La A24 distribuisce il nuovo film di Mike Mills, C’mon C’mon
La A24 abbiamo imparato a conoscerla un po’ tutti. Una casa di produzione dallo spirito indipendente che nel corso degli anni s’è fatta eden dei progetti cinematografici dalla difficile collocazione, spesso piccole opere dal respiro intimista, se non addirittura minimalista. Diventa casa, anche se solo in distribuzione, pure per C’mon C’mon, l’ultimo progetto da regista cinematografico di Mike Mills, nato nel mondo del videoclip e del graphic design per poi arrivare anche nelle nomination agli Oscar con 20th Century Women.
Un racconto intimo sulla forza del dialogo
I parametri di riconoscimento che potenzialmente fanno un “film da A24”, del cool che si fa smart, ci sono tutti, dalla scelta del bianco e nero limpido e luminoso fotografato da Robbie Ryan, all’accompagnamento sonoro che ogni tanto si lascia cullare dalla musica classica. Nel mezzo scorre un dramma mai invadente, tenero e forse un po’ furbetto che guarda al futuro dalla prospettiva dell’uomo buono Joaquin Phoenix, nuovo araldo di una contro-Hollywood dall’aspirazione ecologista e dalle poche parole che però devono contare.
Così Mike Mills scrive e dirige un film sul dialogo, sul potere salvifico e liberatorio del lasciare fluire fuori da sé le emozioni, dell’andare a condensare in un profluvio di vocaboli la speranza di un’intera umanità che può riscoprirsi a colori nell’ascolto, magari proprio di coloro che andranno a ereditare, un giorno, il mondo.
«Sei fiducioso per il futuro?» chiede con il microfono in mano il protagonista Phoenix/Johnny ai giovani e giovanissimi che siedono davanti a lui, documentarista che gira per luoghi simbolo del sogno statunitense spesso decaduto, come Detroit. Ne emerge un quadro variegato, energico e dalle idee chiare ma venato di una malinconia che pare sintomatica di una decadenza lasciata in eredità da quelli grandi, gli adulti.
Una magnetica alchimia tra i due protagonisti del film
Un mondo un po’ grigio, in bianco e nero appunto, le cui opinioni raccolte a riguardo vanno poi a fare da sfondo all’incontro che il Johnny/Phoenix finisce per avere con il piccolo Jesse (Woody Norman), figlio di sua sorella Viv (Gaby Hoffmann). Per una serie di ragioni i due si ritrovano a dover passare diversi giorni assieme dopo non essersi praticamente mai frequentati.
Ed è immediatamente evidente come C’mon C’mon sfrutti il gioco del rovescio per ribaltare ruoli e certezze in cui l’intervistatore diventa intervistato, dove a essere imbrigliato in un dedalo di domande è quell’uomo adulto, solitario e quasi senza passato il cui animo dona anche il filtro cromatico al film.
Una scelta semplice e in alcuni frangenti anche comoda nel premere il pulsante dell’emotività, racchiusa da una regia sempre affascinante e sottolineata talvolta a schermo con l’inserimento di flashback o piccoli quadri mentali che non sempre pagano come si avrebbe intenzione. Quel che più conta è che però l’alchimia tra Phoenix e Norman funziona, e benissimo.
C’mon C’mon punta sulla dolcezza
E questa è senza ombra di dubbio la carta vincente che si gioca Mills, che probabilmente non ha nemmeno bisogno più di tanto di indirizzare i suoi due attori capaci di avvicinarsi l’uno all’altro con rara sensibilità, con naturalezza (Phoenix, per inciso, è padre da poco più di un anno). I due si appropriano di una forza comunicativa che dona incredibile spessore a uno scambio di idee che potrebbe facilmente scivolare via nel dimenticabile, invece qui sorretto da una tenerezza che è il proscenio dell’intero film.
Di maternità esasperate e paternità mancate si è spesso parlato meglio e con più efficacia altrove, è vero e c’è da dirlo, così come non stupiscono nemmeno più i bambini weird e particolarmente perspicaci per la loro età (c’è qualcosa, da qualche parte, di Baumbach con The Squid and The Whale).
Nonostante questo, e alcune dinamiche accarezzate e nelle quali non si scivola mai realmente all’interno un po’ per intenzione un po’ per risultato finale, C’mon C’mon non esaurisce mai il proprio magnetismo. Si muove quasi interamente sulla forza degli interpreti il cui connubio tra futuro e passato è l’ideale chiavistello di discorsi più ampi sul presente che fanno da corollario e scorrono sui bordi, suggestioni di un dialogo che diverte, riempie ed esaspera con la giusta punta di dolcezza.