Una storia sulla diversità raccontata attraverso la mitologia scandinava
Border: creature di confine, ultimo film Ali Abbasi che proprio con questa pellicola si è portato a casa il premio Miglior Film in Un Certain Regard al Festival di Cannes dello scorso, è un film che utilizza la alcuni elementi della mitologia scandinava, i troll per la precisione, per raccontare la diversità, l’appartenenza e le reazioni a determinate situazioni sociali, il tutto sopra l’impalcatura di un thriller, molto diluito, che serve per sollevare e far risaltare i personaggi protagonisti, e i loro comportamenti.
Iniziamo dalla trama.
Amore e troll
Tina (Eva Melander) lavora alla dogana, e fin dalla prima scena la vediamo scegliere chi fermare e controllare utilizzando quella che a prima vista definiremmo intuizione, e che poi scopriremo essere un olfatto estremamente sviluppato, in grado di percepire lo stato d’animo – e non solo – dei viaggiatori. Ha una vita noiosa e triste, con un compagno con cui non ha rapporti sessuali e un padre malato ricoverato in un istituto. La prima cosa che salta all’occhio però della protagonista è quella che sembra essere una lieve malformazione al viso. Fin da subito appare evidente che il volto di Tina nasconde qualcosa di diverso da una semplice anomalia.
Il punto di rottura che porta poi al vero inizio del film è l’arrivo di un misterioso viaggiatore, Vore (Eero Milonoff), che Tina non riesce a “leggere” e che in qualche modo l’affascina. Vore ha un viso che somiglia particolarmente a quello della protagonista, e fin da subito è chiaro che i due hanno qualcosa in comune. Quello che condividono non è però evidente nei loro primi incontri – certo è strano che lui mangi gli insetti e che lei sembri avere la stessa tentazione – e la rivelazione, quando avverrà, sconvolgerà l’equilibrio di Tina.
La rivelazione, non è un mistero ed è anche l’unico modo per parlarvi del film, è che entrambi non sono umani, ma troll. Partendo da questo presupposto e dall’evidente ruolo che la specie ha nella società, Abbasi prenderà le mosse per parlare di cosa significa “essere diversi”, e sopratutto di cosa significhi “sentirsi” diversi.
Sentirsi diversi
L’intuizione è ottima per parlare su piani diversi di questa diversità: i troll vivono nella “nostra” società, e sono inseriti solo perché nessuno conosce la loro vera natura. Vengono comunque guardati in modo diverso, perché diversi sono esteticamente. Inoltre, si scoprirà durante la pellicola, i troll si riproducono e accoppiano in modo diverso, hanno abitudini alimentari diverse e reagiscono diversamente a molti stimoli. Controllano però i loro istinti, nel personaggio di Tina, in modo da essere il più irriconoscibili possibile e quindi omologati alle regole che la società impone.
Come è chiaro che sia il regista (e Lindqvist, autore del racconto da cui è tratto il film) prende questi spunti per mostrare cosa significhi liberarsi dai vincoli sociali, e soprattutto come possa cambiare la propria reazione e la propria visione dell’altro, in questo caso gli esseri umani, dopo aver preso consapevolezza di essere stati per anni in catene, emarginati senza saperlo, sradicati nonostante perfettamente inseriti nel tessuto sociale.
La bellezza di quello che diremmo brutto
Border: creature di confine è un film molto lento, che ha bisogno dei suoi tempi per svelarsi, ma che contemporaneamente riesce a mostrare per bello quello che certamente non definiremmo tale secondo canoni estetici tradizionali. La liberazione, la presa di coscienza delle proprie radici, la possibilità di essere finalmente accettati senza doversi più sentire outsider viene brillantemente espressa da Abbasi in diverse scene centrali della pellicola, in cui vediamo Tina finalmente se stessa.
Il regista, in questi momenti specifici, riesce ad estrarre l’interiorità dai suoi personaggi per mostrarcela, sovrascrivendo quello che vedono i nostri occhi, quasi a suggerirci che quello che reputiamo brutto spesso è semplicemente diverso, qualcosa a cui non siamo abituati.
Grande merito va anche agli attori, soprattutto i due protagonisti, che restituiscono prove attoriali di primo livello e la cui trasformazione ha dell’incredibile.
Certo, sicuramente Border: creature di confine è un film non per tutti, data la sua grande lentezza e crudezza, e dato un immaginario piuttosto distante dal nostro. D’altra parte le terre della Svezia sono estremamente affascinanti, e il racconto portato sullo schermo da Abbasi ha la forza delle migliori storie fantastiche, quelle che utilizzano la mitologia, cioè ciò che c’è di antico e noto a tutti, per parlare di qualcosa di contemporaneo, gettandoci sopra una nuova luce.