Ars Scribendi – Quattordicesima puntata
Il romanzo storico
Fino a questo momento abbiamo parlato di romanzi fantastici o comunque di fantasia, dove la fase di ricerca è importante ma non determinante, e dove comunque la creatività gioca un ruolo importante ai fini della storia. Adesso parliamo di un genere in cui la situazione risulta essere capovolta, ovvero dove la creatività ha ancora una sua valenza ma diventa fondamentale l’attività di ricerca. Parliamo del “romanzo storico”.
Un romanzo storico ha di fatto gran parte della trama già definita, dato che racconta di fatti realmente accaduti. Anche i personaggi spesso sono noti, almeno quelli principali. Quanto lo siano, poi, dipende dall’epoca e dalla documentazione che ci è arrivata.
Se parliamo di Romolo, di lui sappiamo ben poco, quindi un autore che lo volesse utilizzare come protagonista dovrebbe comunque costruire il personaggio più o meno come si fa in un romanzo di fantasia. Esistono tuttavia dei paletti da considerare anche in questo caso: Romolo era un uomo della sua epoca e probabilmente ragionava e si comportava coerentemente con il contesto culturale in cui era immerso; quindi, qualunque fossero le sue caratteristiche, un personaggio di questo tipo dovrebbe sempre essere costruito avendo una buona conoscenza della cultura dell’epoca in quel determinato territorio. Chi erano quelle popolazioni? Come ragionavano? Su quali valori basavano le loro scelte?
Già di un Giulio Cesare sappiamo molto di più, così come di un Carlo Magno, di un Napoleone, di un Churchill. Man mano che ci spostiamo in avanti nel tempo abbiamo sempre più informazioni, sia sui personaggi che sugli avvenimenti. D’altra parte, man mano che ci avviciniamo ai tempi moderni, fattori umani e sociali possono intervenire a distorcere gli eventi, ad esempio, per ragioni politiche.
Se parliamo di un Hitler o di uno Stalin, vediamo in loro solo i dittatori crudeli e senza pietà che hanno causato milioni di morti, ma come erano visti Napoleone o Giulio Cesare dalle popolazioni che erano state invase dalle loro truppe? Avrebbero parlato di generali geniali o di crudeli condottieri?
Comprendere come non esista una sola Storia, ma che ogni evento possa essere visto da molte prospettive, è fondamentale per uno romanziere storico. Esistono molte verità, alcune anche apparentemente in contrasto, e tutte egualmente vere. Come è possibile?
Qual è la forma di un cilindro? Se qualcuno lo osservasse dalla base e non potesse spostarsi, direbbe che è circolare. Se invece lo osservasse parallelamente all’asse e, anche qui, non potesse spostarsi, sarebbe certo si trattasse di un rettangolo. Finché uno dei due osservatori non si sposterà, le due verità saranno in contrasto, ma come uno dei due si muove, sarà facile che si renda conto che era solo una questione di prospettive.
Nello spazio ci possiamo spostare, nel tempo solo in avanti e, comunque, chi è testimone di un evento storico, raramente potrà dire di averlo osservato sotto tutti i punti di vista.
Facciamo un esempio volutamente provocatorio. Prendiamo un dittatore sul quale ci sono pochi dubbi in termini di giudizio storico: Hitler. Se dovessimo scrivere un romanzo su Hitler, magari partendo dalla giovinezza fino ad arrivare a poco prima che prenda il potere in Germania, presentarlo come un pazzo, un assassino, uno psicopatico, non creerebbe sicuramente polemiche ma sarebbe probabilmente poco verosimile.
Hitler era un uomo e come tale aveva tutti i sentimenti tipici di un uomo. Probabilmente ha avuto momenti di gentilezza, forse ha persino amato, anzi, sicuramente ha amato, ma questo non toglie che fosse chi poi si è rivelato essere durante la seconda guerra mondiale. Eppure un romanzo deve saper presentare un personaggio in tutta la sua complessità e persino in modo contraddittorio e sorprendente, perché gli esseri umani sono fatti così.
Detto questo, sorge un problema. Anche dei personaggi storici più noti sappiamo molte cose del periodo in cui erano già diventati famosi, ma che cosa sappiamo davvero di come erano prima, di cosa sia successo loro in precedenza? Di molti non sappiamo quasi nulla della giovinezza, periodo fondamentale nella formazione di un carattere; di altri sappiamo poco comunque della loro vita privata anche dopo che erano diventati famosi.
E qui entra in gioco la creatività: la differenza fra un saggio storico e un romanzo storico è che il saggio si ferma a ciò che è noto, il romanzo va oltre. Esiste quindi la “costruzione del personaggio” anche in un romanzo storico; non parte da zero come in quelli di narrativa fantastica ma serve a completare quanto è arrivato fino a noi.
Ma è davvero utile tutto ciò? Perché non limitarsi a quello che si sa?
Perché il protagonista del nostro romanzo, quando parla, quando agisce, quando reagisce agli eventi, lo fa anche in funzione di ciò che è stato, e spesso molti comportamenti vanno letti in questa chiave; quindi il romanziere deve diventare un po’ un esperto di “ingegneria inversa”, ovvero partire dai fatti per ricostruire un’ipotesi ragionevole e verosimile per quanto riguarda la giovinezza, la crescita e l’evoluzione personale e psicologica del protagonista.
Il discorso diventa ancora più complesso per i personaggi secondari. Di loro a volte sappiamo pochissimo. Informazioni che ci arrivano da alcune lettere, da racconti riportati da terzi, non si sa bene quanto precisi; eppure si tratta di personaggi che spesso hanno un ruolo fondamentale nei confronti del protagonista, e che quindi vanno ben caratterizzati: un coniuge, i genitori, un fratello, un amico, un tutore. La costruzione dei personaggi secondari richiede spesso molto più impegno di quella del personaggio principale perché in un romanzo storico la precisione è fondamentale. In tutti gli altri generi basta che il personaggio secondario sia verosimile, mentre qui deve corrispondere il più possibile alla realtà, anche perché possono esserci dei discendenti che potrebbero risentirsi per una presentazione non corrispondente alla verità sul loro antenato. Ricordatevi che, sebbene i romanzi storici siano ambientati nel passato, stiamo parlando di persone vere: alcune questioni attraversano intatte le generazioni, per cui bisogna fare molta attenzione.
Perché il protagonista del nostro romanzo, quando parla, quando agisce, quando reagisce agli eventi, lo fa anche in funzione di ciò che è stato, e spesso molti comportamenti vanno letti in questa chiave; quindi il romanziere deve diventare un po’ un esperto di “ingegneria inversa”, ovvero partire dai fatti per ricostruire un’ipotesi ragionevole e verosimile per quanto riguarda la giovinezza, la crescita e l’evoluzione personale e psicologica del protagonista.
Infine ci sono le “comparse”: il macellaio, la sarta, il poliziotto di quartiere, il centurione, la prostituta, il marinaio, il vetturino. Qui si può tornare a lavorare come nel caso dei romanzi di letteratura fantastica ma sempre con un occhio al contesto. L’epoca, il territorio, l’etnia di appartenenza, vanno studiate molto bene prima di approcciare questo genere letterario. Non per nulla, molti scrittori di questo genere di romanzi sono anche storici e quindi conoscono bene i periodi di cui parlano.
E veniamo all’ambientazione. Dimenticatevi quello che avete studiato a scuola: se volete parlare di una certa epoca, leggetevi i saggi di storici esperti del periodo, e non uno o due, ma almeno una decina. Ad esempio, pensate che all’epoca dei Romani si parlasse latino, il latino che avete studiato a scuola e magari tradotto? Quella era la lingua delle persone colte, e neppure di quelle, a volte. In ogni territorio si parlava una propria lingua, infatti. All’inizio, quando i romani si erano da poco espansi in tutta la penisola, si parlavano le cosiddette le lingue italiche come l’etrusco o l’osco, ma anche in seguito, quando il latino è diventato la lingua franca di tutto l’impero, si parlava un misto di latino e idiomi locali, alcuni molto diversi dalla lingua di Cicerone. Pian piano, nei vari territori si cominciò a parlare una famiglia di lingue legate a quella latina, il cosiddetto “latino volgare”.
Molte di queste lingue hanno poi dato origine alle lingue romanze antiche, come la lingua d’oil, l’occitano, il catalano, l’antico galiziano, il corso, ma anche il friulano, il veneto, il lombardo, il toscano, il siciliano e il sardo, ovvero quelli che noi impropriamente chiamiamo “dialetti italiani” e che hanno avuto origine non dall’italiano moderno ma appunto dalle varianti locali del latino volgare. È l’italiano che semmai deriva dal toscano.
E veniamo all’ambientazione. Dimenticatevi quello che avete studiato a scuola: se volete parlare di una certa epoca, leggetevi i saggi di storici esperti del periodo, e non uno o due, ma almeno una decina. Ad esempio, pensate che all’epoca dei Romani si parlasse latino, il latino che avete studiato a scuola e magari tradotto? Quella era la lingua delle persone colte, e neppure di quelle, a volte. In ogni territorio si parlava una propria lingua, infatti. All’inizio, quando i romani si erano da poco espansi in tutta la penisola, si parlavano le cosiddette le lingue italiche come l’etrusco o l’osco, ma anche in seguito, quando il latino è diventato la lingua franca di tutto l’impero, si parlava un misto di latino e idiomi locali, alcuni molto diversi dalla lingua di Cicerone. Pian piano, nei vari territori si cominciò a parlare una famiglia di lingue legate a quella latina, il cosiddetto “latino volgare”.
Questo è solo un esempio, ma rimarreste sorpresi dallo scoprire di come molte delle cose che vi hanno insegnato al liceo nell’ora di Storia fossero delle semplificazioni se non addirittura fuorvianti o legate a una visione ormai obsoleta dei tempi passati, spesso in qualche modo idealizzata.
Quindi studiate, studiate finché non vi sembrerà quasi di vedere quelle persone muoversi, parlare, vivere e morire. Solo allora sarete pronti per scrivere. Anzi, no. Perché una volta studiato il contesto vanno studiati i personaggi, i fatti storici e gli eventi specifici di cui tratterà il vostro romanzo.
E qui entriamo nella parte creativa della trama.
Ci sono molti modi di sviluppare un romanzo storico. Uno dei più tradizionali è quello biografico. Che la biografia sia stata scritta dal personaggio stesso o da un narratore, un romanzo del genere è incentrato sulla vita del protagonista. Tutti gli altri eventi sono al contorno. Varianti di questo schema sono ad esempio la storia familiare o la saga, dove i protagonisti si succedono da una generazione all’altra.
Un secondo approccio è quello, invece, di mettere al centro del romanzo un evento. Una battaglia, una rivoluzione, una lotta per l’emancipazione. Qui le vite dei vari personaggi fanno da contorno all’evento stesso. Un racconto del genere può essere raccontato in terza persona o visto attraverso gli occhi di uno dei protagonisti. Anche in questo caso ci sono molte varianti, che vanno dal singolo evento di un giorno a una successione di avvenimenti che si sono sviluppati nel corso dei decenni o dei secoli, come la costruzione di una cattedrale.
E veniamo ora al protagonista. Molto spesso si scelgono celebrità: Leonardo da Vinci, Cristoforo Colombo, i Tudor, Ekaterina II Alekseevna di Russia, John Kennedy, e via dicendo. Che sia un singolo individuo, una coppia, una famiglia o una dinastia, si punta sul nome famoso. Questo sia perché è molto più semplice trovare le informazioni che servono rispetto a personaggi secondari, sia perché attira di più il lettore. Un’alternativa, tuttavia, è quella di avere due protagonisti: uno diretto e uno indiretto. Quello indiretto è la celebrità, che viene tuttavia vista attraverso gli occhi del vero protagonista che, invece, è quasi completamente sconosciuto se non addirittura un personaggio verosimile ma del tutto inventato: il sarto del Re, la governante del Presidente, in giardiniere dell’Imperatore. Spesso sono la “media” di più personaggi realmente esistiti, una sorta di assemblati che nella realtà corrispondono a più personaggi reali. Altre volte sono personaggi storici minori, come nel film “The Butler”, ovvero Eugene Allen, che è stato maggiordomo della Casa Bianca per più di trent’anni (nel film rinominato Cecil Gaines).
Una scelta del genere può essere dettata da varie esigenze, ad esempio, si vuole dare popolarità a un personaggio secondario che si ritiene la Storia abbia dimenticato. C’è spesso tuttavia una ragione più pratica: è più facile. O meglio, usare come protagonista un personaggio storico secondario se non inventato ci riporta sui canoni della narrativa fantastica e ci permette, entro certi limiti, di avere una maggiore libertà narrativa anche in un contesto storicamente ben definito.
Un discorso simile può essere fatto quando ad essere protagonista della storia è un evento. Ci sono battaglie, come quella di Dunkerque, di cui sappiamo praticamente tutto, quindi raccontarla è abbastanza facile: si tratta solo di sovrapporre alla storia principale una o più trame relative a specifici individui, che siano davvero esistiti o meno. Ce ne sono altre, come quella fra Lagertha e Ivar nella serie TV canadese Vikings, completamente inventata, come d’altra parte i personaggi, seppure basati su personaggi storici realmente esistiti.
Anche se il romanzo che state scrivendo si dovesse basare su eventi e personaggi inventati, questo non vuol dire che avete la stessa libertà d’azione che avete, ad esempio, in un romanzo fantasy. Tutto ciò che scrivete deve essere storicamente corretto. Se ad esempio vi inventate un re o un faraone, dovete essere sicuri di posizionarlo in un periodo storico del quale non si sappia se quel re o faraone sia realmente esistito. Non potete “sovrapporlo” a un personaggio storico consolidato. Se al posto di Luigi XIV metteste nel 1690 un Enrico IV non andrebbe bene, perché il posto “è già occupato”. Tuttavia se vi inventaste nel 1700 a.C. un faraone Amenemhat V, non ci sarebbero problemi, perché si sa pochissimo della XIII e XIV dinastia del Medio Regno, e nessun faraone noto assunse quel nome, per cui non ci sarebbero problemi. A parte ovviamente il fatto che i faraoni all’epoca avevano molti nomi e comunque non usavano il numerale dopo il nome come invece si fece in Europa nei periodi storici successivi alla caduta dell’Impero Romano.
Detto questo, passiamo alla trama. Qui il discorso cambia completamente. Sebbene resti la raccomandazione di documentarsi bene su quello che si sta scrivendo, la trama può essere davvero qualunque, come per qualsiasi altro romanzo.
In pratica, se stiamo raccontando fatti davvero avvenuti, comunque dovremo intrecciarli con una trama inventata, altrimenti staremmo scrivendo un saggio, non un romanzo. Ad esempio, potremmo intrecciare la vita privata del presidente Franklin Delano Roosevelt con il racconto degli eventi che precedettero l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America nel 1941. La parte romanzata sarà quindi quella che dovrà avvincere il lettore, che potrebbe comunque già conoscere i fatti storici in questione, a meno che non si stia volutamente raccontando avvenimenti storici poco noti sui quali si vuole attirare l’attenzione. Un esempio di questo tipo sono le marocchinate raccontate nel film “La Ciociara”.
Diverso è il discorso se stiamo parlando di fatti molto antichi, di cui si sa poco. Qui si può lavorare di fantasia anche nella parte che riguarda gli avvenimenti storici. Pensate ai romanzi di Mika Toimi Waltari come “Sinuhe l’egiziano” o “Turms l’etrusco”.
Più andiamo indietro nel tempo, più il romanzo storico sfuma nella narrativa fantastica, come ad esempio i romanzi di Jean M. Auel, pubblicati in Italia come la “Saga dei Figli della Terra”. A quel punto considerare il romanzo storico o fantastico dipende principalmente da quanto accurato sia stato l’autore nel costruire personaggi e ambientazione da un punto di vista storico. La Auel, ad esempio, non solo ha studiato a lungo l’Era Glaciale e la paleoantropologia, ma ha anche sperimentato sulla propria pelle situazioni tipiche della vita preistorica, per comprendere meglio i propri personaggi.
E qui veniamo al secondo aspetto non letterario dello scrivere un romanzo storico, dopo la ricerca bibliografica: la sperimentazione. Ad esempio, io ho migliorato di molto la mia capacità di descrivere un duello da quando ho iniziato a praticare scherma storica. Se mi fossi limitato a leggere i trattati, non sarebbe probabilmente bastato.
Fare dei sopralluoghi nei posti dove pensate di ambientare il romanzo o il più simile possibile a quelli che descriverete è fondamentale. Osservate, ascoltate, restate sul posto la mattina presto o la sera, al tramonto; andateci d’inverno, quando piove o d’estate, con il sole. Provate a salire le stradine di un villaggio medioevale, entrate nella fucina di un fabbro per annusare gli odori. Toccate il metallo appena forgiato e temprato ma ancora da rifinire, ovviamente dopo che si è raffreddato. Insomma, non potrete mai descrivere le sensazioni che prova il vostro protagonista e, soprattutto, non potrete farle percepire ai vostri lettori, se non le provate prima di persona.
Scheggiate una pietra per fare una punta di lancia, piallate un’asse per farne una tavola, provate a tagliare un ciocco per far legna. Più esperienze acquisirete e più realistica sarà la vostra descrizione.
Non è necessario diventare esperti, ovviamente. A volte basta poco per cogliere una sensazione. Io non posso dire di saper cavalcare, ma sono andato a cavallo. Non sono uno scalatore, ma mi sono arrampicato: piccoli tratti, ma sufficienti a capire alcune cose, ovviamente sempre con il supporto di un esperto che mi spiegava il perché si faceva una cosa piuttosto che un’altra. Certo non basta. Nel medioevo non si andava a vela come andiamo oggi, né le carrozze del Far West erano simili ai nostri mezzi di locomozione. Potrebbero esserci esperienze che non potete più fare come si facevano nell’epoca nella quale avete ambientato il vostro romanzo. Trovare qualcosa di simile, allora. Qualcosa si trova sempre.
L’ho ripetuto molte volte, tanto da essere probabilmente diventato un mantra in questa serie di articoli: un buon scrittore non si vede solo da come scrive, ma da come si prepara a scrivere. Studiate, investigate, sperimentate, visitate, fate! Siate i vostri personaggi, incubateli dentro di voi e poi lasciateli liberi di agire nella vostra storia. Vedrete che non dovrete più pensare cosa far fare all’uno o all’altro: ogni personaggio saprà già qual è il suo ruolo e la storia fluirà dalle vostre dita quasi da sola, naturalmente.
Buon lavoro.
A cura di Dario de Judicibus