Cani in Giappone: la storia delle razze autoctone
Bulldog francese, pastore tedesco o maremmano, Alaskan Malamute… ci sono tantissime razze canine legate al loro Paese di provenienza e anche i cani in Giappone non fanno eccezione. Nel corso dei secoli, per non dire millenni, da quando il processo di domesticazione ha portato il cane al fianco dell’uomo, anche in terra nipponica sono nate razze particolari, grazie all’ibridazione avvenuta con quelli portati dal continente. Fin dal periodo Yayoi (III seolo a.C.), infatti, si possono notare caratteristiche specifiche, come le orecchie a punta e la coda arrotolata e spesso dimensioni non troppo grandi poiché venivano usati principalmente per caccia di piccole prede e uccelli.
In Giappone i cani locali ricevono da sempre trattamenti di favore, tra i quali, ad esempio, la protezione delle varie razze durante gli anni precedenti la guerra, per fomentare il nazionalismo dell’epoca e per evitarne la graduale scomparsa dovuta alla presenza di razze straniere importate. Per quanto bizzarro possa sembrare che addirittura una razza canina contribuisca al sentimento nazionalista di un Paese, in questo modo si riuscirono a salvare e stabilire gli standard di razze oggi molto conosciute e apprezzate, come l’Akita Inu e lo Shiba Inu, anche grazie all’istituzione della NIPPO, Associazione di conservazione del cane giapponese.
I cani nel folklore giapponese
Nel rispetto della religione shintoista, connessa in modo particolare alla natura, anche il cane, nonostante la scarsa iconografia rispetto al gatto (altro animale da compagnia molto amato in Giappone) fa parte dell’immaginario folkloristico, seppur in forma minore rispetto ad altre figure animalesche come la volpe o il tanuki.
Una delle più suggestive e inquietanti manifestazioni canine è quella dell’inugami, uno spirito servitore che poteva essere creato da un onmyoji, un esperto di arti magiche e occulte. Come la volpe e altri yokai, è capace di compiere una possessione demoniaca, poiché verrebbe usato per motivi di vendetta o come protettore di colui che lo ha generato. Creare un inugami è una pratica rischiosa, dato che potrebbe rivoltarsi contro il padrone e, in fondo, ne avrebbe tutto il diritto poiché il rito di creazione è piuttosto crudele: si credeva che un cane dovesse essere seppellito fino al collo, ponendo del cibo vicino che l’animale non potesse raggiungere.
Durante i giorni passati in quello stato, fino alla sua morte, il padrone avrebbe dovuto ripetere al cane che la sua sofferenza non era paragonabile alla sua. Una volta deceduto, lo spirito del cane si sarebbe placato proprio con il cibo lasciato per lui e, in questo modo, sarebbe stato nuovamente al servizio del suo padrone, che sarebbe diventato temuto ma rispettato. Tuttavia, il padrone avrebbe dovuto badare a non irritare mai il proprio inugami o questi lo avrebbe posseduto una volta compiuta la sua missione.
Un essere meno pericoloso ma sempre di forma vagamente canina è il komainu. Il nome, infatti, contiene la parola inu, che significa proprio cane, ma sarebbero in realtà dei leoni di pietra. Questi sono posti davanti agli honden, gli edifici più interni dei santuari shinto dove viene conservato “il corpo” del kami venerato, oppure davanti ai templi buddhisti. Di norma i komainu fanno la guardia a coppie, uno con la bocca aperta e l’altro chiusa, che simboleggiano rispettivamente la pronuncia di due lettere, a e um, che indicano l’inizio e la fine di tutte le cose e che unite creano la sillaba sacra Aum.
Comunque li si veda, i cani in Giappone ricoprono un ruolo di protezione e allo stesso tempo sono considerati giustamente degni di rispetto in quanto forti e nobili, come altri animali amati in passato. A questo ha sicuramente contribuito l’amore dimostrato dallo shogun Tsunayoshi Tokugawa. Si dice, infatti, che, essendo nato nell’anno del Cane e venendo influenzato da un monaco buddhista che gli disse di essere stato un cane in una vita precedente, lo shogun decise di implementare la pena di morte per chiunque maltrattasse questi animali, ordinando anche che ci si riferisse loro con titoli onorifici e creando altre leggi apposta per loro. In realtà, le azioni di Tokugawa probabilmente furono influenzate dal Confucianesimo, col quale venne educato fin da piccolo dalla madre, valorizzando virtù come compassione e benevolenza, che si può dire siano le stesse che spesso ci dimostrano e insegnano i nostri amici pelosi.
Vita da cani nel Giappone moderno
Ma a proposito di onori, si può dire che li abbiano davvero ricevuti tutti almeno i cani della famiglia imperiale: è noto l’amore che l’imperatore Naruhito, sua moglie e le principesse nutrono per i vari cani adottati negli anni, ai quali hanno dedicato qualche volta degli aneddoti durante alcune conferenze stampa. In particolare, Yuri è una cagnolina di ormai 11 anni che ha accompagnato spesso la famiglia nelle sue rare apparizioni pubbliche e, contro ogni aspettativa per un cane reale, è di razza mista e dunque senza pedigree.
Oltre a titoli onorifici o nobiliari, comunque, in Giappone si sono creati anche nei confronti dei cani dei modi di dire o proverbi come accaduto con i gatti, anche se di altro tenore.
Ad esempio, Inu mo arukeba bou ni ataru significa più o meno “anche un cane può incappare in un bastone mentre cammina”. Questo kotowaza (proverbio) è curioso perché può avere due interpretazioni: quella positiva vuole essere simile al nostro “la fortuna aiuta gli audaci”, poiché il cane ha trovato un bastone con cui giocare, mentre si può vedere questo evento come negativo e dunque il proverbio ricorda che nella vita accadono anche cose spiacevoli (nel caso del cane, essere colpito col bastone).
Un altro detto interessante è Ken’en no naka, una versione più stramba del nostro “litigare come cane e gatto”: in Giappone gli animali coinvolti in questo detto sono un cane e, stranamente, una scimmia! Questo perché da sempre, in Giappone, cani e scimmie non vengono considerati animali che vanno d’accordo tra loro, forse anche per via del racconto di Momotaro, il ragazzo-pesca (ve ne abbiamo parlato nel nostro podcast!), nel quale il protagonista è accompagnato da un cane, una scimmia e un fagiano e i primi due si azzuffano in continuazione. Questa però è una credenza popolare, in realtà i cani continuano ad essere compagni apprezzatissimi in Giappone. Forse anche troppo.
In Giappone si preferiscono i cani ai figli
Sappiamo tutti che il Giappone ha una percentuale piuttosto bassa di nuove nascite, provocata dalla stagnazione economica in cui versa il Paese e causa a sua volta di un innalzamento dell’età media. La maggior parte delle persone fra i 20 e i 34 anni vive ancora con i genitori e non può permettersi di andarsene di casa e sposarsi, prerequisito praticamente indispensabile per metter su famiglia. Eppure, per i propri cuccioli le stesse persone spendono migliaia di yen.
D’altronde, se da una parte il Giappone sembra essersi autoimposto una legge non detta di “figli unici” e in pochi possono far frequentare l’asilo ai propri bambini, nonostante gli incentivi introdotti dal governo (periodi di maternità, benefit e asili statali), per i cani sono spuntati come funghi tutta una serie di attività e servizi per coccolare al meglio gli amici a quattro zampe. Passeggini per andare a spasso, saloni di bellezza, addirittura onsen (terme) con bagni rilassanti e lezioni di nuoto, cibo gourmet… l’industria per gli animali da compagnia vale milioni di yen e comprende perfino cerimonie funebri con il rito buddhista completo, con la cremazione che può costare quasi un milione di yen (qualcosa come 8000 dollari, al tasso odierno).
Insomma, l’equivalenza tra cani e figli, per molti padroni, parrebbe essere vera e sarà molto difficile, per il Giappone, convertirla per risollevarsi economicamente e demograficamente. Soprattutto se consideriamo anche l’esistenza degli inu café: stesso concept dei neko café, nei quali si può prendere un drink, un caffè o un dolcetto e giocare con gli animali ospitati dai locali, nati apposta per soddisfare il desiderio di chi non può permettersi di avere un animale domestico.
L’altra faccia della medaglia di questo mondo scintillante, naturalmente, è più oscura: sono purtroppo centinaia di migliaia i cani e i gatti soppressi annualmente, con metodi che lasciano davvero basiti se si pensa a quanto detto finora. Nonostante ciò, le cifre degli animali domestici continuano ad aggirarsi di molti milioni al di sopra di quelle dei bambini sotto i 15 anni, poiché aver a che fare con un cane appare innegabilmente più semplice del gestire relazioni complesse che dovrebbero portare ad una sistemazione.
Cani nella cultura pop giapponese
Ovviamente anche la cultura pop è invasa da immagini, pupazzi e qualsiasi altra forma di carineria dedicata ai cani. In anime e manga sono spesso scelti come amici fedeli dei protagonisti e aiutanti in varie situazioni: il primo che viene in mente è il simpatico Akamaru, compagno di Kiba, in Naruto. I due sono inseparabili e le tecniche ninja di Kiba sfruttano appieno la forza di Akamaru, che ha più volte mostrato la sua devozione.
Lo stesso si può dire di Sadaharu, inugami presente in Gintama, nei confronti di Kagura e degli Yorozuya. La sua personalità è palesemente basata sulla natura dello spirito canino di cui abbiamo parlato, come dimostrato dalla sua tendenza a mordere chiunque, specialmente Gintoki, e altri suoi comportamenti parecchio invadenti e talvolta violenti!
Violenza che troviamo spesso nel corso della serie de Le bizzarre avventure di Jojo, ma proprio nei confronti di cani e animali, che sono spesso coinvolti nelle battaglie dei protagonisti, tanto che la PETA protestò quando venne mandata in onda la stagione di Stardust Crusaders, con tanto di cartelli con scritto “Take a Stand Against Animal Cruelty”. Ironico, se pensiamo a Iggy e al fatto che avesse uno stand come gli umani.
Infine, non possiamo fare a meno di citare l’ultimo grande esempio di amore canino, conosciuto da tutti in Giappone e all’estero: Hachiko, il fedele Akita Inu che attese con pazienza il ritorno del suo padrone alla stazione dei treni e che morì nella speranza di rivederlo ancora una volta. Oggi la sua statua, pur non essendo l’originale installata a Shibuya nel 1934 (venne sciolta per la raccolta di metallo per la costruzione di armi durante la guerra), è un punto di ritrovo quotidiano per molti tokyoti e turisti, mentre lo spirito di Hachi per fortuna riposa in pace assieme al suo padrone.