Al cinema arriva un nuovo capitolo della saga di Candyman, con delle interessanti riflessioni sociali da porre
Nel 1992 il regista Bernard Rose scrive e dirige Candyman – Terrore dietro allo specchio, film dell’orrore che ha portato a ben due seguenti durante gli stessi anni ’90. Il film di Rose girava intorno alla leggenda popolare di Candyman, un assassino afroamericano con un uncino al posto della mano destra, che poteva essere evocato se si pronunciava il suo nome cinque volte davanti ad uno specchio.
Circa trent’anni dopo, la storia di Candyman ritorna al cinema con un sequel diretto dell’originale del 1992. A produrre troviamo il regista Jordan Peele e a dirigere la giovane Nia DaCosta, alla sua seconda esperienza dietro alla macchina da presa.
Il film segue le vicende di Anthony McCoy, artista che attraverso i suoi dipinti cerca di denunciare le ingiustizie inflitte nei confronti degli afroamericani. Vive in un bell’appartamento insieme alla propria ragazza, Brianna, che fa la gallerista e si occupa in parte di esporre il lavoro nel proprio compagno alla scena artistica contemporanea di Chicago. Un giorno Anthony si appassiona alla storia di Candyman e decide di dedicare a lui la sua prossima installazione: un semplice specchio dove chi osserva viene sfidato a pronunciare il suo nome per cinque volte. Ovviamente, l’uomo con l’uncino viene evocato da dei malcapitati che finiscono inevitabilmente uccisi nei peggiori modi possibili.
Se nel film del 1992 si poteva già intravedere un forte commento sociale sulla ghettizzazione degli afroamericani negli Stati Uniti, in questo nuovo rifacimento il sottotesto sale in superficie e diventa il punto focale di tutto il racconto. Nia DaCosta rende infatti chiara la direzione politica della propria opera: vuole parlare alla contemporaneità e criticare non solo il razzismo sistemico, ma anche la presa di posizione in merito della classe afroamericana più benestante. La vita da artista del protagonista è infatti una vita privilegiata, da alta borghesia, che ha dimenticato le proprie origini. È solo quanto Anthony scopre la storia di Candyman, che riscopre gli orrori del passato e l’eredità culturale dello stesso quartiere in cui vive, ora trasformato da un ghetto a un posto rispettabile per merito della gentrificazione.
La figura di Candyman finisce per rappresentare tantissime cose. È una leggenda metropolitana che vive tra i sussulti e le grida di chi crede di aver intravisto un uomo allo specchio, ma è anche il marchio indissolubile di chi nel corso del tempo è stato brutalizzato a causa del colore della propria pelle. È interessante infatti notare come, nel corso della saga cinematografica (ma anche di questo film stesso) le origini di Candyman cambino ogni volta. Esiste sempre una versione diversa, trasformata e rimodellata nel tempo dalla tradizione orale e il passaparola.
Non è un caso che dietro all’intera produzione, ci sia anche l’autore che più di tutti negli ultimi anni si è distinto nella realizzazione di un cinema di genere con un forte commento sociale di base. Jordan Peele con Get Out e Noi, è diventato il padrino di una nuova ondata di cinema horror. Insieme ad altre produzioni recenti come Antebellum e His House, questo nuovo film di Nia DaCosta si piazza perfettamente all’interno di un genere che ha ancora moltissimo da dire.
La regia è inoltre impeccabile. Il film è in grado di terrorizzare attraverso l’immagine trovando sempre dei nuovi modi interessanti per riprendere i suoi sanguinolenti omicidi (fantastica anche la sequenza dei titoli di testa).
Tra gli altri pregi del film è impossibile non citare le magnifiche interpretazioni degli attori, tra cui su tutti spicca il protagonista Yahya Abdul-Mateen II, famoso per aver recitato nella recente serie tv di Watchmen e nel film di Acquaman.
Candyman non è ovviamente un film perfetto. Alcune sequenze sanno di pura violenza gratuita mentre quasi la totalità del terzo atto si perde in complicate deviazioni narrative che indeboliscono leggermente la forza della storia nel suo complesso, ma nulla che ad ogni modo rovini completamente o irrimediabilmente l’esperienza.
In definitiva il Candyman di Nia DaCosta è un ottimo film dell’orrore che sfrutta il genere per parlare di tematiche sociali, purtroppo, ancora contemporanee alla nostra realtà. Lo fa dirigendo un’ottima macchina da presa e un grande cast di attori; un film da non perdere adesso nelle sale e che consacra DaCosta come una delle figure emergenti più interessanti del nuovo panorama horror.