L’archetipo della casa infestata e la liberazione femminile: un percorso di lettura ispirato a Carmen Maria Machado e Silvia Moreno-Garcia
Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà, le parole con cui Shirley Jackson ci introduce nell’Incubo di Hill House, romanzo del 1959, hanno come soggetto la casa stessa, prima protagonista del romanzo. La storia, se avete letto il libro o seguito la serie Netflix (molto liberamente ispirata, ma che mantiene intatto il senso, l’atmosfera gotica, il cuore) la conoscete: in Hill House l’antagonista è la casa, dotata di una sua essenza vitale in grado di entrare in conflitto con le incaute anime che si avventurano tra i suoi muri.
Il pericolo è la casa; un archetipo, quello della casa infestata, di cui abbiamo già parlato e che è tanto antico quanto il concetto stesso di abitazione privata. Molto spesso la casa infestata viene accompagnata da metafore anatomiche in cui il corpo degli inquilini si fonde con corridoi come intestini, il sangue che scorre nelle vene è lo stesso che sgorga dai rubinetti e le finestre sono occhi bagnati dalle lacrime di una sofferenza indicibile. Hill House viene descritta come disturbata, corrotta, malata, una casa squilibrata; aggettivi, questi, che ben si prestano ad essere associati a comportamenti umani, soprattutto – lo stereotipo vuole – a un individuo femminile.
La casa dei tuoi sogni come casa infestata
La casa è uno spazio femminile per convenzione, uno spazio privato in cui vengono messe in scena tragedie private a porte chiuse, come detta il cliché – Scrive Carmen Maria Machado nel suo memoir Nella casa dei tuoi sogni – finestre sigillate contro il rumore, tende tirate, telefoni silenziati. Una casa non è mai apolitica. É concepita, costruita, occupata e sorvegliata da persone che hanno potere, bisogni, desideri. Pur non trattandosi di un romanzo dell’orrore, e neanche di un thriller psicologico, o di un racconto gotico, Machado usa i tropi della casa infestata per raccontare la storia vera della sua esperienza di abuso domestico, smontando l’eteronormatività della storia d’amore gotica – quella che ha due ingredienti: donna più abitazione e sposare qualcuno che non conosci – e parlando della violenza e dell’abuso che esistono nelle relazioni omosessuali.
Con un’onestà affilata che ferisce chi legge con un’intensità che si trova raramente anche nella più limpida scrittura autobiografica, Carmen Maria Machado usa tutti gli strumenti della narrazione per affrontare un atto di resurrezione del passato attraverso le parole, parlando di una casa che è allo stesso tempo luogo fisico, reale, in cui l’abuso ha avuto luogo e metafora dello spazio chiuso e familiare in cui accadono orrori, fuori dalle mura di casa, dentro la relazione. Del resto, scrive Machado proprio nel capitolo intitolato La casa dei tuoi sogni come gotico americano, la casa non è essenziale all’abuso domestico, ma cavolo se aiuta.
Gotico messicano
La casa, abbiamo detto, è nell’immaginario comune il luogo del femminile – come se gli uomini vivessero in caverne o pertugi nei tronchi degli alberi – ed è molto spesso una figura femminile a infestarla e a esserne infestata. Se Carmen Maria Machado scardina l’eteronormatività del gotico presentando un abuso in cui entrambe le parti rappresentano quel femminile che la narrazione stereotipata vorrebbe sempre vittima e mai carnefice, un altro romanzo gotico, non ancora arrivato in Italia, elabora gli ingredienti del genere – quel donna più abitazione e sposare qualcuno che non conosci già citati in precedenza – in una storia di presenza, spiriti e spore. Mexican Gothic, di Silvia Moreno-Garcia inizia come tutte le storie di case infestate iniziano: un matrimonio frettoloso e una grande magione inglese, ma non lasciatevi trarre in inganno, questi sono gli unici elementi tradizionali che troverete nella storia di Noemi Taboada e del suo scontro con High Place.
Per iniziare, gli eventi che coinvolgono Noemi, sua cugina Catalina e la famiglia Doyle hanno luogo non nella canonica campagna inglese – o in quella americana, se proprio vogliamo essere innovativi – ma in un villaggio messicano spolpato di ogni ricchezza da quella famiglia di colonizzatori che, instauratisi nel punto più alto del paese e sfruttato fino all’osso le miniere di argento e la manodopera locale, si sono ritirati nel loro castello, sotto l’occhio totalitario del patriarca, per uscirne solo il tempo necessario a procurarsi una nuova moglie – carne fresca – in grado di permettere la sopravvivenza della stirpe. Proprio per controllare lo stato di salute di sua cugina, novella signora Doyle, la nostra eroina parte alla volta di High Place per scontrarsi con un muro di silenzio, pensiero colonialista e misogino. Gli abitanti del maniero, quelli che tradizionalmente sono i protagonisti di questo tipo di storia di fantasmi, vengono filtrati dall’occhio di Noemi, una giovane donna messicana che non ci sta a essere considerata esclusivamente la moglie, la sorella, la figlia di qualcuno – non ci sta, soprattutto, a essere considerata solo un corpo.
Kill the patriarch, kill the patriarchy
Un corpo. Questo è quello che erano tutti per loro. I corpi dei minatori nel cimitero, i corpi delle donne che avevano dato alla luce i loro bambini e i corpi di quei bambini che erano stati solo la pelle nuova del serpente. E lì, sul letto, si trovava l’unico corpo che importava. Il padre. In Mexican Gothic la casa stessa è vittima del capofamiglia, costretta a nascondere gli orrori che vanno in scena tra le sue mura, obbligata a sussurrare fiocamente all’orecchio della nuova arrivata nella speranza di essere salvata dalla sua rovina. High Place è la casa che incarna il femminile e il femminile che incarna la casa, costretta, privata della sua libertà, messa a tacere per non permetterle di denunciare la violenza subita.
A differenza di ciò che succede a Eleanor in Hill House – un mutuo processo di infestazione che segnerà la rovina di entrambe -, la protagonista di Mexican Gothic lotterà non solo per la sua salvezza e per quella delle persone che ama, ma anche per liberare High Place dal giogo del patriarca, del colonizzatore che l’ha resa uno strumento di malvagità, di tormento eterno, come un serpente che si morde la coda mangiando se stesso e, con esso, la sua prole.
La casa infestata si libera dei suoi invasivi inquilini, la donna si libera da ciò che la tormenta. Le nuove narrazioni gotiche si smarcano dalla sofferenza senza fine delle eroine del passato; la libertà non si ottiene con la morte, ma con il processo di ricognizione del male provato, del dolore che ci infliggono le persone che dicono di amarci. La casa crolla, brucia, ma le donne non restano più travolte dalle macerie. Loro se ne sono andate.