cartastraccia è il magazine mensile “usa & getta” di Stay Nerd dedicato al fumetto underground, alternativo e alle autoproduzioni.
il quarto appuntamento è anche il primo monografico, dedicato interamente a brian chippendale.
fedele alla linea
Stento vagamente a credere di essere arrivato al quarto appuntamento con cartastraccia, che vi ricordo essere un magazine mensile dedicato a fumetto e cultura underground, senza ancora aver esaurito le tipologie di contenuto presentabili ma avendone ancora da sottoporvi. Abbiamo parlato in generale di come sta il fumetto in Italia (e ci torneremo), di eventi (e anche qui, ne riparleremo) e abbiamo fatto due chiacchiere con il primo – graditissimo – ospite. Sono sinceramente stupito di quanto contenuto differente potesse essere raccolto in questo contesto, ma pensandoci con attenzione era anche naturale fosse così.
A scanso di equivoci quella che state leggendo non è un’autocelebrazione su quanto io possa essere poliedrico e inventivo nel raccogliere idee da proporvi (o propinarvi?), anche perché il mio stupore deriva proprio dal sentimento opposto: poiché credevo mi sarei ripetuto abbastanza in fretta. Piuttosto è una realizzazione di quanto effettivamente si possa dire per raccontare questo mondo, non solo a livello strettamente di prodotti e persone ma anche di direzione da cui proviene lo sguardo (calendari di eventi, interviste, approfondimenti…)
Mancano all’appello solo recensioni e speciali monografici su singoli nomi, e questa volta ci occuperemo della seconda categoria. Un po’ perché mi piace fare gli excursus su persone che stimo andando a raccontarne vita e opere, un po’ perché le recensioni forse sono un format poco adatto a questo magazine ma è una domanda a me stesso a cui risponderò a tempo debito. Ho sempre pensato a cartastraccia più come un documento del passaggio della cultura di cui mi occupo, che non di una cronaca critica di quel che viene pubblicato. Vedrò quanto, nel tempo, riuscirò a mantenere il dogma che titola questo paragrafo.
Per questo primo monografico ho deciso di entrare nella vita di uno dei nomi più influenti non soltanto del fumetto ma di tutta l’arte che ha che fare con l’underground: Brian Chippendale. Ho scelto di parlarvi di questo artista americano perché incarna tantissime delle caratteristiche che dovrebbero esserci in un nome associabile al pionierismo e all’avanguardia: la multidisciplinarietà, l’estremismo concettuale e la radicalità politica dei lavori. Perché Chippendale è così: senza freni posti da medium o imposizioni dall’alto o aprioristicamente. E poi sì, parlare di qualcuno che ha a che fare con la musica crea anche una certa consistenza nel lavoro che sto facendo con questa rubrica.
Hypermagic mountain
Brian Chippendale è un’artista così poliedrico, multiforme e sfaccettato – oltre che così incredibilmente rappresentativo di cosa voglia dire fare cultura alternativa – che quasi faccio fatica a pensare a un punto da cui cominciare. Descrivendone le mille attività, tutte ai margini e ai lati della ribalta, che hai incasellato negli anni? Raccontando la rinuncia a ogni tipo di compromesso in favore dell’espressività più completa, assoluta e libera nei suoi lavori? Forse, in questo caso, partire dall’inizio e arrivare a ricomporre il quadro di questa scheggia impazzita e del suo spirito punk è la cosa più sensata da fare.
Providence, nel Rhode Island, sembra essere un posto che ha dentro di se delle caratteristiche tali per cui le persone che provengono o hanno vissuto lì producono cose che altrove sarebbe piuttosto difficile immaginare. Pensate a HP Lovecraft e ai suoi racconti pulp-horror, giusto per citare l’esempio più banale e immediato possibile. Dev’esserci davvero qualcosa, da quelle parti, di tremendamente speciale. Ed è proprio in quel contesto che Chippendale inizia il suo percorso artistico, nello specifico alla Rhode Island School of Design. Un contesto che lo fa crescere ma che col tempo inizia a stargli piuttosto stretto.
Lascia infatti, a pochi passi dal completamento degli studi per fondare una residenza artistica tanto cruciale quanto poco considerata: Fort Thunder, insieme a – tra gli altri – all’amico ed ex-coinquilino Matt Brinkman (altro nome fondamentale per il fumetto underground americano). Le attività di Fort Thunder sono molteplici, tutte fuori controllo e tutte frutto di una creatività esplosiva e genuinamente punk nelle sue forme espressive. Non ci sono regole o briglie in quello che viene fuori da quel deposito abbandonato, ma c’è tanto di quello che manca spesso in opere fintamente alternative.
Mi riferisco alla volontà di far confluire dentro il proprio lavoro tutti i riferimenti possibili, senza preoccuparsi troppo di quanto siano comprensibili o – peggio ancora – quanto essi siano di tendenza e cool. No, i lavori di Brinkman e di Chippendale – soprattutto nel periodo tra il 1993 e il 2001 – sono conditi di citazioni criptiche e irrazionali a Dungeons & Dragons (come è evidente in Multiforce di Brinkman o nel progetto musicale che i due hanno insieme, Mindflayer) e alla letteratura di genere più strampalata, oscura e misconosciuta. Il tutto mescolato con ragionamenti propri sul mondo e un tratto schizofrenico, sempre impetuosi e sregolati come tutto il resto.
L’irruenza e l’urgenza sono estremamente percepibili non solo in ciò che Chippendale ha realizzato nel fumetto e nella musica (ci arriveremo a parlarne nel dettaglio, giuro) ma anche in come descrive se stesso. “sono un prodotto della periferia, che cammina per strada a notte fonda con niente da fare” dirà di se stesso in un’intervista che ripercorre le tappe del suo percorso artistico quando già era un nome piuttosto echeggiante tanto nelle arti visive che in quelle sonore. Ed è molto evidente come questa condizione si riversi nei suoi lavori, che si tratti di un quadro, di un fumetto o di un brano dei Lightning Bolt (leggendaria band noise rock americana di cui è cantante e batterista).
Che sia il senso di lettura stravolto e ripensato nella struttura “a serpente” (dove l’ultima vignetta di una striscia e collegata sequenzialmente a quella subito sotto, anziché sempre alla prima a destra della striscia sottostante) in un fumetto o le “guerrilla gigs” della sua band: i lavori di Chippendale sono sempre frutto di una non troppo velata necessità di esprimersi senza avere limiti di nessun tipo.
Ne sono un esempio propri i modi in cui i suoi fumetti sono intesi da un punto di vista strettamente editoriale e tipografico. Oltre il già citato senso di lettura, infatti, tutti i libri a fumetti pubblicati dall’autore hanno dentro di essi una caratteristica editoriale scomoda e lontana dal compromesso. La foliazione e dimensione esagerate di If N Oof e la scelta di disegnare le tavole che compongono Maggots su un catalogo di libri giapponesi non sono trovate fini a loro stesse ma anzi veicoli di significati atti a far passare la propria identità.
Un’identità fuori controllo fatta di disegno infantile, carico di inchiostro che sembra appena steso da un adolescente sul suo quaderno di matematica. Un’identità che parla del contemporaneo in modo politico, esplicito e radicale. Un’identità estrema che dovremmo accogliere per la sua peculiare e cruciale rilevanza culturale e celebrare per il suo stoico rimanere ai margini.