Dal 18 settembre in sala, C’era una volta…a Hollywood è (forse) l’ultimo film di Quentin Tarantino.
Preceduto dalla gloria di Cannes, da qualche polemica e dal bluff di Tarantino che lo annuncia come suo ultimo film, C’era una volta…ad Hollywood è una dichiarazione d’amore del regista al mondo del cinema e la celebrazione della sua Epoca d’Oro.
La trama, in breve
Siamo nel 1969, anno in cui tutto sta per cambiare. Pochi mesi prima Easy Rider aveva aperto le porte alla Nuova Hollywood (quella di Scorsese, Lucas, Spielberg, per intenderci) segnando il primo passo di un percorso dal quale non si poteva neanche immaginare di tornare indietro. Come è normale e giusto che sia, però, i protagonisti del vecchio mondo si prendono tutto il loro tempo per realizzare che la Rivoluzione è in corso e per infischiarsene a dovere.
Così conosciamo Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e il suo stuntman Cliff Booth (Brad Pitt). I due sono cresciuti artisticamente nella Hollywood degli anni Cinquanta e Sessanta, pascolando sui set televisivi di serie TV Western. Dopo essersi guadagnato una certa fama, Dalton si rende conto di essere alla soglia dei quarant’anni con pochissimi colpi in canna per il proprio futuro: l’attore, così come la sua fedelissima controfigura, sono ormai sul cosiddetto Viale del Tramonto.
Tutto ciò che resta di certo e concreto, memoria dello status sociale di Dalton, è una bella villa sulle colline di Hollywood, onorata da pochi mesi da due vicini giovani, brillanti e freschi: Sharon Tate (Margot Robbie) e suo marito, un certo Roman Polanski (Rafal Zawierucha).
C’era una volta…a Hollywood: Tarantino strikes back
Non che ne avessimo bisogno, ma C’era una volta…a Hollywood è la conferma definitiva della maestria di Tarantino. Sfruttando pienamente l’occasione di raccontare una storia avvincente, divertente ed emozionante, il regista di Pulp Fiction consegna al suo pubblico quella che potrebbe essere la sua perfetta eredità. Sì, perché, stando ad alcune dichiarazioni random, questo dovrebbe essere il suo ultimo film da regista. Sarà forse per questo che ce l’ha messa davvero tutta per raggiungere un livello così alto?
Con C’era una volta…a Hollywood in effetti, Tarantino sembra tornare sui suoi passi e radunare amici e temi ormai familiari per una sorta di saluto collettivo. Ritroviamo in alcuni cammeo particolarmente divertenti Kurt Russell (Randy), Michael Madsen (lo sceriffo Hackett dello show Bounty Law), Zoë Bell (Janet, la moglie di Randy) e – in una comparsata tagliata in montaggio – anche Mr Orange-Tim Roth. In particolar modo, la coppia Russell / Bell rende omaggio ai personaggi precedentemente interpretati in Death Proof in un gioco noto ai fan di Tarantino che adorano trovare le citazioni e le auto-citazioni all’interno delle sue pellicole.
Infine, perfeziona e rende particolarmente toccante il messaggio secondo cui il cinema è in grado di illuminare la Storia e gioca con una spontaneità meravigliosamente naïf con l’espediente narrativo del What if…?
Vecchi e nuovi volti di Hollywood
Questo salto in avanti e indietro nel tempo, tra l’Age d’Or di Hollywood (e di Cinecittà) e il Nuovo Corso si riflette anche in un’intelligente scelta di cast, che merita senz’altro qualche parola.
I protagonisti, come abbiamo accennato, sono due tra gli attori più importanti dell’attuale cinema americano, due ex-sex symbol che ormai hanno dimostrato (anche grazie a Tarantino) di potersi destreggiare in ogni ruolo. Leonardo Di Caprio e Brad Pitt, dunque, si assumono la responsabilità di rappresentare l’età di mezzo, con i loro volti non più giovanissimi.
Margot Robbie/Sharon Tate, invece, è uno degli astri nascenti degli ultimi anni, anche se inizialmente fraintesa a causa di un ruolo che ha rischiato di fossilizzarla in una maschera che non rende giustizia alle sue belle doti interpretative (Harley Quinn di Suicide Squad). Candidata agli Oscar per la sua performance in I, Tonya, però, la Robbie può camminare a testa alta tra le giovani attrici destinate sicuramente a una lunga e importante carriera sullo schermo. Un po’ il destino che sarebbe spettato alla povera Sharon Tate, massacrata insieme ai suoi amici e al figlio nascituro in quella brutta notte del 9 agosto 1969.
Attorno a questo trittico, che racconta già il passaggio tra vecchia e nuova guardia in un parallelismo interessante tra 1969 e 2019, abbiamo le vecchie glorie della Nuova Hollywood (quella inaugurata nel ’68), perfettamente sintetizzate in Al Pacino (qui Marvin Schwarzs), che si rilassa in un piccolo ruolo cucito appositamente su di lui e sulla sua verve.
The family in C’era una volta…a Hollywood
Poi, The Family. Per impersonare i folli, puri, hippies della family di Manson (Damon Herriman), Tarantino sceglie alcuni dei volti più interessanti della nuovissima Hollywood che sta nascendo nei piccoli schermi delle serie tv. Abbiamo, ad esempio, nella parte di Gipsy, la star della scrittura e della recitazione brillante Lena Dunham (l’autrice e interprete di Girls), insieme all’acclamata (e figlia d’arte) Maya Hawke (qui Flower Child), James Landry Hébert (Clem) che abbiamo visto in un alcune puntate di Stranger Things e Westworld e Dakota Fanning (Squeaky Fromme), forse la più riconoscibile di tutti – per cui in C’era una volta…a Hollywood è ritagliato un ruolo piccolo, ma piuttosto disturbante.
Infine, Tex. Il galoppino di Manson che ha guidato la spedizione omicida contro di “Pigs” di Hollywood ha il volto angelico, da idolo per teen ager, di Austin Butler, che ha preso parte ad alcune produzioni tv dedicate ai ragazzi (Hannah Montana, ICarly, Carrie’s Diary).
Il tutto rende l’intero film una metafora lunga e sfaccettata, oltre che estremamente attuale, del nuovo che avanza e del naturale – seppur crudele – ricambio generazionale.
Attenzione agli spoiler
Ora più che mai nella filmografia di Tarantino, C’era una volta…a Hollywood gioca le sue carte migliori fino all’ultimo. Dato che lo spoiler in questi casi è da considerarsi un peccato mortale, ci basta accennare che se c’è un grosso errore da evitare con Tarantino è avere la presunzione di sapere dove il suo genio potrà portare. Nutrito a pane e pellicola, Tarantino ha alimentato la sua capacità immaginativa con così tanto combustibile da non poter che regalarci film assolutamente esplosivi.
Con C’era una volta in Hollywood si aggiunge un magnifico mattone a un impianto estetico assolutamente unico, reso tale da un grande coraggio artistico che è valso a Quentin Tarantino il posto che merita nella cinematografia mondiale.
Sì, è vero: Tarantino si autocelebra ed è altrettanto vero che gli piace indugiare nella sua firma stilistica (i piedi femminili in bella vista, spesso sporchi, e il compiacimento visivo e uditivo dell’atto del bere e del mangiare), per cui, chi non trova adorabile il suo essere profondamente se stesso, non si aspetti di cambiare idea con questo film. C’era una volta…a Hollywood è Tarantino all’ennesima potenza, che supera se stesso, (non più) nano sulle spalle dei giganti – anzi – un gigante che approfitta della propria statura per mettere in mostra i suoi piccoli maestri, quelli dei b-movie, degli Spaghetti Western, del cinema Grindhouse.
C’era una volta…a Hollywood è al cinema a partire dal 18 settembre.