La convivenza obbligata può portare in superficie le nostre idiosincrasie, e nella fantascienza i vicini possono essere ancora più difficili da sopportare
ma il tuo prossimo è un principio che ci insegnano fin da piccoli e che ci sforziamo di seguire, eppure sembra che la capacità di amare e comprendere gli altri sia inversamente proporzionale alla loro vicinanza fisica. Da sempre infatti i vicini di casa, gli inquilini dell’appartamento di fronte o quelli con cui dividiamo le stanze sono le persone più difficili da conoscere e apprezzare. E come sempre, laddove c’è una particolare dinamica sociale da indagare, la narrativa speculativa si inserisce portando agli estremi i termini della questione: ecco alcune interpretazioni dei vicini nella fantascienza.
La ragazza dell’universo accanto
La prima domanda quando pensiamo ai vicini in termini di fantascienza è: sì ma quanto vicini? Perché chiaramente si può pensare a estendere il concetto di vicinato ad altri pianeti, galassie o addirittura universi. Si possono infatti pensare a decine di storie in cui i personaggi, che siano un paio di protagonisti o il mondo intero, sono obbligati a convivere con esseri (umani o no) provenienti da mondi o dimensioni diverse. Quello della convivenza forzata è un trope che ricorre spesso nella narrativa, ma che nella fantascienza può raggiungere un altro livello visto che i vicini possono essere tutt’altro che simili a noi.
Nell’ambito delle serie televisive questa idea è stata impiegata nelle sue varianti moltissime volte: che si tratti dei doppelganger di un universo adiacente come nel caso di Fringe o Rick & Morty, oppure di alieni sotto mentite spoglie come Una famiglia del terzo tipo o Alien Nation. Le sitcom in particolare sembrano gradire l’idea dei vicini o dei coinquilini filtrati dalla fantascienza, perché oltre a quelle già citate possiamo trovare delle serie classiche come ALF o Mork & Mindy, ma anche prodotti più recenti come The Neighbors (in italiano Vicini del terzo tipo, non facilissimo da distinguere dall’esempio precedente) o Solar Opposites. In questi casi la dinamica della sitcom trae vantaggio dalle innumerevoli occasioni di equivoci che si vengono a creare quando due creature biologicamente e intellettualmente diverse si trovano a condividere lo stesso spazio.
Ma naturalmente questo tipo di relazione può essere trasposta anche in modo più drammatico che comico. Nella fantascienza i vicini di casa sono un’altra lente attraverso cui osservare il “diverso” che può essere qualcosa di poco o per niente umano. Molto spesso infatti queste storie di convivenza si intrecciano anche con quelle di migrazione, in cui profughi spaziali si rifugiano sulla Terra (o viceversa) ed è necessario trovare il modo di convivere pacificamente, come avviene per esempio in District 9. Ma in altri casi il pianeta accanto può essere anche una vera e propria incarnazione di ideali opposti, come succede per esempio ne I reietti dell’altro pianeta di Ursula Le Guin, in cui i due pianeti vicini si basano su sistemi economici e filosofici incompatibili. Il messaggio di fondo di questo tipo di storie, in genere, rimane sempre lo stesso: conoscere l’altro e accettare il diverso sono atteggiamenti che definiscono l’idea stessa di “umanità”.
The word for world is high-rise
Non sempre però questa convivenza conduce a lezioni edificanti. Ci sono casi in cui la fantascienza ci ha mostrato rapporti coi vicini piuttosto burrascosi. Curiosamente, sembra che il livello di coabitazione che genera i conflitti maggiori sia quello dei condomini. Il primo esempio che viene in mente è proprio Il Condominio (originale: High-Rise) di James Ballard, in cui 2000 persone vivono in un complesso residenziale all’avanguardia e completamente autosufficiente, un microcosmo indipendente dal mondo esterno. Il condominio è una sorta di rappresentazione in scala della società, con la stessa suddivisione in classi e animosità sociali sopite, che si risvegliano però quando una serie di blackout e malfunzionamenti scatenano il rancore reciproco degli abitanti, che impossibiliati a uscire abbandonano convenzioni e regole sociali, sfogandosi nei più biechi atti di violenza.
Un altro esempio di questa concezione asfissiante del condominio è Monade 116 di Robert Silverberg: in questo romanzo tutta la popolazione vive in “monadi urbane”, gigantesche arcologie di oltre mille piani completamente autosufficienti e isolate. Le monadi funzionano così bene che non c’è più bisogno di nazioni o leggi, dato che tutto viene affidato ai regolamenti interni dei palazzi, e la popolazione è in continuo aumento, così da poter occupare tutto lo spazio disponibile. Nonostante la vita nelle monadi sia opulenta e dissoluta, sembra però che molti abitanti soffrano in realtà la mancanza di privacy e di stimoli a fare qualcosa che non sia riprodursi e riempire lo spazio della monade. Quindi anche in questo caso Silverberg propone l’idea che la coabitazione in questi microcosmi privi le persone di qualcosa di fondamentale per il loro benessere e la loro completezza, anche se in apparenza non sembrano mancare di nulla.
Si può immaginare che questi autori di fantascienza abbiano pensato ai rapporti coi vicini di pianerottolo come un’allegoria dei ruoli forzati a cui ci costringe la società, e per questo gli esperimenti di “micromondi” si rivelano disastrosi. Una dinamica simile si ritrova spesso anche nelle storie che parlano di astronavi generazionali, che sono a loro volta una riduzione in scala di un’intera società, con l’ulteriore complicazione di doversi perpetrare per secoli e secoli di viaggio interstellare. Di solito anche queste navi-condominio finiscono in qualche forma di tragedia, spesso dimenticando le proprie origini e il loro scopo, come succede in Universo di Robert Heinlein o anche in Wall-E.
Guida postapocalittica al buon vicinato
Tuttavia non tutti i vicini nella fantascienza sono strani o pericolosi. Ci sono anche dei momenti in cui il senso di comunità creato dalla semplice coabitazione o prossimità si rivela in tutto il suo potenziale terapeutico, come un modo per riappropriarsi di rapporti che la società moderna è andata via via a demolire, frammentando progressivamente le unità di aggregazione fino a portare ognuno a considerasi un elemento solitario in contrapposizione agli altri. Questo individualismo patologico è in fondo alla base dei disastri che si compiono anche nei condomini di Ballard e Silverberg, ed è forse il momento di pensare a scardinarlo.
Con questo obiettivo è stata pensata l’antologia Oltre la soglia, che raccoglie storie di autori e autrici italiane sul tema del “buon vicinato”. Curata da Giulia Abbate, la raccolta riunisce racconti che interpretano in modi differenti i rapporti e i confini tra vicini di casa attraverso la fantascienza ma non solo, visto che ci troviamo anche il retelling di una fiaba e un paio di storie di resistenza urbana contemporanea. È interessante notare però come nella maggior parte di questi racconti prendano le mosse da un’imminente o appena trascorsa apocalisse, uno sconvolgimento profondo del sistema che può derivare dalla crisi climatica o anche solo economica, e che porta così a dover ripensare i paradigmi su cui si è basata la società degli ultimi secoli.
Quando il sistema basato sull’individualismo fallisce, ecco che c’è bisogno di tornare a stabilire relazioni più immediate e durature, e ci si trova così a dover attivamente costruire una comunità laddove non pensavamo che fosse possibile. Si tratta in fondo del concetto proposto da Donna Haraway nel suo Making Kin, l’intreccio di “parentele volontarie” di cui abbiamo davvero bisogno per costuire una società basata sull’empatia. È così che la fantascienza ci può mostrare come i nostri vicini, quelli che evitiamo di salutare abbassando lo sguardo o aspettando a scendere le scale finché non hanno liberato il pianerottolo, forse sono sempre stati le persone di cui avevamo davvero bisogno per sentirci al sicuro.