Nella sua impasse generazionale, Call of Duty Modern Warfare 2 perde l’ennesima occasione di innovare e preferisce la strada più semplice e fruttuosa
evo confessarvi che giocare e parlare di Call of Duty Modern Warfare 2 si è rivelato abbastanza sconvolgente per me. Sono ormai decenni che la serie Activision arriva annualmente sui nostri schermi, unica anomalia del sistema insieme ai giochi sportivi, e il fatto di uscire mentre ancora il conflitto russo-ucraino sembra lungi dal terminare mi ha messo addosso un certo senso di inquietudine, non posso nasconderlo. Eppure il suo successo è sempre dilagante, talmente enorme da mettere sotto scacco il famoso accordo di acquisizione di Microsoft e al di là del mercato, è evidente il motivo per cui anche questo capitolo attragga continuamente pubblico, grazie ad un’offerta ludica mai così variegata ed efficace.
Dopo un’installazione lunga e tempestosa, per via di una mole di contenuti davvero ingombrante su qualunque piattaforma di riferimento, ho deciso di seguire le mie tradizioni personali ed iniziare la campagna. La trama riprende in modo vago gli eventi del precedente capitolo, ambientati nel nostro presente, e sviluppa una storia piuttosto tradizionale con un plot-twist inaspettato. La narrazione degli eventi è affidata esclusivamente a cinematiche tecnicamente spaventose per dettagli e animazioni, al punto da rendere fin troppo evidente il passaggio da filmato a gioco e viceversa nonostante l’adozione di un nuovo engine grafico.
Come accennavo all’inizio, ho vissuto con molta inquietudine gli avvenimenti narrati, in nome di una presa di coscienza del fatto che ciò che accade nel gioco è potenzialmente reale, piuttosto che semplicemente realistico. Il tutto poi associato ad un’esaltazione generale dei vari personaggi che invece, grazie ad una sceneggiatura giocosa, sembrano quasi consapevoli di essere in un videogioco. È indubbiamente un mio problema, non mi vergogno ad ammetterlo, ma mi ha colpito abbastanza da ritenerlo importante da inserire in questa analisi. Altro aspetto che mi ha stupito, inoltre, è la decisione di Infinity Ward di utilizzare la campagna come una sorta di sandbox dove sperimentare nuove soluzioni di gameplay. Per esempio, in occasione del colpo di scena summenzionato, ci ritroveremo disarmati e al centro di una caccia all’uomo: la nostra sopravvivenza dipenderà dunque dalle nostre abilità di infiltrarci senza essere visti, ma anche nello sfruttare in modo intelligente diversi oggetti sparsi in giro. In parole povere, crafting: una lama di un ventilatore ed una corda, per esempio, possono diventare un utensile per aprire una porta, fino ad arrivare alla creazione di bombe fumogene o velenose con dei solventi.
L’impressione generale è che il filo rosso che unisce tutte le 17 missioni della campagna sembra il dover catapultare il giocatore in un numero assai variegato di situazioni, cercando di rendere appetibile uno degli elementi più trascurati man mano che la serie di Call of Duty si espande verso lidi sempre più multigiocatore. Mi sento però di aggiungere che forse il problema risiede anche in una pigrizia creativa sul fronte delle sceneggiature, che cercano di emulare in modo dignitoso la fantapolitica del fu Tom Clancy portando però avanti un ideale di guerra sempre troppo virtuoso, rendendo inutili anche le classiche citazioni che appaiono in punto di morte, popolate addirittura da frasi dei personaggi della serie. Un problema che ormai affligge da tempo immemore le campagne di gioco, dove gli sviluppatori sembrano più impegnati a mettere le mani avanti sulla volontà di creare un gioco scevro di politica, fallendo su tutta la linea.
Come accade da diversi anni, il grosso del lavoro svolto da questo Call of Duty Modern Warfare 2 è incentrato sull’ampliamento delle modalità online, con la modalità Warzone 2.0 a fare da punta di diamante dell’offerta. La Battle Royale esce rinnovata grazie a tutta una serie di nuove meccaniche pescate un po’ ovunque per rinfrescare la formula. Si parte dalla revisione del celebre Gulag, sistema di ripescaggio dove stavolta ci si scontra 2 vs 2 e, eventualmente, si può decidere di fare fronte comune per uccidere il secondino, un Juggernaut che, se sconfitto, permette a entrambe le coppie di tornare in partita.
Altra novità è la presenza di roccaforti, vaste location abitate da nemici comandati da IA che possono dare ulteriore filo da torcere ai giocatori che decideranno di buttarsi in questa bolgia ad alto tasso di adrenalina che è la nuova mappa di Al Mazrah e che, personalmente, mi ha solo confermato quanto sia davvero una pippa al sugo nei Battle Royale. In soldoni, Warzone 2.0 non si applica minimamente per offrire un’esperienza originale, bensì mette in un unico pacchetto free-to-play qualunque cosa possa rivelarsi utile ad attirare pubblico, persino inserendo la terza persona.
A conferma di quanto detto, viene introdotta la modalità DMZ, che abbraccia le logiche survival e più orientata al PvEvP, tuttora in Beta. La mappa di gioco è la medesima di Warzone, ma è perlopiù abitata da nemici IA e una vasta pletora di obiettivi da portare a termine, in attesa che finisca il countdown e ci venga permessa l’estrazione. La mia iniziale curiosità ha però lasciato spazio a molte perplessità, legate ad una struttura di gioco ancora molto acerba e che perde molto fascino dopo quale partita. Il sistema di missioni legato alla singola sessione, per esempio, ma anche la sensazione di mettersi in gioco per un bottino tutto sommato dimenticabile.
Non mi sento di dare un giudizio lapidario visto che non parliamo di un prodotto completo, tuttavia avrei trovato più opportuno tenere DMZ ancora in lavorazione interna e offrire un “antipasto” più raffinato.
Chiude il cerchio il classico multiplayer, un mondo ormai cristallizzato e quasi antico rispetto al resto, ma comunque sempre popolato e ancora valido. Probabilmente il motivo è proprio legato all’aver smesso di rincorrere i trend di mercato ed essere tornati ad un combattimento più “realistico” e compassato, decisamente più identitario rispetto alle meccaniche di combattimento aereo, a metà tra Titanfall e Attacco dei Giganti, che ho sempre reputato come un tentativo di rincorrere i trend multiplayer del momento, ormai appannaggio delle modalità dove la remunerazione è ben maggiore. Difatti è stata la porzione di gioco dove ho trovato maggior divertimento, vuoi per una memoria muscolare che non mi abbandona, vuoi perché anche in squadra il multiplayer classico mi sa intrattenere anche senza un gruppo di persone.
Lo riconosco, questo articolo potrebbe sembrare un po’ sterile sotto vari punti di vista, soprattutto se siete abituati ad aprire wall of text che vi consigliano l’ennesimo titolo di una serie che l’anno prossimo spegnerà ben venti candeline. Il punto è che Call of Duty Modern Warfare 2 è un capitolo di transizione generazionale col freno a mano volutamente tirato, nel nome di una serie che non vuole rivoluzionare nulla ma finge di essere inclusivo per il puro gusto del profitto. E sarebbe anche lodevole se si parlasse di manovre nello stile Apple, nota per introdurre funzionalità che esistono da anni ma con uno stile quanto meno personale e, a volte, vincente. D’altronde le copie vendute saranno sempre inferiori ai Battle Pass venduti, perciò forse è anche inutile chiedere particolari sforzi creativi o cercare di disinnescare polemiche legate a un’esaltazione della guerra che, prima ancora che spiccatamente americana, è figlia di una rincorsa ai profitti che non deve avere tregue.