Dalla realtà all’immaginazione
Il 20 marzo del 1995 cominciava come un classico lunedì mattina a Tokyo: le stazioni della metropolitana erano colme di gente pronta a raggiungere il luogo di lavoro o la scuola. I treni si susseguivano, veloci e puntuali, uno dietro l’altro. Tuttavia, tra le 7:50 e le 8:10, l’aria diventò irrespirabile, e le persone cominciarono a sentirsi male. Si trattava di un tipo di gas nervino, il sarin, un veleno potente in grado di causare vomito, tremore, accecamento, paralisi e morte. Fu inventato negli anni Trenta dai nazisti, ma venne utilizzato in seguito negli anni Ottanta dall’Iraq contro i curdi, e quella mattina del 1995, a Tokyo, da parte di membri del culto religioso di Aum Shinrikyō.
In particolare, cinque persone piazzarono dei sacchetti di plastica in punti strategici della metropolitana di Tokyo, per poi spaccarli con la punta dell’ombrello in modo tale da fare uscire il gas in forma liquida. Ci furono tredici vittime e circa 5 mila intossicati.
L’obiettivo di quell’attacco terroristico era la critica alla società giapponese, ingabbiata nei suoi dogmi legati all’individualismo esasperato e al materialismo fine a se stesso. Una condizione di vita a cui la setta di Aum si opponeva dando valore alla vita comunitaria, alla preghiera e alla spiritualità.
L’attentato alla metropolitana di Tokyo ebbe un impatto devastante sul Giappone, un paese che si faceva vanto del basso tasso di criminalità e della coesione sociale, attaccato a sorpresa proprio per quei suoi principi ritenuti fallaci dai terroristi.
Lo stesso Murakami Haruki, celebre autore giapponese, dedicò uno dei suoi testi, Underground, agli eventi di quella mattina, incentrando la raccolta sull’esperienza personale – e dunque più tragica – dei singoli sopravvissuti, per sempre cambiati nel loro io.
Alla fine, gli attentatori appartenenti al culto di Aum Shinrikyō vennero giustiziati il 6 luglio del 2018.
La storia dell’attentato di Tokyo serve ad aprire la nostra mente verso un tema poco legato al Giappone. D’altronde noi occidentali crediamo che il terrorismo sia uno dei nostri mali del XXI secolo: dall’11 settembre del 2001, sino ai più recenti attacchi di matrice islamica nelle principali città europee, abbiamo messo in dubbio il nostro concetto di sicurezza.
Tuttavia sarebbe limitante pensare al terrorismo come un problema tipicamente occidentale, perché anche il Giappone ha un rapporto travagliato con il tema. E non solo per l’evento narrato a inizio articolo, quanto per il ruolo che ha avuto durante la formazione della società dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale.
Tra i gruppi terroristici più famosi degli anni Settanta ricordiamo l’Armata Rossa Giapponese, che prendeva a modello le lotte studentesche locali di stampo comunista del secondo dopoguerra, per proporre un mondo che guardasse all’internazionalismo, al posto dell’individualismo alienante, materialista e scorretto di chiara origine statunitense su cui si stava plasmando la società giapponese moderna.
Questo breve excursus storico serve per comprendere come il terrorismo sia un tema molto presente nella produzione mediale giapponese. Poc’anzi abbiamo citato Undreground di Murakami, ma è soprattutto negli anime che l’argomento trova la sua più frequente rappresentazione.
Tra gli esempi più recenti vi è l’imminente film Code Geass: Lelouch of the Re;surrection. Tale lungometraggio giunge a seguito della popolare serie sottotitolata Lelouch of the Rebellion, presente anche su Netflix nelle sue due stagioni.
Partendo dall’opera di Ichirō Ōkōchi ci addentriamo in un delicato viaggio nell’immaginario giapponese legato al terrorismo, nel tentativo di capire meglio il fenomeno.
Il terrorismo come desiderio di un nuovo ordine mondiale
In Code Geass il Giappone come lo conosciamo non esiste più. Il suo nome adesso è Area 11, ed è sotto il dominio del Sacro Impero di Britannia. L’arcipelago di isole rappresenta uno dei terreni più fertili di sakuradite, un minerale indispensabile per il funzionamento dei Knightmare Frame, avanzati robot militari che hanno portato alla capitolazione del Giappone nel 2010.
I giapponesi, denominati Eleven, cercano il riscatto attraverso attacchi terroristici.
La fine del dominio di Britannia non è solo l’obiettivo del popolo nipponico, ma lo è anche di Lelouch Lamperouge, un britanno. Gli uni lo fanno per amor patrio, l’altro per orgoglio personale nato in seguito a un tragico evento del passato. La tenacia del ragazzo è rafforzata da un misterioso potere, denominato Geass, che gli consente di comandare le azioni delle persone con un semplice sguardo. Questo gli consentirà di divenire il leader del gruppo terroristico giapponese, col nome di Zero, per avviare la sua lotta contro Britannia, e ottenere la sua personale rivalsa in un nuovo ordine mondiale.
Questo è l’incipit di Code Geass: Lelouch of the Rebellion, un’opera ucronica, che fonde forze sovrannaturali, mecha da combattimento, intrighi politici a una critica di stampo sociale. Si tratta di un mix particolare ma vincente, che consente di mettere in rilievo aspetti interessanti nel corso della narrazione.
Uno dei temi cardini della serie è il razzismo a cui sono soggetti i giapponesi. Confinati nelle zone più povere di Tokyo come Shinjuku, gli abitanti nipponici sono vittime di pestaggi, insulti, denigrazione da parte dei britanni.
Quando tentano il riscatto, sebbene con atti violenti e terroristici, le risposte della Britannia sono fucilazioni di massa, senza fare alcuna distinzione tra criminali e civili, adulti e bambini.
La sensazione di oppressione dei giapponesi, da cui poi scaturisce un senso di inferiorità nei confronti di una potenza occidentale, qui rappresentata come nobiliare, potente e in costante crescita, attanaglia noi spettatori, che inevitabilmente ci troveremo sempre dalla parte dei terroristi.
L’aspetto più affascinante di Code Geass è che loro sono gli unici ad essere inquadrabili come personaggi positivi, in quanto la netta suddivisione tra bene e male, nel corso della serie, non esiste, e i personaggi principali si troveranno sempre in bilico tra l’altruismo più nobile e l’egoismo più becero.
Lo stesso Lelouch/Zero è molto più spesso antieroe che eroe, poiché i lati che vengono fuori del suo carattere sono quelli dettati dalla tracotanza, dalla megalomania, dal senso di superiorità derivato dal potere del Geass. La maschera indossata nei panni di Zero non è altro che simbolo della menzogna che vince sempre sulla verità, specie nei confronti degli altri.
Si potrebbe dire che Lelouch sia un rimando a Light Yagami di Death Note, anche lui affascinante, dotato di acuta intelligenza e di un enorme potere sovrannaturale. Tre aspetti che vengono sfruttati sapientemente per avvicinarsi più al concetto di dio che di uomo, il cui ultimo scopo è la nascita di un ordine mondiale dettato dalle mere esigenze personalistiche del protagonista, sia esso Light o Lelouch.
Non è un caso che nella celebre opera di Ōba e Obata, le uccisioni di Kira siano paragonate ad atti terroristici.
Questo lascia intendere come il terrorismo spiccatamente giapponese – perché abbiamo sempre parlato di gruppi locali che operano nel paese – sia mal visto dall’opinione pubblica, per quanto esso sia spinto da visioni nobili che vogliono la fine delle ingiustizie contemporanee.
È stato così anche nella realtà, all’epoca delle sommosse studentesche, o dell’Armata Rossa Giapponese, o ancora, della setta di Aum: ognuno di loro ha la propria visione in opposizione alla società tradizionale restia ad accettarli, al cui interno, nelle sue meccaniche ciniche, non è possibile trovare un posto.
Rischiamo di dilungare il discorso, ma ci preme sottolineare di nuovo – come potete notare da quest’altra analisi – come l’avere un posto nella società, riconoscersi nei modelli della maggioranza, sia fondamentale in Giappone.
Il terrorismo incarna, in una interpretazione tutta sua, questo desiderio: l’identificarsi in una ideologia diversa da quella imposta dalla società.
Allo stesso modo Lelouch e Light, demotivati dai processi stantii della comunità in cui vivono, cercano, ad ogni costo, di porsi al di sopra per dettare nuove regole spinte da un personale senso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Pur avendo citato le due opera magna legate al terrorismo giapponese come Code Geass e Death Note, il tema non si esaurisce certo qui.
Sempre legato alla lotta contro un mondo troppo spietato troviamo Terror in Resonance. È una serie anime realizzata da Shinichirō Watanabe, creatore di Cowboy Beepop, uscita in Giappone nel 2014 e in Italia nel 2017. I protagonisti sono due giovani terroristi, Nine e Twelve, che nella prima puntata mettono in ginocchio Tokyo attraverso un black out totale e l’esplosione del palazzo governativo. Ne deriva uno scontro tra polizia e terroristi, reso profondo dai dilemmi dei suoi personaggi principali. Un’opera intensa, ansiogena, che lascia riflettere, e che ancora una volta si regge sulla speranza dei suoi protagonisti di cancellare il mondo che li ha creati.
Concludiamo questo viaggio con una serie anime particolarmente interessante, Mawaru-Penguindrum. Nonostante la vena scanzonata, evidente nel titolo ma anche nel look dei protagonisti, l’opera diretta da Kunihiko Ikuhara, è molto profonda, in quanto legata al concetto di morte. Trasversalmente, il ricordo dell’attentato del 1995 emerge malinconicamente – per motivi di trama – attraverso la quotidianità dei personaggi, con un linguaggio simbolico strettamente connesso alla metropolitana di Tokyo.
In questo caso l’atto terroristico, poiché connesso a un vero fatto reale, viene interpretato per quello che è effettivamente stato: un evento tragico che, in nome di andare contro le regole sociali, si è concluso con la morte e la sofferenza degli altri.
Un’interpretazione che ricorda quella di Murakami. Non sorprende che all’interno dell’anime ci sia un richiamo all’autore giapponese, quando Himari, uno dei protagonisti, cerca il racconto Ranocchio salva Tokyo.
Tramite Code Geass, Death Note, Terror in Resonance, Mawaru-Penguindrum, Underground, possiamo cogliere come il terrorismo sia un’entità non accettata dalla maggioranza, ma nata in nicchie delle società incapaci di inserirsi in un sistema precostituito. Proprio come il vero terrorismo in Giappone, che ha portato a massacri e ad attacchi come risposta al capitalismo omologante e ingiusto, dove sopravvive soltanto una società fortemente convenzionale.