Borderlands grosso più grosso
Avete presente quel meme con Homer Simpson seduto al bar con lo sguardo perplesso mentre tutti gli altri clienti attorno a lui stanno parlando della stessa cosa? Ecco, è così che mi sono sentito ai tempi del reveal di Borderlands 3. Praticamente tutti i miei amici e colleghi erano lì a gongolare, presi dall’hype e che non vedevano l’ora di mettere le mani sul gioco, esaltati dal primo trailer mostrato, mentre io non riuscivo a capire il perché di tale entusiasmo. Sì ok, il solito goziliardo di armi, Claptrap che fa il cretino, la pistola coi piedi e la solita ironia irriverente e sboccata a cui ci ha abituato Gearbox nel corso degli anni. Ma poi? È davvero tutto qui quello che ha da offrire Borderlands 3?
Mai avrei pensato che le cose sarebbero addirittura peggiorate.
Non è un buon inizio
Ho giocato tutti i Borderlands sempre secondo lo stesso criterio, finendoli ossia prima in co-op e poi da solo. Sono sempre stato un amante del multiplayer locale ed i titoli come quello di Gearbox sembra quasi siano fatti apposta per tale tipo di modalità, così mi sono sempre goduto il gioco in compagnia prima di spolparmelo per bene da solo, e così decido di fare anche questa volta. Quando mi viene assegnata la recensione quindi, chiamo il mio migliore amico e compagno di mille battaglie videoludiche, metto su il caffè e sono pronto ad entrare in partita, quando scopro che Borderlands 3 in co-op locale è veramente… beh, brutto.
Pur volendogli concedere tutte le attenuanti del caso, come il fatto di essere uscito da troppo poco tempo, e il carico di lavoro che comunque deve sopportare la console per caricare le tonnellate di roba presenti nel gioco, nel 2019 e su una console mid-gen come PS4 Pro è impensabile proporre un prodotto così. Scattoso ai limiti dell’inverosimile, framerate più instabili del ciuffo di Vittorio Sgarbi, e con delle scritte sullo schermo inconcepibilmente piccole. E non vi azzardate a mettere in pausa il gioco! Se solo uno dei due giocatori osa premere il tasto Options, l’altro rallenterà in maniera fastidiosissima, per cui non fatelo mai durante una fase concitata della partita. Se poi sono entrambi ad entrare nel menù di pausa, prima di riuscire a spostare il selezionatore da una voce all’altra fate in tempo a riverniciare casa. Imperdonabile.
Deluso e profondamente ferito, mi sento come quando da piccolo volevi mangiare i cereali di una marca in particolare e poi aprivi la dispensa e scoprivi che i tuoi avevano comprato la sottomarca del discount, che “tanto è la stessa cosa”. La stessa delusione di quando passi una vita a cercare di incontrare il tuo idolo e poi scopri che in realtà è un totale deficiente. Ridatemi il mio Borderlands, non è possibile che abbia aspettato sette anni, sciroppandomi nel frattempo quella cagata del Pre-Sequel (anch’esso come Borderlands 3: esagerato, ma non in senso positivo), per questo.
E infatti.
Risalire la china a suon di mazzate
Quando il mio compagno di scorribande decide che se non lo lascio andare a casa mi denuncia per sequestro di persona, mi tocca giocare in single player, e porca miseria se le cose cambiano.
Partiamo nuovamente dalle caratteristiche più ovvie: la grafica. Su PS4 Pro (versione da me provata) e Xbox One X il gioco ti fa scegliere tra Modalità Performance e Modalità Risoluzione, con la prima che predilige la fluidità, e quindi gli FPS, e la seconda la qualità visiva, e quindi la risoluzione. Il consiglio è di scegliere la prima, dato che in uno sparatutto, soprattutto caotico come Borderlands 3, la fluidità e la rapidità sono la prima cosa, e così facendo, nonostante qualche rallentamento sia comunque presente, soprattutto nei momenti immediatamente successivi al caricamento di una nuova zona, il gioco diventa finalmente un piacere per gli occhi.
L’HDR fa finalmente la differenza, i colori più vivi che mai e le ambientazioni sono ricercate e ben realizzate, ed è qui che comincio a sentirmi finalmente a casa.
La storia invece, beh quella in effetti è un po’ un punto debole del gioco, per vari motivi. Va detto che la narrativa di Borderlands è sempre stata piuttosto semplice, per cui non è che ci si sarebbe dovuti aspettare miracoli da questo terzo capitolo, ma la sensazione è che un po’ di solidità in più dal punto di vista della sceneggiature sarebbe stata auspicabile. Gli ingredienti sono i soliti: Lilith ha bisogno del nostro aiuto, noi vogliamo trovare le famose cripte e i cattivoni devono impedircelo. Been there, done that.
Il problema principale da affrontare era invece la mancanza di Jack Il Bello, che tanto ci aveva divertito e fatto incazzare in precedenza, per cui non dico che ci saremmo auspicati i livelli di genialità di Stallone da Culo, ma nemmeno due villain insipidi come i gemelli Calypso. Ok, la presa per i fondelli degli influencer, ma si tratta di due personaggi assolutamente dimenticabili e spesso inutilmente volgari, in maniera davvero poco ispirata.
Borderlands 3 è esagerato. Sempre. In tutto.
Come avrete capito, questa è la caratteristica principale e ricorrente di Borderlands 3: l’esagerazione. E se a volte non ci prende, come nel caso dei due cattivi di cui sopra, in altre occasioni fa centro eccome. Gearbox prende tutte le caratteristiche dei vecchi capitoli della saga e li trasforma, rendendole più carnose, più grandi, più estremizzate. Una porzione extralarge di un gioco che già storicamente ci aveva abituati ad essere bello corposo. E allora ecco più armi, più azione, più nemici, più boss, più subquest, più tutto. E Borderlands 3 è esagerato anche nel male, come ad esempio nella citata co-op split-screen, o nel fatto di ostinarsi ad affidarsi a menù vecchi di sette anni, e ad una struttura delle missioni praticamente identica dal primo capitolo. Niente vie di mezzo, insomma: Borderlands 3 è nato per essere esagerato.
E una delle caratteristiche che più è stata ampliata è l’aspetto GDR del gioco, presente già nei vecchi capitoli, ma qui ampliata e resa davvero molto interessante. I giocatori potranno scegliere tra tre diversi skill tree, ognuno con caratteristiche e con una super diversa. Starà a voi poi scegliere se focalizzarvi su una specializzazione principale o se portare avanti parallelamente le varie abilità, in modo di poter scegliere in battaglia tra una rosa più ampia di soluzioni. Con un po’ di pazienza, grazie anche alla possibilità di effettuare il respec fin da subito, e riassegnare dunque tutti i punti esperienza guadagnati nel corso della partita, è possibile dare al proprio personaggio le abilità che più gli si addicono, anche a seconda del vostro modo di giocare.
Aridatece Stallone da Culo
Per fortuna, dopo un avvio piuttosto lento e quasi noioso, anche la storia inizia ad aprirsi un po’, ed incontreremo qualche personaggio più interessante e meglio caratterizzato. Alcuni sono presi da Tales from the Borderlands, altri invece sono ad esempio i capoccia dietro le industrie che producono le armi del gioco, compagnie che finalmente hanno un volto e una storia e non si limitano ad essere un semplice marchio accanto all’icona del proprio shotgun.
E mentre la storia continua a svilupparsi e ci si comincia ad abituare a tutto ciò che il nuovo capitolo ha da offrire, ci si ritrova all’improvviso ad aver passato ore e ore all’interno del gioco senza battere ciglio. E questa è una cosa che solo i grandi videogiochi riescono a fare.
Borderlands 3 è un gioco pieno di difetti, se siete arrivati a leggere la recensione fin qui ve ne sarete accorti, ma è anche un gioco dannatamente divertente, e troppo spesso ci si dimentica che lo scopo principale di un videogioco è proprio quello. Il gameplay di Borderlands 3 è praticamente lo stesso fin dal primo capitolo, eppure funziona ancora alla grandissima. Certo, ci sono alcune piccole novità, come una sensazione di velocità nel complesso un po’ maggiore rispetto al passato, anche grazie all’introduzione della scivolata, e il fatto di potersi arrampicare con più facilità fa sì che alcune zone della mappa siano sviluppate anche verticalmente. Ma nel gioco in sostanza non si fa che andare dal punto A al punto B e sparare a orde di tamarri urlanti e malvestiti, ed è impossibile riuscire a farlo per tutto questo tempo senza mai annoiare o stancare, se non si ha una solidità invidiabile alle spalle.
‘Cause I’m TNT, I’m Dynamite
Perché sì, Borderlands 3 sarà pure un “more of the same”, nessuno lo negherà. Ma a volte più che una colpa è un pregio. Se una cosa è fatta bene, non stanca, c’è poco da fare. È come ascoltare un disco degli AC/DC. Li riconosci alla prima nota suonata, ti sembrano tutti bene o male molto simili tra di loro, e poi insomma se a settant’anni vai in giro vestito come uno scolaretto, qualche problema dovrai pur avercelo. Ma provateci voi a stare fermi durante Thunderstruck.
Certo, non è per questo esente da critiche. Perché va bene che squadra che vince non si cambia, ma un generale svecchiamento anche solo di caratteristiche “di contorno”, male non avrebbe fatto.
Così come qualcosa in più andava fatto per quanto riguarda l’esplorazione. Il primo Borderlands ha praticamente definito un genere, ma dalla sua uscita sono passati dieci anni, e da allora sono usciti tantissimi giochi che avevano molto altro da offrire oltre alle missioni principali e le side quest. In Borderlands 3 invece si hanno mappe grandi e ben strutturate, ma che sostanzialmente servono solo a spostarsi. Alcune aree le visiterete semplicemente per andare a uccidere qualcuno per completare una subquest, e questo un po’ è un peccato. Si ha insomma quella sensazione di finto open world, che invece ottiene l’effetto contrario di accentuare la linearità del gioco, ed è una cosa che personalmente mi ha fatto un po’ storcere il naso.
I Fab Four
Mi sono piaciuti invece i personaggi. Se il secondo capitolo riproponeva sostanzialmente le stesse identiche classi del primo titolo, Borderlands 3 si rinnova un po’ da questo punto di vista, ed affianca alla sirena e al gunner, anche l’agente ed il domatore. Nonostante i primi due tipi di personaggi restano in qualche modo simili alle loro controparti precedenti, soprattutto scegliendo con attenzione le proprie skill da potenziare l’esperienza di gioco risulta decisamente più varia. E anche l’agente, che dovrà smanettare tra i diversi gadget tecnologici, e il domatore, che invece si fa accompagnare in battaglia da diverse fedeli e feroci creature, offrono spunti divertenti. Insomma, la sensazione è che Gearbox ha quasi “esagerato” anche in questo caso, prendendo spunti dai personaggi già esistenti e mixandoli, creando qualcosa con cui il giocatore ha già familiarità, pur trattandosi di una novità. Un cocktail che ci è piaciuto.
Così come ci è piaciuta la longevità del gioco, probabilmente la più elevata raggiunta da un titolo della saga (che Borderlands 3 sia esagerato l’abbiamo capito a questo punto, no?). Ci vogliono circa trenta ore per completare la storia principale, a seconda di quanto veloci siate e di quanto vi lasciate distrarre dalle missioni secondarie. Oh, a proposito, per le subquest vi consigliamo di scegliere: farle tutte alternandole alla missione principale, o conservarle per l’endgame. Il motivo è presto detto: durante il gioco, le missioni secondarie resteranno del livello al quale le avete accettate. Se ad esempio accettate una subquest di livello 5, sarà abbastanza inutile completarla mentre siete al livello 20, perché le ricompense saranno inutili e la difficoltà sarà ridicola. Una volta terminato il gioco invece, verranno “tarate” a seconda del proprio livello.
Trenta ore, dicevamo, che possono tranquillamente diventare quaranta se decidete di scoprire tutti gli easter egg e le curiosità che è possibile trovare. Aggiungeteci poi l’endgame online, con la sfiziosa modalità orda e quella con la boss battle finale, un pochino meno ispirata, ed insomma la carne al fuoco è tanta. E se pensate che Gearbox ha già annunciato il Season Pass e capirete che più che a un semplice banchetto ci ritroviamo di fronte al cenone di Natale.
Che è ricco, dura tanto e anche se a tratti è noioso alla fine sei sempre contento di aver partecipato. Come Borderlands 3, insomma: esagerato.