In occasione dei Cartoon Village di quest’anno, abbiamo avuto l’occasione di parlare con Gianfranco Tartaglia, in arte Passepartout, fumettista e storico autore di vignette satiriche.
Prima di iniziare qualsiasi chiacchierata, a cosa dobbiamo il suo soprannome? A quando risale e soprattutto perché ha deciso di disegnare sotto pseudonimo?
All’inizio della nostra carriera, nel 1977, eravamo in 2: un ragazzo che si occupava dei testi Pietro Gorini, e io che facevo i disegni. Avevamo bisogno di un nome d’arte e ci piacque Passepartout. In realtà eravamo indecisi tra Gran Guiniol e Passpartout. Volevamo un nome straniero perché faceva ‘fico’ e alla fine scegliemmo Passepartout, che si riferisce alla chiave che apre tutte le porte, perché nella nostra illusione giovanile l’umorismo avrebbe dovuto essere trasversale su tutti gli argomenti.
Lei è sulla breccia da anni, ormai. Ha visto nascere e e crescere il mondo fumettistico italiano. Che idea si è fatto della recente situazione, tra media alternativi e carta stampata, schiere di esordienti ed editori sempre più in bolletta?
Rispetto agli anni 70′ quando ho cominciato a lavorare la situazione è diversa, obiettivamente la crisi odierna ha il suo peso in tutto questo, e c’è una contrazione di lettori. In generale in Italia si leggono pochissimi giornali: prima si leggevano più fumetti che quotidiani, adesso anche i fumetti hanno una contrazione. In più non conosco un editore che non si sia lamentato nei recenti anni di quanto il peso di tasse, costi ecc. rendesse quasi impossibile guadagnare con i fumetti. Dal mio punto di vista ben vengano sia i nuovi editori che gli spazi alternativi come il web e qualsiasi altra situazione simile percorribile per diffondere il fumetto. Poi mi spiace se Bonelli c’ha meno lettori perché, per esempio, c’è la Bao o Dentiblù come nuove case editrici, ma è giusto che sia cosi. L’offerta è differenziata per cui va bene dal mio punto di vista. Noi come Passepartout siamo stati fermi per diversi anni, ci eravamo stancati della satira pensavamo non servisse più. Quando siamo rientrati tutti gli spazi su carta erano praticamente occupati, quindi abbiamo ricominciato sul web e attualmente passa quasi esclusivamente li. Però va bene cosi perché le 60.000 visualizzazioni di una vignetta che funziona non hanno paragone in termini di lettori.
Lei è un autore satirico di rara genialità, che ha regalato delle perle incredibili come Prima il Piacere, o il recente Giocabolario. Come pensa sia cambiato il modo di fare satira dopo soprattutto gli avvenimenti tragici di qualche tempo fa in Francia?
La censura obiettivamente esiste, inutile negarlo, ma è più una forma di autocensura. Dal 1980 al 1990 ci siamo occupati della vignetta satirica su Il Messaggero di Roma, e la censura più che imposta era appunto un’autocensura. Sapevi in partenza che certi argomenti non li potevi trattare. Siccome Il Messaggero in quel periodo appoggiava il governo Craxi, su di lui non si facevano vignette cattive. Ti racconto un aneddoto che mi rimarrà in mente a vita. In quel periodo c’erano 5 partiti e io feci una vignetta con i 5 segretari dei 5 partiti, compreso Craxi che era Primo Ministro. Li avevo disegnati nella mia ingenuità tutti alti uguali. Porto la vignetta dal direttore e questo me la ridà dicendo: “No guardi questa vignetta è sbagliata, lo sanno tutti che Craxi è il più alto!”. Ho dovuto rifare la vignetta facendo vedere che Craxi è più alto di tutti gli altri.
La nuova satira ha molti meno ‘legami’ di quelli che avevamo noi perché sfrutta canali che non sfruttavamo come il web. I satirici che lavorano sui quotidiani si contano su una mano ormai: Forattini, Altan, Giannelli, Stefano Disegni, Vauro, che sono bravissimi, ma sono pochi. La stragrande maggioranza dei giovani e meno giovani lavorano su riviste online. Quindi da quel punto di vista la censura editoriale non c’è e hanno più libertà. La faccenda di Charlie è un po’ complicata perché s’è fatta molta strumentalizzazione su questa cosa. Charlie non è mai stato granché non per il fatto che pubblicasse cose oscene ma perché non era un gran giornale satirico. Poi ripeto, la censura non dovrebbe esistere quindi ci mancherebbe altro, possono parlare di quello che vogliono. Comunque, improvvisamente succede questa cosa terrificante e tutto diventa strumentalizzazione. Che tu, ad esempio, Primo Ministro di Israele, mi vai alla manifestazione a favore di Charlie, quando si sa che hai mandato i tuoi agenti ad uccidere un disegnatore siriano, è un controsenso ed è inutile che vi mettiate in prima fila. State cavalcando uan cosa che non è vostra. Quindi non sono molto d’accordo con questa cosa di “Je Suis Charlie” perché allora dovremmo dirla in ogni momento e in ogni caso.
Per lei, ci sono dei tabù, degli argomenti su cui non vorrebbe mai ironizzare?
C’ho pensato. Fino a qualche anno fa avrei detto che non ci sono argomenti che la satira non può trattare e lo dico ancora. Si può fare ironia su tutto, se fatta in un certo modo. Questo è il limite: deve essere fatta in un certo modo. Se io dicessi “Questa satira è giusta, questa satira non è giusta” entrerei in un ginepraio. Perché?! Chi lo decide?! Io mi regolo su di me: se una cosa non mi da fastidio e non mi fa sentire o sporco o cattivo va bene. È una questione personale e di buon senso.
Passiamo ad altro. Da insegnante di fumetti e arti illustrative, cosa pensa dell’attuale preparazione dei ragazzi con cui lavora? Quali sono le tendenze attuali nell’insegnamento del fumetto, con scelte tra tantissimi generi e approcci mediatici?
La novità degli ultimi anni è la presenza di una serie di Scuole straordinarie quindi tecnicamente il livello dei ragazzi è cresciuto in modo esponenziale. Io da giovane non disegnavo bene come disegna ora un ragazzo di 20 anni che si è fatto un paio di anni di scuola, tecnicamente sono bravissimi. In più hanno questo grosso vantaggio che loro vedono molte più cose di quante ne vedessimo noi, internet è una finestra veramente sul mondo. Quindi c’è più documentazione e l’ampliamento delle conoscenze porta inevitabilmente al fatto che ci sono più stimoli in cui cimentarti, questo è assolutamente positivo. Da autore di satira che per forza deve stare attento anche al testo e al significato trovo che forse parallelamente è cresciuta di più la capacità tecnica rispetto al testo, al contenuto delle storie. Faccio più fatica a leggere belle storie che a trovare storie ben disegnate. E questa è una cosa forse su cui bisognerebbe riflettere. Poche delle scuole che conoscono prevedono corsi di sceneggiatura, fanno anatomia tecniche digitale colorazione ecc. ma è un limite che nel futuro andrebbe risolto. Per il resto devo dire che le scuole sono davvero buone e formano ottimi disegnatori.