Rilasciato nel 2018 e considerato da molti come una rara gemma tra i giochi indipendenti, Celeste è un platformer che vuole raccontare una storia importante, ma a cui troppo spesso non viene data la giusta rilevanza.
Articolo a cura di Francesca Del Signore
Celeste inizia con la protagonista, Madeline, da tempo affetta da depressione e attacchi di panico, che si prepara ad affrontare la scalata della montagna Celeste, in un periodo della sua vita in cui sente il bisogno di una sfida che possa stimolarla ad uscire dal disagio in cui si trova. Fin dall’inizio, alla ragazza viene consigliato di abbandonare i suoi propositi e tornare indietro, poiché la montagna potrebbe mostrarle qualcosa che non è ancora pronta a vedere. Nonostante gli avvertimenti, Madeline prosegue nella sua salita, che diventa presto teatro di eventi sovrannaturali ed inspiegabili; la ragazza viene infatti a contatto con una figura oscura e ostile, uguale a lei in tutto e per tutto, ma con una propria a sé stante coscienza e personalità, marcatamente più crudele, paranoica e controllante. Una parte di lei che, con il deformato desiderio di proteggerla, la demoralizza e la mortifica, intimandole, talvolta persino con violenza, di girare i tacchi e tornarsene a casa, perché troppo debole e incapace per affrontare la vetta che le si para davanti.
Partendo da questi primi momenti di gioco, vediamo che ciò che rende questo titolo particolarmente interessante è senza dubbio il tema di fondo: difatti, attraverso una serie di bellissime metafore, questo gioco ci parla del disagio causato dai disturbi d’ansia e dal disturbo depressivo. Il primo e più immediato parallelismo è proprio quello della montagna da scalare, che rappresenta la ferrea volontà della protagonista di affrontare le proprie paure e le proprie angosce per ritornare a vivere.
Una consapevolezza che però, per quanto facile da comprendere, non è sempre altrettanto semplice da mettere in pratica: Celeste è infatti un gioco difficile da completare, perché i disturbi di cui parla sono difficili da affrontare e superare.
Analizzando più dettagliatamente questi disturbi, vediamo che il disturbo depressivo maggiore si caratterizza per la presenza di un costante umore depresso, che si accompagna ad una marcata diminuzione di interesse per tutte, o quasi tutte, le attività dell’individuo, anche quelle precedentemente ritenute piacevoli. Spesso si manifestano anche significativi cambiamenti di appetito e di peso, per aumento o diminuzione, nonché agitazione o rallentamento psicomotorio ed insonnia o ipersonnia costanti. Sono anche marcatamente presenti sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi, inappropriati o talvolta persino deliranti, con ridotta capacità di pensare o concentrarsi, a cui si accompagnano ricorrenti pensieri di morte o di suicidio. Sono inoltre molto comuni diminuzione dell’energia e faticabilità, tali per cui l’individuo può manifestare una continua stanchezza, e persino il più piccolo dei compiti sembra richiedere uno sforzo considerevole. È inoltre frequente che gli individui affetti da tale disturbo tendano ad interpretare eventi quotidiani neutri o insignificanti come la prova dei propri difetti personali, sentendo un esagerato senso di responsabilità riguardo agli eventi sfavorevoli. È infatti molto comune la tendenza ad autorimproverarsi della propria condizione e di non essere in grado di assumersi responsabilità lavorative o interpersonali.
Tutti questi sintomi sono tali da determinare un disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento globale della persona. Non è quindi difficile comprendere le parole di Madeline rispetto a tale disturbo: la ragazza definisce infatti la depressione come un abisso, infinitamente vasto eppure claustrofobico. Un’oscurità così profonda da rendere impossibile intravedere la luce, un oceano in cui puoi solo nuotare alla cieca sperando di scorgere, infine, qualcosa, qualsiasi cosa.
Per quanto riguarda invece i disturbi d’ansia, vediamo che essi comprendono tutta la tipologia di disturbi caratterizzati da paura e ansia eccessive ed i comportamenti ad esse correlati. Di fatto, sebbene paura e ansia spesso si sovrappongano, sono in realtà due stati distinti. La paura, infatti, costituisce la risposta emotiva ad una minaccia imminente, sia essa reale o percepita, ed è quindi più spesso associata a picchi di attivazione autonomica necessari a generare una risposta attacco-fuga. L’ansia, invece, è più frequentemente associata alla tensione muscolare, alla vigilanza e a comportamenti prudenti o di evitamento, e rappresenta quindi l’anticipazione di una minaccia futura. Gli attacchi di panico, che affliggono la protagonista Madeline, giocano un ruolo importante all’interno dei disturbi d’ansia e rappresentano un particolare tipo di risposta alla paura, e per questo possono essere presenti anche in altri disturbi mentali, tra cui la depressione, con la quale sono spesso in comorbilità. Più nello specifico, il disturbo di panico si caratterizza per la presenza di ricorrenti attacchi di panico inaspettati, ovvero un’improvvisa sensazione di paura o disagio intensa che raggiunge il picco in pochi minuti, durante i quali si verificano numerosi sintomi fisici e cognitivi, come palpitazioni, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, derealizzazione ed una vera e propria sensazione di morire. Oltre a questo, gli attacchi di panico risultano psicologicamente nocivi, in quanto generano una serie di timori costanti relativi all’eventualità che si manifesti un nuovo attacco, e ciò porta l’individuo a mettere in atto delle modificazioni disadattive del comportamento nel tentativo di minimizzare o evitare attacchi di panico futuri.
Di fatto, nel suo viaggio verso la vetta, la protagonista sarà costantemente accompagnata dalla parte di lei che vorrebbe impedirle di portare a termine la scalata, in un distorto tentativo di proteggerla. Tale parte, che rappresenta intrinsecamente un disfunzionale meccanismo di difesa, viene nel gioco personificata in una sorta di oscuro doppelganger. A livello di gameplay, soprattutto inizialmente, essa si configura come una nemesi che, imitando le nostre mosse, insegue la protagonista riproducendo fedelmente i suoi movimenti, portando quindi la ragazza a dover fuggire, di fatto, da se stessa. È dunque possibile ipotizzare che il meccanismo di difesa in questione sia l’evitamento, attraverso il quale il soggetto rifugge l’oggetto ansiogeno o fobico che costituisce una fonte di angoscia apparentemente insopportabile e insormontabile. Se esperito per lungo tempo, l’evitamento risulta particolarmente deleterio e disfunzionale, poiché l’atto di rifuggire costantemente la causa della propria angoscia non fa altro che ingigantirla, rendendola sempre più temibile. Come detto, si tratta di un meccanismo difensivo molto comune nei soggetti con disturbo di panico, che spesso tendono ad alterare sensibilmente le proprie abitudini ed il proprio stile di vita nel tentativo di evitare l’insorgere di altri attacchi di panico.
Come molti meccanismi di difesa, però, anche la parte oscura di Madeline rappresenta in realtà quella parte di lei che ha paura: paura di non farcela, di non essere abbastanza forte da guardare in faccia il suo disagio ed affrontarlo, restando per sempre nell’oscurità. Nel suo piccolo, Celeste ci ricorda quindi che il primo passo per guarire sta proprio nel venire a patti con la parte di noi stessi che tentiamo in ogni modo di scacciare, di ignorare e di seppellire, poiché altrimenti quella parte non farà altro che chiedere più insistentemente la nostra attenzione, diventando nociva. E proprio come per la scalata di una montagna, è necessario fare un passo alla volta, appellandoci alla nostra forza e alle nostre risorse.
Non è dunque difficile comprendere il motivo per cui, a livello di gameplay, Celeste sia un gioco che dà grande valore alla pazienza, alla determinazione e alla risolutezza, laddove la fretta porta spesso alla sconfitta. L’obiettivo,infatti, non è solo quello di completare il gioco di per sé, ma è quello di raggiungere quella vetta, con i nostri tempi, con le nostre esperienze, con le nostre forze. È quello di aiutare Madeline ad uscire dal baratro, arrampicandoci insieme a lei, carichi delle sue stesse difficoltà e fatiche, pur di vedere di nuovo il sole. Perché la vetta non è la meta finale, ma è un primo passo verso la guarigione. Una cima da cui poter guardare, finalmente, una nuova alba.