Qual è il primo insegnamento che impartisce ai giovani allievi che cercano di percorrere le orme del suo lavoro?
La prima lezione è che questo lavoro si fa per passione e non per denaro. Secondo, quello che suggerisco, è di ascoltare dischi come lo si faceva una volta: tirar giù dai dischi le note, le sensazioni, perché è l’unico modo per memorizzare i vari passaggi e assimilarli all’interno della tua testa. Oggi molti usano dei metodi e tu sul metodo impari a fare il Jazz o qualsiasi altro tipo di musica, ma non è così: o ce l’hai dentro o non ce l’hai. Quando tu cerchi di assimilare un assolo di Chick Corea o Herbie Hancock per la fatica di tirarlo giù lo imprimi talmente tanto nella tua testa che inizia a diventar tuo.
Lei è stato, musicista, compositore, arrangiatore, talent scout, direttore d’orchestra. In quale di questa professione Vince Tempera sente più viva la sua natura, quale preferisce e perché?
Manca la cosa per cui io ho cominciato: il pianoforte. Io fondamentalmente nasco pianista e poi dal pianoforte si è liberato tutto il resto. Perché il pianoforte, e inseguire alcuni grandi pianisti, mi ha permesso di imparare certi termini e certi modi per giudicare poi. Ho cercato sempre di sentire e di imparare dai grandi direttori di orchestra per capire il gusto che avevano loro anche nelle rifiniture discografiche, cioè quello a cui una volta tu non badavi. Che era il riverbero, la qualità dell’audio, i filtri usati per fare il suono, e non è che tante volte il suono era bello perché suonava bene, era bello perché era costruito. Io ho sempre seguito questo. È certo che il pianoforte e la composizione sono le mie passioni principali.
Lei tornerebbe ad occuparsi di sigle televisive oppure è una cosa da cui non potrebbe più trarre ispirazione in alcun modo? Ha fatto parte di un percorso fatto e finito oppure no?
Ogni periodo ha fatto parte di un percorso, o il percorso ha fatto il periodo. Decisamente oggi come oggi il cartone non mi eccita più perché non c’è niente di innovativo. Se mentre Ufo Robot era innovativo per il disegno e nel modo di porsi, era un altro mondo insomma. Oggi tu guardi le storie Disney, sbianchite, tutte zucchero e miele…
Si stanno un po’ aprendo anche loro per fare qualcosa di più “emancipato” però ultimamente…
Sì, però quando fanno il cartone con i pinguini o cose simili, poi ci mettono la musica sinfonica rubacchiata dagli autori del novecento. Le canzoni sono incantabili. A tal proposito io ho un progetto che è in stallo ma sta per essere approvato, un nuovo cartone che abbiamo scritto sette anni fa e abbiamo mandato in giro per il mondo, titolato Sbrain!. Dove il protagonista è una ragazzina di otto-nove anni e il rapporto che ha con il suo cervello.
Come Inside Out?
Si, e la cosa curiosa è che noi abbiamo mandato il progetto alla Disney. Proprio così.
Così sembra proprio copiato…
Noi siamo in causa con loro perché lo abbiamo depositato sei anni prima. Una puntata di undici minuti. Pagata dalla Rai oltretutto, quindi parliamo di una cosa molto ufficiale. È arrivato sulla scrivania della Pixar di Londra “sì adesso vediamo” e poi ce lo siamo visti sviluppato.
Immagino che sia rimasto molto sorpreso quando lo ha visto…
Anche gli americani copiano e copiano di brutto, anche perché molti operai della Disney americana non sono americani, sono europei abituati a questo tipo di furti. Ci sono molti italiani anche. Oltretutto non riuscimmo a sviluppare i cinquantadue episodi successivi perché la Rai stranamente ad un certo punto si è fermata.
Ma come mai l’avevate mandato alla Disney?
C’è un mercato del cartone animato, quando ti cimenti con questi mercati lo mandi a tutti gli operatori del settore, dalla Pixar, alla Warner, ai cinesi, koreani, ecc… Avevamo già un pre-accordo con “Giochi Preziosi” per fare i giochi.
Volevo farle una domanda un po’ tecnica. Nelle sigle che ha inventato lei, quelle originali dei cartoni animati, spesso erano presenti in misura veramente fondamentale i cori che oggi sono completamente spariti. Come mai c’era questo trend?
Perché io avevo deciso di non usare cantanti solisti e di non usare bambini e venivo da anni di pubblicità in Italia e in America dove si usavano solo cori. Il coro con una tonalità sempre in Do maggiore permette una coralità a tutti e questa era la partenza. Quindi tutto nasce da questo tipo di analisi dell’uso del coro.
Questa è una cosa che non sono mai riuscito a capire neanche cercando su internet: gira questo aneddoto in rete secondo cui mentre veniva composta la sigla di Daitarn 3 ci fosse lo zampino di Lucio Battisti.
Non esiste. Lucio non sapeva neanche cosa fosse Daitarn 3. Potrebbe esserci stata confusione perché a quel tempo facevo parte de Il Volo il gruppo progressive prodotto da Lucio Battisti. Guarda Daitarn 3 fu inciso alla GRS via Inama 17, Milano, e i coristi di Daitarn 3 sono: Marco Ferradini, Silvio Pozzoli e Moreno Ferrara.
Sempre riguardo queste sigle. Quant’era importante conoscere il tema e la trama del cartone animato prima di mettersi a comporre la sigla?
Era importante per il colore che dovevi mettere nella sigla. I giapponesi ci mandavano sempre una brochure con la storia, i disegni e i nomi dei personaggi. A noi ci serviva perché Luigi (Albertelli N.d.R.) sulla storia scriveva il testo e io in base alla storia dei personaggi creavo la musica con un certo coloro più o meno forte. Ci sono delle storie minori che avevano bisogno di altri colori. Noi di Ufo Robot la prima cosa che in giapponese avevamo visto era che era l’eterna guerra fra il bene e il male, con i personaggi che sembravano usciti da un western all’italiana. I disegni cambiavano ma le storie e i personaggi erano quelli e a noi ci servivano per capire il contesto.
Passando al cinema. Lei è sicuramente un artista poliedrico ed è riuscito a creare nel migliore dei modi colonne sonore per film dai toni estremamente diversi fra loro, come Fantozzi o Sette Note in Nero di Fulci. Nonostante il risultato encomiabile in entrambi i casi, quali delle due composizioni ha trovato più complicata?
Guarda, in teoria non erano complicati. Perché anche lì in base all’analisi e ragionamenti poi si arrivava alla soluzione, all’ispirazione. Io per Fantozzi usai il sistema dei cartoni di Tom e Jerry. Inoltre la canzone che abbiamo scritto è l’unica canzone cantata da Fantozzi, con testo di Villaggio… e Villaggio cos’è in Fantozzi? È il fagotto.
È una musica molto figurativa in effetti
Come il cartone animato. Allora, quando lui va in vacanza a Capri con la signorina Silvani e c’è la scena dello poi fa lo sci acquatico e si scontra contro gli scogli. È una scena girata a doppia velocità e lì ho preso il sistema di Tom e Jerry per renderla al meglio.
Sono espedienti sonori molto riciclate anche oggi, come su Paperissima ad esempio.
Perché quello è il meccanismo, almeno per me. Lo facevamo per divertirci. Per il film di Fulci siamo partiti con lui che ci chiede un carillon, perché il carillon è la chiave della storia dell’omicidio di questa donna, che viene murata ma non viene uccisa, viene salvata dal fatto che lei ha questo ciondolo con questo carillon che suona ad una certa ora. Allora l’amico che entra nella stanza lo sente suonare e capisce che dietro al muro c’è la sua amica che sta morendo. Per prima cosa ho cercato di riprodurre le sette note del carillon, poi questo giro armonico diventa ossessivo e poi c’è la liberazione e allora parte una musica molto più larga, fatta al sassofono, che è la liberazione della presunta assassinata. Quindi anche lì c’è una sorta di divertimento nel comporre acusticamente quel tipo di atmosfera. Era divertimento e volontà di stupire il regista ogni volta.