Improbabili paragoni di mezza estate
Certi giorni si esce così sconfitti dal tram tram quotidiano che ci si perde in elucubrazioni senza senso. Su di una scala misurante la stupidità umana che va da zero a Barbara D’Urso, si passa dal livello ” citatore di Bukowsky” al livello “elettore medio di Forza Italia“, il che è abbastanza deprimente se ci pensate. Si è così confusi da perdersi in pensieri assurdi, il momentaneo deficit intellettuale vi porta a fare improbabili parallelismi tra Gomorra e un Grand Theft Auto a caso, così giusto per chiarire che piega sta prendendo la vostra giornata. Perché stanchezza a parte è vero che certi giochi ricordano certi libri. Sarà per un titolo, per una singola frase o per l’intera atmosfera poco importa, c’è comunque nelle vostre librerie qualcosa di apparentemente distante ma comunque capace di regalarvi sensazioni incredibilmente simili. Una tranquilla e calda giornata da la vita ad una delle similitudini più improbabili di sempre, questa non-classifica di associazioni letteralvideoludiche ci dona – forse – anche qualche spunto di riflessione.
Dark Souls e Stupore e Tremori di Amelie Nothomb.
“Nell’antico protocollo imperiale giapponese, si afferma che ci si rivolgerà all’Imperatore con stupore e tremori”. Mi è sempre piaciuta questa formula che corrisponde così bene al ruolo degli attori nei film di samurai quando si rivolgono al loro capo, la voce traumatizzata da un rispetto sovrumano”.
Così la Nothomb scrive nel suo romanzo ed è esattamente così che bisognerebbe comportarsi con Dark Souls. Stupore per la magnificenza dell’opera. Quello sgomento davanti ad ambientazioni così belle ed ispirate. Quella sensazione di ansia mista ad adrenalina, quella tensione perenne nei momenti più difficili; i tremori della mano quando il gioco ci mette alle strette. E’ per questo che Stupori e Tremori ricorda Dark Souls. Da un punto di vista squisitamente letterario le similitudini tra il libro della Nothomb e il gioco della From Software finiscono qui. Stupore e Tremori è un romanzo autobiografico incredibilmente divertente, capace di raccontare in maniera così schietta e sincera una disumana condizione sociale e lo fa con una critica che colpisce il lettore proprio lì dove deve colpire.
Zelda Ocarina of Time e Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry
Qui l’associazione di pensiero può risultare quasi scontata: un fanciullo biondo, buonismo a gogo e un’atmosfera melliflua quasi stucchevole per certi versi. No, non è per questo o almeno non lo è unicamente per questo. C’è un gioco che in qualche modo deve far parte del percorso di crescita di ogni videogiocatore, uno step imprescindibile che ne segna l’esistenza. Così come nella carriera scolastica ci sono gli esami, mi piace pensare che ad un certo punto nella carriera videoludica di tutti c’è stato Ocarina of Time. E’ per questo, unicamente per questo che il titolo Nintendo non è dissimile da Il Piccolo Principe. Le due opere in qualche modo hanno segnato – o almeno spero sia così – milioni di appassionati. Anche da adulti, anche quando morte e violenza hanno soppiantato le atmosfere fanciullesche, questi due titoli sono lì eterni a ricordarci un’epoca spensierata da non accantonare per pensieri più profondi, piuttosto andrebbe rivista con occhi maturi, critici e ancor più capaci di apprezzarne la caratura artistica.
Metal Gear Solid e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R Martin
Questa è tosta, tostissima. State sicuramente cercando un appiglio razionale, una giustificazione qualsiasi a questa accozzaglia scritta poco sopra. Ci sono draghi, le spade, i guerrieri, le armature, non era meglio un gioco di ruolo a caso? Il ragionamento fila, se non fosse per quel “a caso”, la casualità in questi pensieri non va bene, la casualità – lo sapete – non mi piace. Lasciate stare le ambientazioni, lasciate stare trame e personaggi e fissate nella vostra mente quel chiattone di Martin insieme a Kojima. Cos’hanno in comune questi due? Niente, probabilmente a stento conoscono l’uno dell’esistenza dell’altro. Eppure, questi due, come pochi altri nel loro settore hanno dato un “autorialità” incredibile a ciò che fanno. Un gioco di Kojima sai che è di Kojima, e una saga come Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco sai che solo Martin la poteva scrivere. E’ nel loro modo di giocare con personaggi e lettori/giocatori che sta la similitudine, l’uguaglianza inaspettata. Martin e Kojima hanno messo al mondo, con relativi pregi e difetti, storie che nella loro follia sono incredibilmente umane. Perché togli i cyborg, togli i draghi, togli le guerre e tutto ciò che resta Metal Gear e Game of Thrones sono semplicemente storie di uomini.
Final Fantasy VII e Che tu sia per me il coltello di David Grossman.
“ ..ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.”
Perdonatemi, non voglio essere melenso, né inutilmente stucchevole. E’ solo che questi due titoli sono incredibilmente belli. Sul primo, conosciutissimo e amatissimo da tutti i videogiocatori, non c’è null’altro dire che non sia stato detto – meglio di quanto sarei capace – in passato. Che tu sia per me il coltello è un particolarissimo romanzo epistolare. Un uomo qualunque incontra una donna qualunque: senza parlarci o conoscerla direttamente decide di spedirle delle lettere, quell’uomo sente che tra di loro c’è un legame, un’affinità di cuore ed anima mai avvertita prima. Capite dove vogliamo a parare? Final Fantasy VII non parla esclusivamente d’amore e quando lo fa non è tremendamente sentimentale come Grossman eppure per molti giocatori è Final Fantasy VII (volendo anche il capitolo precedente) l’amore videoludico per eccellenza, quel gioco che anche a distanza di anni è amato ed apprezzato e ancora oggi risulta essere il “top” nella classifica personale di molti giocatori. Se non è amore questo, cosa lo è?