Il nuovo anime di Watanabe offre spunti di riflessione sull’arte e come potrebbe evolvere con la tecnologia
Carole & Tuesday è un anime di Shinichirō Watanabe (celebrato autore tra gli altri di Cowboy Bebop e Samurai Champloo), prodotto dallo studio Bones per celebrare i venti anni anni di attività. È composto di 24 episodi, di cui i primi 12 andati in onda in Giappone a partire da aprile, e distribuite a livello internazionale su Netflix a partire dal 30 agosto. La parte restante della serie è attualmente in corso, e arriverà su Netflix probabilmente entro l’anno.
La storia di Carole & Tuesday è ambientata su Marte, ampiamente colonizzato e abitato. Per la verità il contesto marziano non influisce molto sulla trama, e l’ambientazione potrebbe essere una qualunque città del futuro, dove il maggior impatto dell’avanzamento tecnologico è costituito dalla presenza massiccia di robot e intelligenze artificiali nella società. In questo contesto conosciamo Tuesday, diciassettenne figlia di un’importante figura politica, che scappa di casa con la sua chitarra per andare nella capitale Alba City, in cerca di opportunità per far conoscere la sua musica. Proprio ad Alba City conosce Carole, coetanea che si divide tra lavori occasionali e musica di strada. Le due scoprono da subito una forte affinità e iniziano insieme il loro percorso verso la fama.
Carole & Tuesday: piano e chitarra contro software e IA
Le due giovani protagoniste della serie hanno una particolarità che le contraddistingue rispetto agli altri musicisti della loro epoca: compongono ed eseguono i loro pezzi di persona, senza l’utilizzo delle IA. Si scopre presto infatti che la musica che gira in questa società marziana è interamente prodotta da software appositi, e che cantanti, band e dj sono poco più che frontman, figure che si limitano a esibirsi per dare riconoscibilità ai pezzi, ma senza davvero contribuire alla loro creazione.
In questo, Carole e Tuesday adottano un approccio completamente opposto. La semplice mancanza di mezzi le porta a scrivere, eseguire e improvvisare le loro canzoni. Una loro prima esecuzione clandestina in un teatro chiuso viene ripresa e diffusa online, e attira le attenzioni di alcuni addetti ai lavori. Il primo a notarle è Gus, ex batterista di una band e produttore musicale in disgrazia, che vede in loro il talento necessario per portarle alla ribalta. Sarà lui a condurle nei diversi tentativi di affermazione, prima cercando di realizzare un video, poi con qualche concerto e infine con la partecipazione al talent show Mars Brightest.
Ma non è lui l’unico a notarle. Nel percorso di ascesa di Angela, famosissima supermodella la cui carriera viene pilotata dalla madre verso la musica, il misterioso Tao, programmatore di IA che cura proprio la creazione della sua identità musicale (con un procedimento che ricorda molto quello visto nell’ultima stagione di Black Mirror, nell’episodio con protagonista Miley Cyrus), rimane affascinato da questo duo così grezzo e imprevedibile. Anche molti cantanti all’apice della fama che incrociano la loro strada rimangono colpiti dalla purezza dei testi e semplicità della musica. Carole e Tuesday hanno ancora quella fiammella di spontaneità che loro hanno dovuto imbrigliare e lasciar coltivare ai software dedicati per poter arrivare al successo.
Siamo pronti per l’arte prodotta dalle IA?
Il tema del software produttore di arte come viene prospettato in Carole & Tuesday può apparire come un’esagerazione, qualcosa di remoto e improbabile. In realtà, la creazione di opere da parte di IA (non solo musicali, ma anche letterarie o visive) non è solo vicina, è già in corso. Certamente si può discutere sul fatto che lo stato attuale della tecnologia non ci permetta di parlare di vere e proprie IA, tuttavia gli algoritmi che ad oggi sono la migliore approssimazione di un’intelligenza artificiale paiono già sufficienti per assolvere questo compito.
Generatori automatici di testo e chatbot esistono almeno da vent’anni, e sono sempre stati facilmente riconoscibili. Ma l’IA sviluppata in tempi recenti è diventata piuttosto brava ad analizzare opere prodotte dagli umani e individuarne gli schemi per generare imitazioni molto convincenti, grazie soprattutto ad approcci come l’adversarial machine learning.
Volendo metterla in termini di Test di Turing, un giudice qualunque difficilmente potrebbe distinguere un lavoro ottenuto in questo modo da uno scritto da una “persona vera”, tant’è che ci sono già casi di racconti scritti da IA selezionati all’interno di premi letterari. La stessa cosa si estende anche all’arte visiva, con i primi dipinti creati dalle IA che sono stati venduti a prezzi esorbitatnti, e alla musica, grazie a programmi che sono in grado di comporre pezzi basandosi su alcune istruzioni di partenza come il genere e il mood di riferimento.
L’obiezione che si fa in questi casi è che una cosa è la semplice “produzione di un contenuto” che si basa su quelli precedentemente acquisiti, un’altra è il processo creativo che porta alla nascita di qualcosa di nuovo e originale. Tutto molto vero. Ma siamo sicuri che la discriminante sia il fatto che a svolgere questo procedimento sia un umano o un programma? Bisogna innanzitutto considerare il confine molto sottile tra la parte del lavoro artistico che è pura espressione di creatività e quella che invece è bassa manovalanza. Quando un pittore dipinge qualcosa, quanto del valore della sua opera sta nello spunto iniziale e quanto in ogni singola pennellata? Oppure un musicista che scrive un pezzo, si esprime di più quando concepisce la sequenza delle note o quando le esegue con il suo strumento?
In tutti questi ambiti, dall’illustrazione alla composizione, esistono da tempo tool e algoritmi che permettono di automatizzare e quindi velocizzare il lavoro più manuale e ripetitivo. Che senso ha mettersi a colorare ogni centimentro quadrato di una tavola, quando può farlo prima e meglio un programma? Nessuno si azzarderebbe a dire che quell’opera appartiene meno al suo autore, per il fatto che gli sfondi sono riempiti automaticamente.
È la stessa ragione per cui le soundtrack dei film, un tempo affidate alle orchestre, ultimamente sono invece realizzate da un unico autore. Siamo disposti a riconoscere che l’arte richiede una parte di lavoro meccanico che può essere subappaltato a un software, se l’idea iniziale è comunque di un’artista. Il problema però si pone in termini diversi quando è proprio l’AI a concepire quello spunto di partenza.
Carole & Tuesday è anche un monito contro la mercificazione dell’arte
Nel mondo di Carole & Tuesday, è normale che siano i software a produrre la musica e i performer a portarla in scena. Le canzoni sono un bene di consumo, e come tali sono trattate dal mercato: prodotte in serie, spinte dal marketing, sostituite rapidamente. C’è davvero una differenza da quello che già succede oggi?
In fondo tutta l’arte, dalla letteratura alla scultura, dalla pittura alla musica, è imitazione. Ogni disciplina ha alle sue basi una serie di schemi ripetitivi, che possono essere ripetuti in modi diversi: con uno sforzo di calcolo combinatorio, è possibile anche calcolare quanto tempo ci vorrà perché tutta le melodie possibili vengano suonate. Pertanto ciò che dovrebbe fare la differenza forse non è tanto il modo in cui l’arte viene realizzata, ma la ragione per cui è concepita. Il suo fine ultimo, il messaggio che racchiude.
Durante la semifinale Mars Brightest, dopo varie avversità Carole e Tuesday si esibiscono senza la chitarra con una canzone cambiata all’ultimo momento. L’esecuzione non è perfetta, si avverte la tensione tra le due per gli eventi appena trascorsi. A sfidarle è una star dei social con milioni dei follower, con una performance impeccabile. Eppure, i giudici alla fine premiano le due ragazze, proprio in virtù di quelle asperità, quella sentore di ingenuità e impreparazione che si percepisce sotto la superficie della loro canzone. È questa componente a farle risaltare, a farle sembrare, in definitiva, più umane.
Forse quello di cui dovremmo preoccuparci non è se un algoritmo euristico sia in grado di creare una canzone che rispecchi alla perfezione il mood dell’estate 2028 sulle spiagge dell’Adriatico. Perché quel tipo di produzione standardizzata, mercificata e precotta per l’uso, è di per sé già concepita per non avere alcun valore artistico, ma solo commerciale. Se l’idea è che l’arte debba comunicare qualcosa al suo pubblico, allora il problema non sta a valle nella sua realizzazione materiale, ma a monte, in ciò che intende comunicare al momento in cui nasce. Se la ragione di esistere di una canzone (o di un romanzo, o di un film) è soltanto la possibilità di raggiungere il pubblico più vasto possibile da cui trarre il maggior profitto possibile, allora che provenga da un cervello biologico o elettronico non fa differenza.
E per la stessa ragione, quando in futuro un’IA sarà in grado di scrivere una canzone sui dubbi esistenziali di un coscienza costituita interamente di componenti digitali e priva di un’identità fisica, allora saremo di nuovo di fronte a vera Arte.