Le più belle storie dedicate al calcio sul grande e piccolo schermo, tra film serie tv e… Hooligan
Calcio e cinema costituiscono un binomio particolare. Di film sullo sport più seguito al mondo infatti ce ne sono, ma a conti fatti non sono poi tantissimi in proporzione al numero di persone che lo amano e lo seguono quotidianamente. Proprio per questo forse registriamo un aumento di serie televisive e documentari dedicati al calcio, che spesso si spingono oltre il terreno di gioco per finire sugli spalti, andando a curiosare in quell’affascinante e complesso habitat in cui vivono tifosi ed ultras.
Anche solo considerando la piattaforma Netflix, possiamo trovare molte serie TV tra le più disparate dedicate al celebre sport, come Boca Juniors Confidencial, dedicata alla storica squadra di Buenos Aires, avversaria dell’altrettanto famosa River, oppure l’emozionante e al contempo amara Sunderland ‘Til I Die, che ci fa vivere dall’interno la travagliata stagione del club inglese e della sua retrocessione in Football League One (la terza divisione), o ancora Premier League Legends, show che ci racconta la storia di alcuni dei calciatori più importanti della massima serie inglese.
Hooligan, ma non solo
Come non menzionare poi, sempre restando nella terra d’Albione, The Real Football Factories, docuserie che si rifà al film del 2004 diretto da Nick Love, The Football Factory (tratto a sua volta dall’omonimo romanzo di John King), con protagonista Danny Dyer (peraltro noto supporter del West Ham). L’attore torna anche nello show, ma nelle vesti di “intervistatore”, parlando con i capi di alcune delle tifoserie più violente e più famose del Regno Unito.
La serie TV venne realizzata nel 2006, quindi circa due anni dopo il film, e da un po’ di tempo è disponibile per noi anche su Netflix. Dyer viaggia in tutta l’isola, da Londra allo Yorkshire, alle Midlands fino alla Scozia, mostrandoci le varie sottoculture del Regno Unito legate al calcio e l’importanza che questo sport ha per gli hooligan ma più in generale per il popolo britannico.
Il successo dello show portò addirittura alla realizzazione di una sua versione estesa fuori dai confini del Regno, solo un anno dopo, con The Real Football Factories International, che vanta 8 episodi relativi alle tifoserie di club di tutto il mondo.
Prima delle serie TV, c’erano i film sul calcio
Come abbiamo visto, c’è un grande interesse per ciò rappresenta il calcio sugli spalti o ancor di più fuori dallo stadio, nei quartieri, nei club, nei pub, nelle case. È lo sport del popolo e da sempre identifica un senso di appartenenza e di unione, di particolari valori che chi non ama il calcio a tutto tondo senza dubbio fatica a comprendere.
Il fenomeno più interessante e più studiato in tal senso è quello degli hooligan, parola con la quale la maggior parte della gente tende ad individuare tifosi ribelli e violenti, in particolar modo quelli delle squadre di calcio del Regno Unito. Ma c’è molto di più dietro questa espressione.
La parola Hooligan venne utilizzata per la prima volta addirittura alla fine del 1800, esattamente nel 1898, quando nei propri verbali la polizia inglese etichettò così alcuni tifosi che provocarono tafferugli in prossimità dello stadio.
Negli anni ’60 e ’70 poi quella degli hooligan divenne una sorta di culto, e vennero istituite vere e proprie Firm (ovvero gruppi organizzati), alcune delle quali possono tutt’ora vantare una gigantesca notorietà, come l’ICF del West Ham, o quella del Millwall con cui hanno ancora oggi un’accesissima rivalità, o tante altre ancora.
Fu in un certo senso per via del film del 2005 Green Streets – Hooligans (c’era già un film dal nome Hooligans del ’95, di Philip Davis, ma ebbe poco successo), diretto da Lexi Alexander e con Elijah Wood e Charlie Hunnam protagonisti, che questo fenomeno divenne globale e conosciuto in tutto il mondo. Non che fino al 2005 non si sapesse nulla di queste firm, anzi, ma ad ogni modo la pellicola e il suo successo di pubblico (è ormai una sorta di cult) le hanno rese note davvero a tutti, anche a chi non era particolarmente interessato al mondo del calcio, e molte persone e tanti giovani hanno iniziato ad appassionarsi e studiare questa realtà in maniera più approfondita.
Ma scendiamo un attimo dagli spalti e riappropriamoci del manto erboso. Uno dei primi a mettere in atto il connubio cinema-calcio fu John Huston, regista del celebre film Fuga per la vittoria (1981), ancora oggi una delle più famose ed apprezzate opere su questo sport.
Il film è ambientato nel ’42, in piena Seconda Guerra mondiale, e si ispira ai fatti di Kiev e della “partita della morte” (già due film, Due tempi all’inferno e Il terzo tempo si erano basati su queste vicende) disputata tra ufficiali tedeschi e giocatori ucraini, ma soprattutto può vantare nel cast – oltre a Sylvester Stallone e Michael Caine – grandi calciatori come Pelè e Bobby Moore.
A fare da collante tra gli spalti e il terreno di gioco ci fu poi un altro cult di genere, diretto nel ’97 da David Evans e basato sull’omonimo romanzo di Nick Hornby: Febbre a 90°. Torniamo quindi con il racconto di nuovo in Inghilterra, precisamente nella periferia londinese, e si respirano ancora quelle atmosfere che l’autore britannico, col suo amor di patria è in grado di farci percepire, mescolando luoghi e passioni, con il calcio e l’Inghilterra così come aveva fatto con la musica in Alta fedeltà.
Qui troviamo Colin Firth nei panni di Paul, un fan dei Gunners (Arsenal), e la narrazione fonde molto bene la vita dell’uomo e del tifoso, tra soddisfazioni e delusioni, e momenti tragici come la strage di Hillsborough.
Un film invece in grado di unire vari aspetti del mondo del calcio, da quello giocato a quello vissuto dai tifosi, ma soprattutto analizzando la figura dell’allenatore è Il maledetto United, scritto da Peter Morgan e diretto da Tom Hooper, basato sull’omonimo romanzo di David Peace. Siamo a metà degli anni ’70 e il Leeds United ingaggia Brian Clough, allenatore che aveva portato il Derby County ad uno storico trionfo in Premier e che era visto da tutti come l’uomo in grado di bissare il successo ottenuto con il club dell’East Mildlands. Le cose però non andarono come previsto poiché il coach non riuscì ad integrarsi nell’ambiente Leeds, finendo per essere incredibilmente esonerato dopo soli 44 giorni. Il paradosso fu che poi, nell’esperienza immediatamente successiva, Brian Clough fece la storia del Nottingham Forest, ottenendo uno scudetto e due Coppe dei Campioni e una Supercoppa Europea in tre anni.
Tom Hooper è eccezionale nell’amalgamare queste storie di calcio alla vita, ai successi e agli insuccessi di un uomo che è diventato un’icona del calcio britannico e mondiale, e parte del merito va senza dubbio a Michael Sheen per la sua memorabile interpretazione (c’è anche un eccezionale Timothy Spall nei panni del suo vice Peter Thomas Taylor).
Tra i film che mettono sotto la lente d’ingrandimento leggende del mondo del calcio c’è poi Il mio amico Eric, una particolare commedia ideata proprio dall’ex calciatore Eric Cantona, per la sceneggiatura di Paul Laverty e la regia di Ken Loach. È un’opera molto diversa da quelle già menzionate, poiché l’icona calcistica diventa il pretesto per raccontare una storia di vita, sebbene il calcio e la passione per il Manchester United facciano ovviamente da sfondo.
Proprio la passione per questo sport è il fil rouge che nel corso degli anni ha accomunato film atipici, se vogliamo anche non particolarmente riusciti, ma amati ed apprezzati da chi adora il calcio e con i quali alcune generazioni sono cresciute. Ci riferiamo ad esempio alla trilogia Goal! e alla storia di Santi Munoz, con il primo film che ci ricorda in un certo senso l’esperimento di FIFA “Il viaggio”, oppure potremmo citare un’altra opera in cui il mondo del calcio si mescola al fantastico: Jimmy Grimble. La storia di questo ragazzino di 15 anni, del suo amore per questo sport e per il Manchester City, e dei suoi magici scarpini ci ha fatto sognare, e senza dubbio avrà contribuito ad instillare il seme della passione in molti bambini.
Calcio e cinema in Italia
E in Italia? Il calcio anche qui è per molti una ragione di vita, e per anni la nostra Serie A è stata il cuore pulsante del soccer, ma in pieno stile nostrano è stata la commedia ad impossessarsene, e così la maggior parte di film a tema appartengono al filone comico e demenziale, come L’allenatore nel pallone con Lino Banfi o Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento, con Alvaro Vitali, ma anche commedie più pure come Ultimo minuto di Pupi Avati, con Diego Abatantuono e Ugo Tognazzi.
Passando anche qui alle curve, non possiamo invece non citare Ultrà, film del ’91 diretto da Ricky Tognazzi con Claudio Amendola, Ricky Memphis e Gianmarco Tognazzi, apprezzato dalla critica ma non dai tifosi, che videro in quest’opera una raffigurazione troppo violenta e macchiettistica del loro mondo, decretando peraltro una forte spaccatura tra alcune frange di supporter della Roma e l’attore Claudio Amendola, noto tifoso giallorosso.
Negli ultimi anni è invece uscito nelle sale Il Campione, film del regista esordiente Leonardo D’Agostini, con Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano protagonisti. La pellicola ci parla di Christian Ferro, giovane talento della Roma, che però non sembra avere la testa sulle spalle e gli viene così messo alle calcagna Valerio Fioretti, un professore che dovrà impartirgli un po’ di disciplina. Seppur si tratti di una storia totalmente inventata, Il Campione prende indubbiamente spunto dalla realtà, dal mondo del calcio che pullula sempre più di grandi giocatori non sempre capaci di controllare il proprio talento, e spesso distratti dai soldi e dalla bella vita. Una tipologia di storia già raccontata, con altre modalità, in alcune serie televisive italiane, ma che in un certo senso mancava sul grande schermo.
Nonostante il calcio sia lo sport più amato al mondo, dunque, non sempre è stato dipinto nel modo giusto in film e serie TV, e non ci riferiamo soltanto alla qualità delle opere in sé. Probabilmente non è facile per chi non vive quotidianamente determinate realtà entrare in una dimensione così complessa e dalle numerose sfaccettature e riproporla nella maniera più corretta e fedele possibile, ed è per questo che anche un film di successo come il sopra citato Green Street non è stato bene accolto da alcuni tifosi, che hanno visto nella pellicola una riproposizione romanzata e non del tutto verosimile dei fatti, similmente a quanto successo con Ultrà.
Eppure, a prescindere da tutto, chi ama il calcio non potrà fare a meno di questi capisaldi della cinematografia, e non mancherà di guardare un film o una serie TV ogni qual volta ne usciranno di nuovi. Perché è una passione che ti contagia, e non puoi non volerne vedere sempre di più. Chiudiamo citando il Paul di Febbre a 90°, con un discorso che più di tutti racchiude questi pensieri e queste sensazioni.
“Il calcio ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose. Dopo un po’ ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa. Sono andato a vedere troppe partite, ho speso troppi soldi, mi sono incazzato per l’Arsenal quando avrei dovuto incazzarmi per altre cose, ho preteso troppo dalla gente che amo…
Okay, va bene tutto! Ma… non lo so, forse è qualcosa che non puoi capire se non ci sei dentro. Come fai a capire quando mancano tre minuti alla fine e stai due a uno in una semifinale e ti guardi intorno e vedi tutte quelle facce, migliaia di facce stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione, tutti completamente persi senza nient’altro nella testa… E poi il fischio dell’arbitro e tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?
E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione. Se perdi la finale di coppa in maggio puoi sempre aspettare il terzo turno in gennaio, che male c’è in questo? Anzi, è piuttosto confortante, se ci pensi”.