Chrono Cross: The Radical Dreamers ripropone in versione appena restaurata un classico dell’epoca Playstation e il suo spin-off mai uscito dal Giappone. Serviva davvero altro?
to per dire una cosa forte: Chrono Cross, la nuova versione rimasterizzata, è meglio di Shadow of the Colossus di Bluepoint Games. Non è tanto una questione di punti di vista, ma di individuare lo scopo del progetto. Siamo convinti che le rimasterizzazioni o i remake servano a modernizzare i giochi più vecchi, a renderli appetibili anche ai più giovani, tanto da dimenticare che determinate scelte di design sono così radicate in un periodo storico da essere fondamentali per avere l’esperienza reale dell’opera in questione.
Vorremmo un remake di Metal Gear Solid dimenticando che i primi episodi della serie hanno il loro impianto stealth costruito intorno a una sostanziale “legnosità” del sistema di controllo, tanto che rendere Snake più reattivo probabilmente farebbe crollare l’intera struttura ludica. Non ci lamentiamo dei collezionabili in Shadow of the Colossus perché in fondo aggiungono ore di gioco, senza tenere in considerazione che sono la totale negazione del design sottrattivo tipico di Ueda.
Il punto, si diceva, è un po’ nel cercare di capire qual è lo scopo del progetto. Spesso il (ri)pubblicare un gioco per sistemi moderni significa solo renderlo di nuovo fruibile aggirando il mondo del retrogaming e le sue speculazioni. L’accessibilità non va per forza di pari passo con una semplificazione o un ammodernamento volto a smussare gli angoli (o meglio, quelli che oggi percepiremmo come tali) di opere che hanno vent’anni sulle spalle, perché spesso questi angoli sono integrati così in profondità nell’opera che smussarli andrebbe a modificare sostanzialmente la direzione originale del progetto. Di converso però, mantenere tutte queste cose permette a tutti di fruire dell’opera come è stata intesa, preservandola per com’era.
Questo non significa che tutte le operazioni di remake siano intrinsecamente sbagliate, e per primo ho apprezzato quei remake che sono andati a riscrivere totalmente un gioco, come Resident Evil 2 e 3 o Final Fantasy VII Remake. Lì si andava in una direzione radicale però, dove del gioco originale rimaneva poco o nulla e l’opera veniva reinterpretata totalmente. Il problema, nella maggior parte dei casi, sono le soluzioni di mezzo, come appunto Shadow of the Colossus.
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Questo per dire che il lavoro svolto su Chrono Cross, nonostante gli inspiegabili problemi di framerate, non mi sembra criticabile perché “si poteva fare di più”. Perché questo “di più” vuol dire poco, non sapendo precisamente dove sta il punto in cui è giusto fermarsi. È invece più che apprezzabile trovare in un pacchetto unico, venduto a 20€, un classico dell’epoca Playstation difficilmente reperibile e il suo spin-off uscito solo in Giappone su una piattaforma come Satellaview, peraltro in italiano. Il tutto con timide e opzionali introduzioni come la possibilità di velocizzare il gioco o rendere più facili i combattimenti, da richiamare a necessità.
Chiaramente la direzione intesa da Square-Enix in questo caso era quella della conservazione, e magari se ne facessero di più di operazioni di questo tipo visto l’enorme quantità di titoli eccezionali, mai riproposti e difficilmente accessibili se non tramite emulazione o acquisto a prezzi esagerati. Chrono Cross è esattamente il gioco che era quando è uscito, con i modelli 3D migliorati (ma non rivoluzionati) e i fondali ripuliti in maniera non molto dissimile da come succede con le varie tecniche di pulizia basate sull’IA. Il risultato non è chiaramente un gioco che si direbbe nuovo, ma semplicemente la versione appena ammodernata del gioco originale che ne mantiene però tutte le caratteristiche intatte, compresa l’art direction pennellata e pittorica.
Sembra ovvio che nel momento in cui ci si approccia a un prodotto del 1999 se ne debbano accettare gli acciacchi e i limiti, senza per forza pretendere che di botto questo diventi un frizzantissimo JRPG degli anni ‘20. Il pretendere altro è un punto di vista, un modo di relazionarsi con il gioco volendo che questo si pieghi ai nostri desideri invece di voler noi accettare lo scopo con il quale è stato pensato. Modo che non deve necessariamente piacerci ovviamente, ma che va comunque preso in considerazione e messo al centro della riflessione. Partendo da questo assunto, Chrono Cross: The Radical Dreamers Edition è in continuità con molte riproposizioni recenti di Square-Enix (ma non solo), la maggior parte orientate appunto alla sola riproposizione di vecchi videogiochi così come erano stati pensati. Grazie a questo trend potremo rigiocare a breve Live A Live, o Front Mission 2 (seppure questo rifatto da zero), mai visti fuori dal Giappone.
E il fatto che molti videogiochi siano “vecchi” al giorno d’oggi è normale e sacrosanto, fa parte della naturale evoluzione dei linguaggi. Eppure non ho mai sentito nessuno dire che a Il Settimo Sigillo servirebbe un remake perché è lento e in bianco e nero, o che la Divina Commedia andasse riscritta perché è pesante da leggere al giorno d’oggi. Probabilmente c’è una maturità di pubblico per cui si ha rispetto dell’opera in quanto tale, come è stata concepita dall’autore e non per come noi la preferiremmo più o meno fruibile, perché sarebbe una violenza rispetto a qualcosa e a come è stato concepito.
Sì, per la Commedia di Dante ci sono riscritture semplificate – per fare approcciare i bambini alla letteratura – o riletture da parte di altri autori che rimaneggiano interamente l’opera, ma chiaramente hanno i primi uno scopo didattico e i secondi l’intento di partire da qualcosa e piegarlo per dire altro. I primi sembrano anche essere quello che vorremmo vedere dalle remaster, per le quali non vogliamo accettare che intaccare profondamente l’originale andrebbe a snaturarlo e a renderlo sì più fruibile ma da un pubblico di persone che implicitamente accetta di non avere tempo da dedicare a qualcosa di complesso e spigoloso, di fatto tradendo la visione degli autori.
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I secondi sono i lavori come Final Fantasy VII Remake, che partono da qualcosa per fare e dire altro. Utilizzando certamente il nome di richiamo e la fama, ma andando in una direzione diversa. Cosa che non va bene comunque bene a una parte di pubblico perché oh, l’originale qui diceva X mentre nel remake dicono Y. In questi casi, in cui il gioco è un altro rispetto all’originale, dovrebbe valere la regola che quella non è una riproposizione 1:1, che l’originale ancora esiste, si tratta di un remake nel senso stretto del termine.
Chrono Cross: The Radical Dreamers Edition è un testo originale con le note, con delle spiegazioni al testo e non delle semplificazioni allo stesso, che rimane invariato. Ed è un testo che vale la pena “leggere”, perché Chrono Cross è un’opera eccellente di un narratore eccellente come Masato Kato (Xenogears, Final Fantasy VII). Un gioco con delle atmosfere magiche e varie e delle tematiche importanti. Un cast di comprimari enorme, diverse scelte in grado di cambiare una partita e un sistema di combattimento e level-up particolarissimo dove la strategia prende prepotentemente il ruolo di protagonista, impedendo di fatto il farming. Un figlio di quella Squaresoft in vena di sperimentazione in campo JRPG degli anni ’90 a cui dobbiamo Xenogears, SaGa Frontier, Front Mission 3 o Parassite Eve 2. È anche il seguito di Chrono Trigger, quel JRPG per Super Nintendo a cui dobbiamo alcune rivoluzioni all’interno del genere.
Ora dobbiamo vedere come vogliamo essere trattati, se da bambini che hanno bisogno delle semplificazioni o da persone che sono in grado di comprendere quello che si ha davanti, contestualizzandolo. Posto che il framerate è terribile, davvero.