Il Giappone e i suoi colori permeati di tradizione
Non si può fare a meno di notare come il Giappone sia un Paese coloratissimo e ricco di simboli, forme, loghi, personaggi caratteristici. Tutto è in perfetta armonia. D’altronde tale armonia, specialmente quella cromatica, è oggetto di interesse e studio non solo nel campo artistico ma anche della moda, del lifestyle e della vita in generale e nemmeno il Giappone può esimersi dal mantenere una profonda coerenza con i colori e le tinte che caratterizzano i suoi paesaggi, i suoi cibi e perfino i piccoli oggetti quotidiani.
Dal momento in cui sono stati scoperti, i colori in Giappone hanno sempre portato con sé significati che un occhio attento alle tradizioni avrebbe sempre saputo cogliere, sia che stesse osservando uno splendido paravento o un rotolo kakemono, sia che stesse scegliendo il kimono da indossare per una determinata occasione. I colori, secondo gli studi geomantici diffusisi già in epoca Nara e Heian, venivano anche associati a periodi dell’anno, punti cardinali e numerosi contesti per cui erano più appropriati. Tuttavia, forse perché originariamente il Giappone disponeva di quattro colori base, questi hanno assorbito profondamente i significati loro attributi e ancora oggi riscontrabili ovunque vengano utilizzati, compreso l’ambiente della cultura pop con anime, manga e videogame.
Rosso (aka 赤) e bianco (shiro 白)
Perché questi due colori insieme? Innanzitutto, sono i colori della bandiera del Giappone, a sfondo bianco con un enorme cerchio rosso al centro a rappresentare il sole. Dopotutto, l’Impero giapponese ha origini divine e per secoli si è creduto che l’Imperatore discendesse dalla dea sole Amaterasu. Il rosso, perciò, è anche un colore collegato direttamente alle divinità, infatti è caratteristico degli imponenti torii, i portali dei santuari shinto, ma anche di luoghi di culto buddhisti come il Senso-Ji di Asakusa.
L’accoppiata col bianco, colore che indica purezza e sacralità a sua volta, è indossata da sacerdoti e miko (sacerdotesse shintoiste) e visto questo profondo legame col culto autoctono, lo Shinto, e quello nazionale, il Buddhismo, è naturale l’unione di questi due colori.
Blu (ao 青)
Questo, in Giappone, è uno dei colori più particolari per via del suo utilizzo. Indicativamente, nell’antichità il termine ao indicava una gamma di colori freddi che andavano dal blu al verde ma anche semplicemente il concetto di “scuro ma non nero”. Tante parole di oggi dimostrano la sussistenza di questo uso etimologico: la città di Aomori 青森, ad esempio, si scrive coi kanji di blu e foresta ma naturalmente si voleva indicare il verde della vegetazione, così come coi termini aoba 青葉 e aoki 青木, rispettivamente fogliame e alberi verdi; mentre con aozora 青空 ci si riferisce al cielo blu, sereno; ancora, viene usato per riferirsi anche a qualcosa di immaturo o acerbo, come nella parola seinen 青年, giovane adulto.
Solo dopo la Seconda guerra mondiale, si è fatta una distinzione maggiore, aggiungendo midori 緑 come termine per indicare il verde, quello della natura e delle piante ma anche per riferirsi a cose giovani e fresche. Ora entrambi i colori hanno assunto i loro significati e utilizzi specifici: il blu è considerato un colore discreto e neutro, poiché una volta era indossato dai popolani, mentre la nobiltà ostentava colori più sgargianti; il verde invece rimanda alla serenità e alla pace interiore, non per niente lo troviamo intensissimo nella forma di pregiato tè matcha, usato nella cerimonia tradizionale del tè cha no yu, oppure associato a concetti come lo shinrin yoku, il bagno nella foresta attraverso cui purificare lo spirito.
Ulteriore piccola curiosità sul colore blu: oltre a trovarlo al posto del verde sui semafori, è anche il colore della maglia della nazionale giapponese. I giocatori vengono chiamati Samurai Blu e pare che sia stato mantenuto questo colore in quanto, indossandolo, la squadra dell’università di Tokyo, che rappresentava il Paese al Far East Championship nel 1930, vinse la prima partita del campionato. Così nel tempo è stata mantenuta la maglia blu, in pieno stile scaramantico nipponico.
Nero (kuro 黒)
Il nero è l’ultimo colore facente parte da sempre della tradizione di colori in Giappone. Apparteneva soprattutto alla classe samuraica ma veniva usato anche dalle donne: la pratica dello haguro, ovvero tingere i denti di nero, era molto diffusa come segno di bellezza e raffinatezza già dal periodo Heian.
Oggi il nero è indossato nei matrimoni tradizionali dallo sposo oppure dai maschietti in occasione del kodomo no hi, il giorno dei bambini. In queste occasioni assume, perciò, anche il significato di maturità ed esperienza, così come avviene, per esempio, nelle arti marziali con la cintura nera.
Tuttavia, anche in Giappone i colori funerari non differiscono troppo dai nostri: il nero viene associato quindi anche alla morte e insieme al bianco viene usato nelle cerimonie funebri.
I colori nella cultura pop in Giappone
I nomi di alcuni colori, come il rosa pinku ピンク (di palese derivazione inglese) o il giallo kiiro 黄色, sono più recenti, mentre altri esistevano già in passato, come il viola murasaki 紫 che veniva indossato soprattutto da alti funzionari e nobiltà, poiché si trattava di un colore molto difficile da ottenere.
Oggi sono tutti diffusi in egual modo e la percezione in Giappone delle sfumature e dello spettro di colori si è uniformata a quella del mondo occidentale, fino a influenzare il mondo di anime e manga e in particolare l’estetica dei personaggi e il loro design.
Siamo tutti consapevoli del fatto che non esistano persone con capelli verdi, blu, bianchi o rosa naturali ma negli anime spesso questi sono parte del linguaggio visivo del media e indice di un certo tipo di personalità; lo stesso vale per il taglio e le eventuali caratteristiche speciali, come accessori, ciuffi particolari e acconciature. I tipici capelli neri di solito sono propri di personaggi tranquilli, talvolta misteriosi, silenziosi o timidi, mentre un personaggio biondo, oltre ad esser considerato spesso un teppista, ha una personalità di solito molto estroversa ed esagerata; colori più vivaci come il rosso possono indicare una “testa calda”, al contrario del blu associato a personaggi più miti e a talvolta dotati di intelligenza superiore alla media.
Altri colori insoliti rivelano ulteriori tratti caratteristici ma talvolta, in realtà, sono il risultato di una elaborazione puramente estetica, dovuta alla trasposizione animata dal manga, in cui è impossibile per il mangaka esprimere differenze così nette. Tant’è che di norma i personaggi non fanno minimamente caso a questo aspetto: un esempio è il caso di Ranma ½, in cui Ranma stesso anche da femmina avrebbe i capelli neri (poi nelle illustrazioni, l’autrice si è divertita a colorarli di varie tinte, per poi soffermarsi di più sul rosso); oppure Utena Tenjo dal biondo originale è passata a una chioma rosa; nel caso degli anime majokko, poi, spesso gli alter ego delle protagoniste assumono sfumature del colore originale, come in Tokyo Mew Mew.
Ovviamente, i colori e i loro significati hanno influenzato anche altri aspetti della narrazione anime, come luci, ombre, palette e simbologie che approfondiscono e donano completezza a un’intera scena o inquadratura, quando ad esempio la camera si focalizza su elementi naturali e oggetti dell’ambiente circostante. Prestateci più attenzione d’ora in poi, perché nelle produzioni del Giappone, pop o tradizionali, tutto, compresi i colori, ha un senso e un significato non casuale!