Saltando a piè pari i 90s, pop culture e moda sembrano pronte a un prematuro revival degli anni ’00; che abbiamo fatto di male per meritarcelo?
vete visto le minigonne della collezione primavera/estate 2022 di Miu Miu?
No, non abbiamo aperto una sezione dedicata alla moda, e purtroppo nessuno della famiglia Prada ci ha pagato per una sponsorizzazione, ma è da questo capo diventato virale sui social anche fuori dalla bolla fashionista che possiamo partire per questo nostro viaggio negli anni 2000.
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La minigonna di cui sopra – presentata durante la settimana della moda di Parigi e già indossata da influencer nostrane come Chiara Ferragni e attrici d’oltreoceano come Nicole Kidman (sulla copertina di Vanity Fair) e Hailey Bieber (testimonial della maison) – si fa simbolo di uno sconsiderato ritorno della moda che imperversava nel primo decennio del XXI secolo – e se anche voi avete provato un brivido al pensiero, sappiate che non siete sole e soli. Quella microfascia di stoffa, infatti, non è altro che il primo accenno di un tentativo di riportare in auge la moda, la pop culture, l’immaginario degli anni dal 2000 al 2010, quando le Spice Girls si erano appena separate ma non erano ancora tornate insieme, i poster dei Blue avevano soppiantato quelli dei Backstreet Boys nelle nostre camerette, e James Blunt e Christina Aguilera ci cantavano quanto fossimo belle e belli, mentre tv e riviste ci proponevano standard estetici irraggiungibili e dannosi per la salute.
Gli anni ‘00 sono gli anni del nothing tastes as good as skinny feels di Kate Moss, gli anni in cui Paris Hilton veniva considerata un’icona di stile, gli anni in cui i corpi femminili desiderabili si dividevano in due categorie: Marissa Cooper e Summer Roberts. Alla vista della minigonna di Miu Miu – al pensiero del ritorno dei pantaloni a vita bassa – molte di noi hanno reagito con l’andreottiano sguardo vacuo di chi vede la storia ripetersi e non ha gli strumenti per fermare il disastro imminente. Ebbene sì, lasciatemi essere catastrofista: personalmente quel decennio lì – quello di Valeria Marini che chiede a Vittorio Cecchi Gori di videochiamarla – è stato il decennio che mi ha traghettato dalla scuola elementare alla fine delle superiori. Un periodo, è risaputo, in cui la peer pressure non ti spinge a fare ciò che fanno le persone intorno a te per sentirti parte del gruppo.
Sono passati solo vent’anni, ma se penso ai passi avanti fatti nella rappresentazione (ancora imperfetta, ma almeno esistente) di corpi non conformi al canone da rivista patinata (anche se sulle riviste patinate ancora resistono gli stilemi che vogliono la donna giovane, carina, magra), mi chiedo come sia possibile che la nostalgia di noi, nuova generazione trentenne, abbia assunto la forma del decennio della nostra adolescenza, anziché trovare riparo nel sicuro rifugio degli anni novanta della nostra infanzia.
Che fine hanno fatto gli anni novanta?
Da alcuni anni, ormai, preconizzavo la fine della supremazia culturale della nostalgia anni 80 e pregustavo con anticipazione il momento in cui avremmo salutato I Goonies, Labyrinth, La storia infinita, per arrivare a riesumare dalla nostra coscienza collettiva Mrs. Doubtfire, Edward mani di forbice, Jurassic Park e Matrix (anche se gli ultimi due franchise non sono mai morti veramente). Volevo il Game Boy Color icona del retrogaming al posto del NES, i listoni sui dieci cartoni animati del Disney Club che non ricordavi, volevo le interviste a Mauro Serio, che dopo Solletico è diventato un habitué delle fiction di Mamma Rai. Io non volevo solo aver partecipato agli anni 90, volevo avere il potere di riviverli.
Invece, sbam! tre, due, uno, cari saluti al millenium bug e bentrovati negli anni 2000.
Come è potuto succedere? Perché gli anni novanta non stanno tornando? Dove sono le camicie di flanella, le Fornarina con la zeppa, gli angioletti di Raffaello volati dalla Cappella Sistina alle t-shirt Fiorucci? Sono anni che rinnovo il guardaroba confidando di avere davanti a me un decennio in cui vestirsi come Blossom Russo sarebbe stato di nuovo socialmente accettato, e adesso vengo minacciata di ritrovarmi ancora con dei jeans che lasciano scoperta una buona percentuale di natica (cosa che trovavo spiacevole a quindici anni, figuriamoci a trenta). Perché? Siamo ancora in tempo per invertire il trend? Amiche, amici, generazione mia: sono consapevole che questi ultimi due anni ci abbiano messo a dura prova. Che il primo lockdown abbia colpito molte e molti di noi alle soglie dei fatidici trent’anni e che forse sia stato questo lungo periodo di aperitivi al posto della merenda, senza concerti, cinema, discoteche – occorso proprio nel momento in cui eravamo pronte e pronti per vivere gli ultimi lunghi istanti di gioventù – a lasciarci un insoddisfatto desiderio di regredire non all’accogliente stadio larvale dell’infanzia, ma a quello di pupa (e il secchione, un altro dei grandi contributi televisivi di quel decennio) adolescenziale.
Il ritorno degli anni ‘00 sembra essere il nostro ultimo, scellerato, atto di ribellione tardo-post-adolescenziale. Un rifiuto del decennio che ci ha visto nascere, crescere, imparare a leggere, a scrivere, quasi che ci negassimo la gioia di crogiolarci in quegli anni in cui non capivamo cosa succedesse intorno a noi – tangentopoli, la guerra del golfo, eventi che abbiamo studiato nei libri di storia, non vissuto in prima persona – per saltare direttamente alla fine dell’innocenza, a quella puntata interrotta della Melevisione, alla presa di coscienza che prima o poi quel mondo sarebbe stato nelle nostre mani e che forse non avremmo saputo fare altro che farcelo scivolare tra le dite, come quello spago giallo che – in realtà – non compare mai, tra le mani di Tonio Cartonio, in quell’episodio.
Vorrei svegliarmi domattina e avere trent’anni […] per vedere che ne sarà di noi! declamava un giovanissimo Silvio Muccino nel 2004, ma la mia generazione, a quanto pare, vorrebbe svegliarsi domattina ed essere di nuovo nel 2004; nonostante l’adolescenza, nonostante i pantaloni a vita bassa. Io, che a tredici anni non riuscivo a capire questo desiderio di correre incontro a un’età in cui già mi immaginavo sposata, con figli, e un lavoro a tempo indeterminato, adesso riesco in parte a comprendere l’anelito alla conoscenza, all’età adulta, allo sfuggire dalle maglie della pressione adolescenziale. La nostalgia per quel periodo, però, come Tiziano in 111 non me la so spiegare.
Ma la nostalgia, a quanto pare, prende strade inaspettate e tra una vita tranquilla e una vita bassa, qualcuna di noi, ancora, desidera la seconda.