Bubble può sembrare un film in stile Makoto Shinkai, ma invece si rivela qualcosa di diverso e più intrigante
u Netflix è sbarcato in questi giorni un nuovo film animato giapponese di Tetsuro Araki e scritto da Gen Urobuchi, già autore della trilogia cinematografica di Puella Magica Madoka e di Godzilla. Si tratta di un prodotto dalle indubbie qualità tecniche che spiccano all’occhio e ammaliano sin dai primi istanti: il character design è di Takeshi Obata, famosissimo illustratore di Death Note, e assicura un tratto pulito, preciso, mentre le animazioni di Wit Studio, conosciuto negli ultimi anni soprattutto per il lavoro svolto su acclamate serie come Attack of Titan e Villand Saga, si sposano con la regia di Araki per dare un piglio dinamico pieno di piani sequenza vorticosi all’azione. In generale il film ha diversi ritmi ma la resa visiva è sempre di alto livello, anche quando si attesta su passaggi più statici, grazie a panoramiche molto dettagliate e un uso del colore che dona vividezza alla scena, e che si espande in mille sfumature delicate nei primi piani più significativi.
Il film parla apparentemente di una implicita storia d’amore tra il giovane Hibiki e Uta, una misteriosa entità a forma di bolla che prende le sembianze di una ragazza. La storia naviga dolcemente in atmosfere poetiche e oniriche all’interno di questa surreale Tokyo post apocalittica immersa nell’acqua, una storia semplice ma suggestiva in cui la sinfonia e armonia tra immagini, suoni e musica rende la visione emozionante.
Molti film d’animazione giapponese contemporanei puntano sui sentimenti e uno stile artistico delizioso e affascinante, ma, almeno a parere di chi vi scrive, talvolta si rivelano un po’ inconsistenti a livello narrativo. Sebbene si è portati inizialmente a pensare che Bubble sia un altro film bellissimo da vedere ma un po’ povero di significato, devo dire che da questo punto di vista sono rimasto invece sorpreso. Il film di Tetsuro Araki si rivela infatti più sottile del previsto, nonché intellettualmente ed emotivamente intrigante, almeno una volta che si scende a patti con i filtri di una scrittura tipicamente giapponese, che alterna discorsi estremamente didascalici ad altri incredibilmente criptici e pieni di simbolismo. Proprio da tale simbolismo emerge un certo livello di interpretabilità dell’opera, che di per sé, basta a definirla sofisticata e non banale. Per come la vedo io infatti, Bubble non è una storia di due innamorati, ma una storia di due outsider che grazie al loro rapporto, riescono a sintonizzarsi con l’universo.
Hibiki soffre fin da piccolo nella sua realtà, per la sua ipersensibilità uditiva e trova in un certo senso una sorta di pace interiore solo quando si ritrova in un luogo più silenzioso e diviso dal mondo esterno dentro la gigantesca bolla che imprigiona Tokyo, metafora dei giovani che vogliono emanciparsi e cercare la loro indipendenza da quella società giapponese che non rappresenta più la loro generazione. Il ragazzo ha inoltre una connessione particolare con qualcosa di impercettibile per gli altri. Tramite questa capacità, entra in contatto con Uta, la bolla, attraverso il suo canto. Quest’ultima è l’unica a stringere un rapporto affettivo con un essere umano. Uta rimane affascinata da Hikari e non è secondo me un caso che nella sua metamorfosi umana decida di farsi una capigliatura simile a quella del ragazzo, né di praticare il parkour come quest’ultimo.
Di fatto, il film si ispira abbastanza palesemente e dichiaratamente a The Little Mermaid. E attenzione a non cadere in fraintendimenti perché l’amore nella drammatica fiaba di Andersen e in Bubble non è il tema portante nonostante le apparenze, ma è il veicolo che porta ad un messaggio molto più ampio, che è quello della libertà. Bubble parla del volersi esprime liberamente sia sentimentalmente che come individui diversi tra loro, ma parte comunque di un qualcosa. In un certo senso Hibiki che ritrova veramente se stesso cominciando a sorridere e Uta che vuole vivere tra gli umani le gioie della vita, sono quasi la stessa persona.
Non si capisce in che misura e forma sia reale il rapporto amoroso tra i due ma è certo che questo sia solo la mera superficie di ciò che realmente i due protagonisti rappresentano l’uno per l altra. Il loro è un rapporto speculare, il ritrovare se stessi nello stare insieme a livello più trascendentale dell’amore, con una voglia di emanciparsi da una realtà che non li rappresenta anche a costo di combattere contro la natura stessa delle cose, come nel caso di Uta, condannata a non poter nemmeno toccare Hibiki.
Nonostante per brevi tratti sia vagamente ridondante, Bubble è un film che sfugge alla facile retorica che apparentemente gli si potrebbe attribuire perché è denso di elementi da interpretare come espressione del linguaggio artistico e creativo tipicamente nipponico. E dentro ci sono anche concetti, valori e temi di una cultura diversa dalla nostra. Una cultura che tende a raccontarsi in maniera criptica talvolta e sibillina, ma anche in maniera interessantissima quando si scorgono più strati di lettura per chi si presta a svelarli. In questo caso emerge un racconto più maturo e universale di quello che darebbe da far vedere superficialmente. Penso che Bubble sia proprio questo, e perciò non posso che promuoverlo.