Ars Scribendi – Seconda puntata
Costruire un personaggio
Una storia è fatta sostanzialmente di due elementi: da una parte una o più situazioni che evolvono nel tempo, dall’altra una serie di personaggi che interagiscono fra di loro all’interno di queste situazioni. Una delle maggiori sfide per uno scrittore è costruire personaggi che siano credibili e coerenti all’interno del contesto nel quale saranno poi immersi. Il motivo è semplice: chi scrive ha un suo carattere, un proprio modo di pensare, dei principi e dei valori che lo caratterizzano, insomma una personalità. Il rischio maggiore è appunto quello di trasferire parte della propria personalità nei vari personaggi, trasformandoli in una sorta di avatar di se stessi. Questo può andar bene, al limite, per un singolo personaggio, ma ovviamente non si può scrivere un romanzo in cui quasi tutti siano cloni parziali dello scrittore.
Il problema è che non è semplice creare qualcuno che sia molto differente da ciò che siamo. Ad esempio, io sono un uomo, sono etero, ho una certa età e sono nato e vivo in Italia. Come faccio a disegnare una ragazza di vent’anni bisessuale che è nata in Francia da padre russo e madre belga e che vive a Londra da quando aveva quattordici anni? Certo, posso disegnare l’involucro, l’apparenza, dato che conosco molte ragazze di quell’età così come ho incontrato donne di varie nazionalità nella mia vita e con vari orientamenti sessuali. Tuttavia, non appena il mio personaggio si troverà in una complessa situazione sentimentale o all’interno di un ambiente ostile che non conosce, come reagirà veramente? A questo punto qualcuno potrebbe dire: tu sei lo scrittore e puoi farla comportare come vuoi, quindi perché preoccuparsene? Il problema è che una volta determinate alcune caratteristiche del personaggio, questo poi dovrà in qualche modo comportarsi coerentemente con ciò che è. Senza contare il fatto che se il lettore dovesse essere più affine, come carattere, al personaggio che ho appena creato, vi si dovrà pure poter riconoscere. Come faccio quindi a sapere cosa sia coerente per quel personaggio, dato che penso, ragiono e provo sentimenti diversi e quindi, probabilmente, in quelle stesse situazioni, mi comporterei in maniera differente? Senza contare che non è facile per chi ragiona in un certo modo, far pensare e parlare qualcuno che pensa in modo completamente differente, secondo un’etica che può essere antitetica alla propria. Come faccio a evitare che il mio giudizio su quell’etica possa in qualche modo trasparire attraverso i dialoghi, rendendo così il personaggio una contraddizione in termini?
Un attore è in grado di vestire i panni di qualcuno che è molto diverso da se stesso. Ci vuole spesso un lungo lavoro di analisi, sia sul piano razionale che su quello emotivo, per farlo, ma è possibile. Basti pensare a grandi attori come Dustin Hoffman in Rain Man o Tom Hanks in Forrest Gump. Uno scrittore, tuttavia, non deve entrare solo nei panni di un singolo personaggio, ma in quelli di TUTTI i propri personaggi; se per quelli secondari l’involucro, ovvero l’apparenza, il comportamento, possono bastare, per quelli principali è necessario andare molto più a fondo.
Per riuscirci ci sono due tecniche, una “interna” e una “esterna”. Incominciamo da quella esterna, che è la più semplice. Si inizia a costruire il personaggio facendolo nascere, letteralmente, ovvero iniziando a raccontare quando è nato, da chi, dove, cosa gli è successo da piccolo e così via, seguendolo in tutta la sua crescita fino a quando non abbia l’età che ci serve per la storia che vogliamo raccontare. Ovviamente non è necessario scrivere una dettagliata biografia di ogni personaggio principale, cosa che richiederebbe un volume per ognuno, ma è importante riportare una serie di elementi chiave che in qualche modo serviranno a plasmare il carattere del personaggio stesso. In pratica, se il personaggio è stato tradito in maniera crudele da una persona che amava, probabilmente, in una situazione analoga mostrerà prudenza se non addirittura chiusura. Lo scrittore non dovrà porsi la domanda “e adesso cosa gli faccio fare o gli faccio dire?”, perché il personaggio stesso saprà già cosa fare o dire. Lo scrittore dovrà solo raccontarlo.
Come scrivere quindi questa breve biografia? Innanzi tutto bisogna identificare una serie di eventi chiave nella vita di quel personaggio. Pensate al personaggio di Batman nel film del 2005 “Batman Begins”, diretto da Christopher Nolan. Ci sono due eventi nella sua vita che lo segnano in qualche modo: quando il giovane Bruce Wayne cade in un pozzo e viene attaccato da uno stormo di pipistrelli e quello, ovviamente, dell’assassinio dei suoi genitori. Il primo evento che quasi sempre va definito, tuttavia, è la nascita: chi sono i genitori, in quale ambiente nasce il personaggio, i primi anni dell’infanzia e soprattutto le prime relazioni, sia con i genitori e i parenti, che con gli amici, i compagni di scuola, o simili. I primi anni della nostra vita sono quelli che ci plasmano, per cui è importante conoscere quelli del nostro personaggio per comprenderne il carattere.
Tenete presente che non è affatto detto che qualcosa di questi eventi venga poi effettivamente utilizzato nel romanzo che avete intenzione di scrivere. In effetti potrebbero non essere mai menzionati o trasparire appena da una frase detta o da un gesto. Il lettore potrebbe rimanere del tutto all’oscuro del perché quel personaggio in quella situazione abbia detto una certa cosa, esattamente come molto spesso non capiamo perché le persone che incontriamo dicano o facciano una certa cosa. Eppure serve, serve che lo sappia lo scrittore, perché è proprio questo che dà coerenza al personaggio. Il giorno in cui un certo evento, un ricordo, poi, dovesse diventare funzionale anche alla storia, il lettore si ritroverà a riconoscere in quell’evento il motivo di un certo comportamento o di una frase detta in qualche capitolo precedente, se non addirittura in un altro romanzo che fa da antefatto a quello che sta leggendo.
La seconda tecnica, quella interna, è più complessa e richiede, da parte dello scrittore, una profonda consapevolezza di se stessi e in qualche modo, molto coraggio. Essa parte dal presupposto che siamo fatti tutti con gli stessi ingredienti, anche se questi contribuiscono in maniera diversa a formarci. In pratica, anche nella persona più eterosessuale del mondo esistono brandelli di omosessualità, nei maschi femminilità, nelle donne mascolinità, nelle persone timide aggressività e in quelle forti paure e timori. Nella maggior parte dei casi questi elementi sono irrilevanti rispetto a quelli che determinano ciò che siamo e spesso, a volte per motivi sociali, a volte per ragioni personali, tendiamo a rimuoverli se non quantomeno ad ignorarli. In qualche caso ci spaventa riconoscere questi elementi in noi, per il timore che prendano il sopravvento su ciò che siamo, ovvero su ciò che ci dà sicurezza e stabilità; in altri casi questi elementi si scontrano con pregiudizi o principi morali che ci rendono difficile farli nostri. Comunque ci sono. La sfida è quella di andarli a cercare e di usarli per modellare il nostro personaggio senza lasciarci influenzare da essi. Riuscire, per uno scrittore etero maschio, a descrivere dall’interno, dal punto di vista del proprio personaggio, una scena omosessuale fra due uomini, richiede una grande consapevolezza di ciò che si è e una buona professionalità e mestiere.
Naturalmente si può complementare tutto ciò sfruttando degli “esperti”, dei consulenti, ovvero persone che siano effettivamente simili al nostro personaggio e che ci possano aiutare a dare più coerenza alla scena che vogliamo raccontare, ma mentre si può anche pensare di avere un amico gay disposto a entrare nei dettagli di un amplesso omosessuale, è alquanto problematico pensare di poter fare lo stesso nel caso il nostro personaggio sia uno psicopatico o peggio ancora un serial killer. Anche in questo caso, raccontare l’involucro, non basta: se non si riesce a entrare nella testa dei personaggi, a provare le loro emozioni, a vedere attraverso i loro occhi, ben difficilmente si potrà sviluppare qualcosa di credibile e uscire dai cliché.
Certo, è probabile che una buona parte dei lettori, magari essendo più vicini come carattere allo scrittore che al personaggio, possano anche non rendersi conto di quanto finta sia quella descrizione, ma ci sarà sempre chi lo capirà, o perché ha le stesse caratteristiche del personaggio, o perché conosce persone del genere. Certo, questo non vuol dire che uno scrittore di gialli debba preoccuparsi che uno psicopatico, leggendo le sue opere, le trovi poco realistiche, ma ci sono molte persone che sanno come ragioni e si comporti uno psicopatico: medici, psicologi, investigatori, assistenti sociali o semplicemente conoscenti, parenti e magari vittime di persone di quel tipo. Quando si scrive, si sa cosa si sta scrivendo ma non si sa chi lo leggerà. Un buono scrittore deve sempre cercare di essere realistico, anche se il personaggio è di pura fantasia e magari la storia ambientata in un mondo fantastico. Il realismo non è qualcosa che attiene solo al romanzo ambientato in un periodo storico e in un luogo reali, magari ispirato a una storia vera. Si può e si deve essere realistici anche in un romanzo di fantasy, horror o fantascienza.
E l’aspetto? Ho parlato di come si costruisce un personaggio ma non ho detto nulla di come appaia, di come si vesta o di come si muova. In realtà tutto ciò viene dopo. È proprio mentre si racconta la storia della vita del personaggio che questo prende forma anche da un punto di vista estetico. Certo, esistono fattori genetici che fan sì che siamo alti o bassi, magri o grassi, biondi o bruni, che il seno sia abbondante o il petto piatto, i fianchi larghi o stretti. E tuttavia, molto di ciò che siamo dipende dalla nostra storia. Come mangiamo, come ci vestiamo, se facciamo o meno attività fisica. Così, mentre lo scrittore racconta la storia del suo personaggio, pian piano si forma nella sua mente un’immagine. I capelli sempre scompigliati, un certo modo di porre la testa, quel ghigno che ogni tanto gli si forma sul viso, quel modo di accavallare le gambe.
Naturalmente alcuni di questi aspetti saranno sviluppati in funzione della storia che vogliamo raccontare, ma se facciamo le cose nel modo giusto ci renderemo subito conto se alcuni elementi dovessero entrare in conflitto o in qualche modo “stonare”. Ecco allora che se mi serve che una donna sia procace, poi devo anche farla muovere e comportare in un certo modo. Ma quale? Dipende da tre fattori: l’ambiente e la cultura in cui vive e cosa si aspettano gli altri da lei, il suo carattere e come voglia porsi nei confronti degli altri, le esigenze della storia. Ci sarà la donna bella che si comporta da “vamp”, quella che viceversa vuole farsi rispettare per ciò che è e non per ciò che sembra, l’ochetta senza cervello o la stronza che ama far soffrire gli altri. Le possibilità sono tante ma questo non vuol dire che le posso scegliere senza preoccuparmi di restare coerente al personaggio. Se la donna bella è stronza, ci deve essere un motivo, magari sepolto nella sua vita precedente alla storia che sto raccontando. Ci sono molti modi di essere cattivi e quale debba essere scelto, dipende dal perché lo si è diventati. Le caratteristiche di un individuo sono come i colori: non c’è solo il verde, il rosso o il blu, ma ci sono infinite tonalità di ognuno, più tutta una serie di tinte che neppure riusciamo a classificare in un colore o nell’altro.
Creata una storia, dato al personaggio una forma, un aspetto e un modo di muoversi, adesso lo dobbiamo far parlare, e qui le cose si complicano, perché rischiamo di far parlare tutti i personaggi allo stesso modo, ovvero come parliamo noi stessi. Creare un modo di parlare, decidere se debba essere sempre grammaticamente perfetto o debba contenere delle improprietà di linguaggio, dei modi di dire ricorsivi, usare spesso determinati termini o evitarne altri, fa parte della costruzione del personaggio e deve essere coerente con la sua storia. Se si è lavorato bene, ogni personaggio saprà cosa dire e come dirlo, senza che lo scrittore debba pensarci più di tanto.
Ovviamente tutto ciò va fatto solo per i personaggi principali. Per i figuranti non è necessario. In questo caso si può lavorare davvero con dei cliché, delle figure stereotipate facilmente riconoscibili dal lettore. Il problema sono i personaggi secondari, quelli che non sono rilevanti come i protagonisti ma che non sono neppure comparse e che potrebbero, col passare del tempo, acquistare o perdere spessore. In questo caso bisogna trovare una via di mezzo, bilanciando il tempo dedicato a definirli con quello che poi è l’effettivo utilizzo che se ne vuole fare. Non è raro che nei romanzi, nei film o nei fumetti, un personaggio secondario diventi co-protagonista, oscurando persino il protagonista stesso della storia. Quando ciò succede è perché si è fatto un buon lavoro, ovvero, si è costruito talmente bene un personaggio che questi ha acquistato vita propria, emancipandosi dalla penna dello scrittore, per vivere in autonomia la storia che si è deciso di raccontare.
Vedere il proprio personaggio prendere vita, è una delle soddisfazioni maggiori di uno scrittore e uno dei tanti motivi per i quali scrivere è una cosa meravigliosa.
A cura di Dario De Judicibus