi sentirete limitati, sia nell’esplorazione che nel combattimento. Posto che non cerchiate proprio quel feeling da Symphony of the Night.
È proprio questo che rende difficile valutare Bloodstained: Ritual of the Night: bisogna metterlo sotto la lente delle intenzioni dell’autore, o bisogna porlo all’interno del mercato attuale?
Cerchiamo di inquadrare Bloodstained come se fossimo nel 2015
Per completezza, visto che si è battuta la seconda via fino a questo momento, cerchiamo di battere la prima. Bloodstained non funziona benissimo neanche se lo vogliamo vedere come un Castlevania tradizionale, nonostante sotto questa lente si comporti meglio.
In primis la direzione artistica è altalenante, e la realizzazione di questa visione è ancora peggio. Passi il non avere più la Kojima e la virata verso un’estetica più anime, che dai primi concept mostrati in sede di campagna crowdfounding non era affatto male. Il problema principale di questa virata è che si va a perdere quel feeling horror/gotico a cui Castlevania doveva moltissimo del suo fascino. Anche nei momenti più bui, quando Konami aveva evidentemente perso la bussola per strizzare l’occhio a un design fin troppo anime – Dawn of Sorrow e Portrait of Ruin – in game si percepiva sempre la giusta vibrazione.
Bloodstained invece risulta spesso generico, senza troppa personalità, con aree che non vi posso descrivere per evitare spoiler, ma che non sembrano avere un’anima. Discorso analogo può essere fatto per i boss, in molte occasioni totalmente privi di ispirazione, sia nel design che nel moveset. Sembra spesso mancare quella lore che rendeva eccezionale Castlevania, quella costruzione di un mondo, quella coerenza nel costruire un castello sempre diverso e sempre coerente a se stesso di episodio in episodio.
In Bloodstained ci troviamo spesso di fronte ad aree che sembrano appiccicate tra loro, perse nell’autocitazionismo.
L’aspetto tecnico non aiuta il tratteggio di mostri e ambienti, come già detto spesso troppo generico, e anzi aggrava la situazione. I modelli, le texture, le animazioni, tutto sembra eccessivamente approssimativo nella realizzazione. A questo bisogna aggiungere bug, anche gravi, e una generale sensazione di poca pulizia – anche se certamente questo verrà corretto a breve con le patch che già stanno uscendo.
Quindi: sì o no?
Detto questo, non è facile dire cosa si pensi di Bloodstained: Ritual of the Night. Certamente non ci si trova di fronte a un capolavoro, ma altrettanto certamente chi voleva giocare a un Castlevania puro nel gameplay può dirsi soddisfatto, dopo dieci anni di attesa. Non soddisfatto al 100% magari, si poteva fare molto di più e molto meglio, e certamente c’è da considerare uno sviluppo travagliato che non ha permesso a Igarashi di dare il massimo. Purtroppo però, sviluppo travagliato o meno ci troviamo di fronte alla necessità di valutare quanto abbiamo per le mani, senza sconti.
Bloodstained è esattamente Castlevania, nel bene e nel male. Il mercato è cambiato, e sono usciti tanti metroidvania di enorme qualità negli ultimi anni da cui è difficile tornare indietro e accettare un gameplay così ancorato alla tradizione. Certamente si poteva modernizzare il tutto, senza snaturarlo, ma Igarashi ha scelto di essere fedele alle sue promesse in modo forse fin troppo letterale. Ci troviamo quindi in bilico: da una parte abbiamo un Castlevania tradizionale su tutta la linea, dall’altra un metroidvania mediocre.
La domanda da farsi è: era questo che veramente volevano da un nuovo Castlevania?