Guerriero, pittore e filosofo
Gli eroi nazionali definiscono in un certo senso le qualità migliori di un popolo. In Italia sono poeti come Dante o eroi dell’unità nazionale come Mazzini. Forse sintomo non tanto di orgoglio quanto della necessità di un’unità mai del tutto raggiunta.
Questo tipo di discorsi potrebbe tuttavia applicarsi alla Spagna nelle figura di El Cid, alla Francia con Giovanna d’Arco. Spostandoci fuori dall’Europa, verso oriente, i contorni che definiscono l’eroe nazionale cambiano. Per il Giappone non deve sorprenderci che l’eroe prediletto non sia solo un guerriero, ma anche un pittore, un saggio e un poeta. Perché Miyamoto Musashi era più di un semplice spadaccino. Per il giapponese incarna l’essenza stessa del samurai, un guerriero dotata di virtù e capacità superiori alla media. Guerriero, filosofo, stratega, pittore e molto altro ancora.
Ma capire chi fosse realmente Miyamoto Musashi non è cosa semplice. Una delle maggiori fonti sulla vita di Musashi è la sua opera più famosa, il Libro dei Cinque Anelli. Qui, in alcuni passaggi, è lui stesso a parlare della sua formazione e della sua vita. Nonostante ciò le notizie certe sulla sua vita appaiono frammentarie, le fonti lasciano spesso ampio spazio al folklore e alla leggende. Ma anche il mito sorto attorno alla sua figura mostra ciò che il popolo giapponese prova per questo imbattibile maestro di spada. Un uomo capace sia di essere uno spietato guerriero che un saggio mentore.
Nato per la spada
Per comprendere al meglio la vita di una figura storica è impossibile estraniarla dal proprio periodo storico. Musashi, chiamato Takezo alla nascita, venne alla luce verso la fine del Periodo Azuchi-Momoyama. Si tratta dello stesso periodo storico che vide i tre grandi unificatori del Giappone, Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu.
L’isola del Sol Levante sta subendo cambiamenti sempre più importanti. Le tradizioni e le famiglie di bushi e di daimyo perdono poco alla volta il loro prestigio, cosa che comporterà una lunga serie di conflitti interni, culminati nel 1600 nella battaglia di Sekigahara.
Proprio la grande battaglia che vide i daimyo dell’Ovest sconfitti dovrebbe fornire una delle poche date certe nella biografia del giovane Miyamoto. Secondo quanto riportato dalle fonti tradizionali vi avrebbe partecipato, schierato dalla parte degli sconfitti, all’età di appena sedici anni.
Questo porrebbe la sua data di nascita attorno al 1584. Tuttavia ci sono alcune problematiche dovute alla tradizione che vuole come suo padre Shinmen Munisai, un maestro nell’arte del jitte morto nel 1580, secondo quanto riportato dalla stele identificata con la sua tomba.
Sono molte le teorie formulate per cercare di colmare questa discrepanza. Le due più plausibili sono che la moglie di Munisai, rimasta vedova, avesse adottato Musashi per farne l’erede della scuola del marito; oppure, banalmente, che la data della morte sia sbagliata a causa di qualche errore di trascrizione.
Di certo alla sua formazione contribuì buona parte della famiglia. Gli zii Dorin e Tasumi fecero di lui un fervente buddista, mentre il padre lo avrebbe addestrato all’uso del jitte e a impugnare le armi. Lo stesso Musashi tuttavia sostiene di essere un autodidatta nel suo Libro dei Cinque Anelli.
Se le tradizioni sulla sua formazione sono discordanti, tutte le fonti sono concordi nel definirlo un vero prodigio con la spada. Ad appena tredici anni sarebbe stato in grado di vincere il suo primo duello contro Arima Kihei, uno spadaccino piuttosto rinomato ma estremamente arrogante.
Kihei era in viaggio per il Giappone per affinare la propria tecnica e avrebbe lanciato una sfida pubblica, esponendo un messaggio nel villaggio di Hirafuka-mura. Musashi scrisse il proprio nome sotto il messaggio e la sfida venne accettata, nonostante lo zio Dorin cercasse di dissuadere il ragazzo dal compiere quella che sembrava una follia. Il risultato di un duello tra un maestro di spada conosciuto e un giovanotto di tredici anni ancora intento ad addestrarsi doveva sembrare scontato. Cercò quindi di intercedere presso Kihei, il quale accettò di non scontrarsi col ragazzo, a patto che questo si fosse scusato pubblicamente il giorno del duello.
Arrivato il giorno della sfida le cose sembravano già scritte. Come se non bastasse il giovane Musashi si presentò di fronte all’avversario con un bokken, una spada di legno da addestramento. I presenti si convinsero che il duello non ci sarebbe stato, cosa che sembrò confermata dal fatto che lo zio e mentore del ragazzo prese a scusarsi a suo nome.
Fu in quel momento che Musashi ribadì la sua sfida e attaccò. Kihei, furioso per l’arroganza dimostrata dal giovane, estrasse la sua wakizashi per colpirlo e si lanciò contro di lui, ma il suo attacco andò a vuoto. Musashi fu capace di rispondere efficacemente e di portare a segno un colpo vincente, tra lo stupore generale: era nata una leggenda.
Il duellante invincibile
Lo scontro con Kihei fu solo il primo di una lunga serie, almeno sessanta secondo la tradizione, e nessuno di questi vide mai sconfitto Musashi. Questo primo duello mostra anche alcune delle caratteristiche che si sarebbero ripetute nelle tenzoni successive. In primo luogo Musashi usava spesso il bokken in combattimento, quasi a rimarcare la sua superiorità nei confronti dell’avversario, armato tradizionalmente con armi forgiate nell’acciaio.
Ma, soprattutto, il giovane aveva dimostrato sin dal principio di essere un abile stratega e manipolatore. Un avversario irritato era un avversario poco lucido. E un guerriero poco lucido era un guerriero morto. Per tutta la sua carriera Musashi non si fece scrupoli nel portare al limite la pazienza degli avversari, presentandosi armato solo di un bokken, scarmigliato e malvestito. Il tocco finale erano i suoi ritardi, divenuti leggendari.
Musashi era solito presentarsi sempre dopo l’appuntamento stabilito con il suo avversario, in modo da fargli perdere le staffe nel corso del duello. Una tattica che avrebbe utilizzato molto spesso nel corso dei suoi vagabondaggi per il Giappone. La sua vita da rōnin sarebbe iniziata secondo la tradizione dopo Sekigahara. Va anche detto che molti sostengono che Musashi abbia prima passato lungo tempo a perfezionarsi sulle montagne. C’è tuttavia chi sostiene che questa fosse una necessità dovuta al superamento della sconfitta patita dalla sua fazione a Sekigahara.
Musashi vagò di città in città, sconfiggendo ogni avversario che gli si parava di fronte. I suoi duelli divennero presto materia di leggenda, ma tra tutti spicca quello contro il temibile Sasaki Kojirō, detto Ganryū, un famoso maestro di spada.
Ganryū aveva aperto da poco un dojo presso Kokura, richiamando molti allievi da tutto il Giappone. La sua fama era tale da attrarre anche lo stesso Musashi, che lanciò una sfida formale nell’aprile del 1612.
Come sempre Musashi non si fece scrupoli a utilizzare tutte le sue tattiche. Fece attendere Ganryū per ore sotto il sole cocente, al punto da costringere un emissario del suo sfidante a richiamarlo. Quando il messo giunse all’alloggio del samurai, lo trovò intento a dormire nella grossa. Attese pazientemente che facesse colazione e si mettesse in viaggio per raggiungere l’isola luogo della sfida.
Finalmente Musashi arrivò e Ganryū era talmente fuori di sé da dimenticare ogni cautela e attaccare a testa bassa, ignaro del fatto che il suo avversario stesse nascondendo un bokken molto più lungo del normale in acqua. Appena Ganryū fu a tiro Musashi menò un unico poderoso attacco alla tempia del nemico, uccidendolo sul colpo.
L’importanza di questa sfida è tale che ancora oggi l’isola dove ebbe luogo è dedicata a Ganryū (Ganryū-jima, forse a rimarcare il luogo dove morì il grande spadaccino).
Musashi si ritirò in età matura dai combattimenti. Ormai cinquantenne, dedicò gli ultimi anni della sua vita alla composizione dei suoi libri, raccogliendo attorno a sé un numero consistente di allievi (c’è chi dice fossero almeno tremila). Alla sua morte, sopraggiunta all’età di sessant’anni, i suoi discepoli si raccolsero per il funerale, mentre in lontananza un tuono fragoroso sembrava annunciare che l’anima del maestro aveva lasciato il suo corpo per ascendere ai cieli.
Filosofia, romanzi e fumetti.
Come abbiamo già detto il contributo di Musashi alla cultura giapponese va ben oltre il suo ruolo di eroe nazionale e di spadaccino imbattibile. Giunto a ritirarsi dopo una vita di successi scrisse due testi in cui venne riportata la sua filosofia di vita e il suo modo di dedicarsi all’uso della spada.
La sua opera più famosa è il già citato Libro dei Cinque Anelli, un maestoso trattato sull’arte della spada che non si limita a descrivere alcune delle più importanti tecniche di lotta del maestro, ma anche il suo pensiero, il suo modo di approcciarsi al mondo e alla guerra.
Musashi, prima ancora che un guerriero, era uno stratega. Secondo quanto riportano i suoi scritti niente va lasciato intentato per vincere un duello, e la prima arma del vero maestro di spada è la sua intelligenza. Grazie all’astuzia possono essere vinti anche gli scontri più proibitivi, come dimostrato da tutta la sua carriera.
Gran parte dei suoi insegnamenti sono tuttavia di natura più filosofica che guerriera: è probabile che le sue tecniche non fossero destinata alla diffusione al di fuori della sua scuola e che per questo motivo il Libro dei Cinque Anelli scelga di glissare su alcuni particolari, destinati invece agli allievi della sua scuola.
Al di fuori del suo contributo come insegnante di spada Musashi fu anche un artista: ci sono state tramandate alcune opere da lui realizzate, tra cui un presunto autoritratto del maestro in età ormai matura.
Tutte le qualità di questo leggendario guerriero non potevano che avere una forte presa nell’immaginario della cultura giapponese. Sono state tante le opere ispirate dalla vita di Musashi, prima tra tutte il romanzo biografico Eiji Yoshikawa.
L’opera ebbe un grande successo in patria, forse anche per il periodo in cui essa fu pubblicata (siamo negli anni ‘30, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale) e nel corso del tempo ottenne un vasto numero di trasposizioni, teatrali, televisive e cinematografiche.
Una delle più note opere ispirate al lavoro di Yoshikawa è il manga Vagabond, realizzato di Takehiko Inoue, ma non è l’unico approdo di Musashi nel mondo del fumetto. Sono tanti gli autori che, nel corso della loro carriera, hanno voluto omaggiare l’eroe del Sol Levante facendolo comparire in maniere diverse nei propri manga e anime.
Tra loro spicca senza dubbio la maestra Rumiko Takahashi, la quale ha mostrato una parodia dello spadaccino in Lamù, ripresentandolo quindi in una veste più seria nell’opera successiva Ranma ½. Da ricordare anche la sua comparsa in Doraemon, altra grande icona per il popolo giapponese. Un successo, quello della figura di Musashi, capace di uscire fuori dai confini giapponesi per comparire anche in opere di autori internazionali, dagli Stati Uniti all’Italia. Questo senza citare i riferimenti presenti a lui nel mondo dei videogiochi.
Miyamoto Musashi in questo incarna perfettamente l’ideale giapponese del guerriero: da un lato l’orgoglio, l’abilità, ma anche la capacità di amare la bellezza e la contemplazione, tutti aspetti che ne fanno il modello di ciò che il popolo del Sol Levante ha voluto rappresentare nel suo contributo alla storia del genere umano.