Non è period drama. Non è fantasy. Sa solo quello che non è.
Approdata su Sky Atlantic il 22 Gennaio 2018 e co-prodotta dalla suddetta Sky ed Amazon, Britannia, la nuova serie TV basata sulla missione di conquista di Aulo Plauzio nella misteriosa terra dominata da tribù celte, belghe e galliche, prova a conquistare il pubblico a casa offrendo un prodotto che vuole farsi spazio tra i vari Vikings e Il Trono di Spade.
Ci riuscirà?
La serie, che vede come “antagonista”, il generale Plauzio e come protagonisti Kerra, figlia del Re Pellenor, e lo sciamano Divis, senza alcun dubbio parte in maniera incalzante, offrendoci uno sviluppo narrativo sostanzialmente equilibrato, ma ricco di picchi di tensione durante tutto l’arco, regalando allo spettatore ripetute scene di azione, spesso cruente, capaci di mantenere, in buona parte, vivo l’interesse.
Lo sviluppo dello script però si ferma alla sola azione, visto che la contaminazione fantasy fa perdere di vista il vero obiettivo della serie: narrare la conquista romana.
Britannia, infatti, è lontana dall’essere un reale period drama, dati gli innumerevoli errori storici messi in scena (maggiori anche di Vikings), proponendoci numerosissimi soldati romani di evidente origine nilotica e bantu, equipaggiati con armature e suppellettili impropri per il 43 d.C., e l’aver deciso di mostrare gli invasori come dei barbari e spregevoli conquistatori senza cuore.
Non vogliamo certo pretendere una assoluta aderenza alla realtà storica, visto che neppure serie di valore quali The Crow, Narcos, Babylon Berlin o Vikings raffigurano perfettamente gli avvenimenti originali, tendendo sempre a voler romanzare (com’è giusto che sia) la trama, ma la decisione di mettere un Optio di chiare origini africane (non numidiche) della Legio IX Hispania, la quale, al massimo, prese truppe di rincalzo dalle provincie germaniche, ponendolo al fianco di un generale romano, è un errore evidente e fastidioso, tanto quanto l’aver deciso di rendere i Cantiaci ed i Regnensi degli “hipster” nostrani.
Ma pur tralasciando le pecche riguardanti i “dettagli” storici, lo sviluppo narrativo non riesce a rialzare la qualità di una serie che, sostanzialmente, non parte mai.
Caratteristica che viene dettata da una trama confusionaria e spesso sin troppo orientata ad analizzare le arti sciamaniche dei druidi (i quali diventano il vero argomento clou della serie), i loro rituali ed il modo in cui i protagonisti dell’opera si relazionano con questa misteriosa comunità.
Non che sia un aspetto in assoluto negativo, visto che la fascinazione per il modus operandi della comunità celtica rimane un argomento misterioso e sconosciuto ai più, sul quale c’è una grande possibilità di manovra e “gioco” (simile a quanto visto in Vikings), ma il voler orientare quasi esclusivamente lo sviluppo narrativo su di esso fa perdere la rotta allo script.
A tal proposito non riesce a creare interesse nemmeno la figura di Divis (interpretato dal danese Nikolaj Lie Kaas), uno sciamano tanto strano quanto misterioso, ma incapace di far appassionare il pubblico con le sue arti magiche.
Il flusso di quella che a questo punto definiremmo quasi una serie prettamente fantasy, però, nonostante le varie e disparate pecche, permette allo spettatore di seguire con costanza lo sviluppo degli avvenimenti sino all’ultima puntata.
Un interesse che senza dubbio deriva dalla scelta di scenografie importanti, seppur povere, ambientate prevalentemente in Repubblica Ceca (Velka Amerika per la precisione), dagli incastri politici, e non, che vengono attuati per provare a fermare l’invasione straniera, e, soprattutto, dalle capacità attoriali di David Mark Morrissey (Aulo Plauzio), vero motore portante dell’opera, il quale, dopo aver recitato anche in Centurion, si ritrova nuovamente ad impersonare una figura di spicco della comunità romana, finendo per farci fare il tifo, più volte, per lui.
Ma purtroppo Morrissey è una mosca bianca, visto che è capace di rubare totalmente la scena anche agli altri personaggi di spicco del cast, in primis Kelly Reilly (figlia di Re Pellenor), risultando persino sprecato per una serie dal così alto potenziale non sfruttato.
Verdetto:
Britannia è un prodotto che parte da basi molto interessanti, si distacca dal genere “storico”, finendo per venire quasi inglobato del tutto nella categoria “fantasy”, proponendoci uno sviluppo narrativo incentrato fortemente sulle figure dei druidi e le loro arti oscure.
L’interesse si ferma a queste premesse però, visto che oltretutto l’idea del produttore Rick McCallum ( produttore delle prime due trilogie di Star Wars) e del suo team di sceneggiatori di mostrarci, per l’ennesima volta, i soldati romani come crudeli conquistatori e distruttori privi di amor proprio ed incapaci di poter accogliere culture straniere, è a dir poco pessima.
Romani, fortunatamente, guidati però da un bravissimo e convincente David Morrissey, che diventa la figura chiave dell’intero show, provando a farsi carico sia dei pregi che dei numerosi difetti.
Purtroppo, infatti, Britannia finisce per divenire una creatura dal grandissimo potenziale, ma è incapace di sfruttare un argomento affascinante come la spedizione militare di Plauzio, durante la reggenza dell’imperatore Adriano.
Oltre ad un tema non valorizzato, lo script di Britannia pecca anche nell’aver messo in scena più errori storici, tra i quali spicca la decisione di utilizzare figure distanti da quello che erano realmente i romani, scelta che potrebbe far pensare anche al “politicamente corretto”, ma non vogliamo essere maliziosi.
La trama comunque rimane vivace ed un minimo interessante, grazie quasi ed esclusivamente ad alcune dinamiche politiche e religiose messe in scena durante le prime puntate dello show, ma finisce per perdersi in un bicchiere d’acqua già dalla quarta/quinta puntata, offrendo allo spettatore un prodotto incapace di essere un minimo “lungimirante”.