E non rimane nemmeno l’osso
Cane mangia Cane, una delle più famose opere letterarie di Edward Bunker, finisce sul grande schermo grazie alla trasposizione (nelle nostre sale dal 13 luglio) del regista Paul Schrader, noto ai più per aver sceneggiato Taxi Driver.
La storia è quella di tre uomini usciti da poco di prigione, legati da un’amicizia nata dietro le sbarre e dalle necessità di reintegrarsi nella società, con tutte le difficoltà del caso.
Il capo della combriccola è Troy (Nicolas Cage), poi ci sono Mad Dog (Willem Dafoe) e Diesel (Christopher Mattew Cook). Ai tre capiterà ben presto l’occasione per mettere in atto il colpo perfetto, ma sanno con certezza una cosa: non possono commettere errori e nessuno di loro vuole finire di nuovo in prigione. Costi quel che costi.
Trasformare in un film una delle storie noir di Eddie Bunker può essere per certi versi relativamente semplice, mentre per altri tremendamente complicato.
Partendo dal presupposto che ogni adattamento è – e dovrebbe essere – una storia a sé, le opere del Mister Blue de Le Iene di Tarantino (ebbene sì, Bunker è proprio lui) rappresentano un’overdose di sensazioni viscerali ed autentiche che non possono non essere trattate con i guanti e il più fedelmente possibile, adattandosi naturalmente allo stile del regista che va a confezionare la propria opera.
Questo perché Bunker non è uno scrittore come tutti gli altri. Fu condannato per rapina, e dietro le sbarre iniziò ad impugnare carta e penna. Attenzione: non uno dei tanti criminali (passateci il termine) che una volta dentro diventa scrittore, ma un vero autore che scopre e ci fa scoprire un talento fino a quel momento sopito.
Schrader cerca di riproporre sul grande schermo l’intensità del libro di Bunker utilizzando uno stile particolare, regalandoci uno stravagante action movie che alterna momenti di assoluta serietà a situazioni grottesche, condendo il tutto con una salsa psichedelica e a tratti allucinogena che spesso si rivela però eccessiva, stordendo lo spettatore più del dovuto.
L’introspezione dei personaggi è uno degli elementi meglio riusciti di tutto il film, ed in questo il cast sa aiutare perfettamente. Nicolas Cage è abituato a fare la parte del più forte, così come non ci stupiamo della strepitosa performance di Willem Dafoe, che mette in scena un criminale che rispecchia esattamente il soprannome affibbiatogli, Mad Dog. La follia ricopre per intero il suo personaggio e cade come un grosso velo sopra tutta l’opera, restituendoci per lunghi tratti una narrazione schizofrenica e convulsa che se da un lato ci incuriosisce e ci attrae, dall’altro ci fa chiedere troppo spesso dove si voglia andare a parare.
Il personaggio di Cook, ovvero Diesel, è invece quello a cui viene dedicata una più certosina introspezione, e ci lascia percepire il disagio di un uomo che sa di aver sprecato la propria vita, mostrandoci spesso una grande umanità, ma stupendoci in altri contesti per lo squilibrio delle proprie azioni, chiaro segnale di un’indole sospesa tra bene e male.
Con un trittico del genere, il gioco dovrebbe essere piuttosto facile.
Eppure Schrader ci mostra tutte le sue difficoltà nel rendere fluida la narrazione ma soprattutto quelle di dare una certa profondità al racconto, che avvertiamo invece troppo stretto e raggomitolato; non riesce a prendere aria e a respirare per bene, come fosse chiuso dietro quelle stesse sbarre che hanno bloccato i protagonisti per molti anni.
Gli effetti ottici psichedelici sono un escamotage troppo confuso che, in un contesto del genere, già smisuratamente soffocante, non fa che chiudere la porta in faccia alla narrazione senza lasciarci godere quasi mai di quel minimo di action che ci aspettavamo da una trasposizione di un’opera di Bunker.
Un pregio è sicuramente quello di saper far rivivere ai lettori e ai fan dell’autore alcuni momenti molto intensi, come tante delle situazioni davvero al limite di Mad Dog, ma Schrader esagera e punta all’eccesso, lasciandosi la storia alle spalle.
Il tutto viene amplificato da un finale del tutto esasperato, che ci lascia storditi e con la bocca aperta ma che ci fa anche stranire per la sua inconcludenza.
Di sicuro a livello visivo è un’opera che possiede degli spunti interessanti e potrà piacere, in tal senso, agli esteti di un certo tipo di cinema. Un discorso simile lo si può fare per quanto riguarda alcuni tecnicismi particolarmente apprezzabili, che ci danno un’ulteriore conferma della bravura e dell’esperienza di un regista come Schrader, oltre che dell’ottimo lavoro della sua troupe. Dalle suggestive scelte cromatiche, all’affascinante fotografia, per passare poi all’asprezza di alcune scene, dure e cruente, un condensato di situazioni che ci ricordano però che dietro quell’esercizio di stile voluto dal regista c’è un action mancato che trattiene il respiro per 90 minuti.
Verdetto:
Trasformare in un film una delle storie noir di Eddie Bunker può essere per certi versi relativamente semplice, mentre per altri tremendamente complicato. Il tutto è reso evidente dalla particolare regia di Paul Schrader, che soffoca l’azione stringendola in una narrazione convulsa e costretta in un labirinto dalle tinte psichedeliche. Tanti tecnicismi che alcuni esteti di un certo tipo di cinema apprezzeranno molto, ma sacrificare il flusso per tutto ciò, non è esattamente ciò che ci aspettavamo dall’approdo di Cane mangia Cane sul grande schermo.