Scrivere fantasy è difficile?
Allo scorso Torino Comics ho assistito alla presentazione del racconto grafico Healing Blood, scritto da Lavinia Pinello e disegnato da Candida Corsi, edito da Dark Zone. Non ho intenzione di soffermarmi su questo libro (anche se ve lo consiglio), in realtà quello su cui intendo riflettere è la provocazione che l’autrice ha lanciato durante quella conferenza, e cioè che “tutti credono che scrivere fantasy sia facile, in realtà è difficilissimo.” È davvero così difficile?
Credo che ormai tutti quelli che mi seguono, sui social o leggendo le mie opere, conoscano già la mia opinione sul genere fantasy: il 90% delle opere di questo genere è spazzatura. Ad essere buoni. Certo, lo stesso discorso si può fare anche per altri generi, e mi si può rinfacciare di essere troppo pignolo, o esigente, o di essere cresciuto leggendo libri (non solo fantasy) di un certo livello, tuttavia la mia opinione resta quella, e ogni volta che in una libreria prendo un libro fantasy a caso dallo scaffale e ne leggo due pagine di fila, ottengo sempre una conferma. Quindi non esistono autori e romanzi fantasy di valore? Non ho detto questo. Ma sono rari. Appunto, uno su dieci. E non sto parlando del livello della prosa, o meglio, non solo, perché se è vero che la maggior parte degli scrittori fantasy ha un vocabolario di mille parole e la capacità di scrittura di un blogger, è vero anche che molti altri sono bravi. Sto parlando proprio del valore intrinseco dell’opera, e cioè del “senso” del libro. Scrittore fantasy, ma che scrivi a fare?
Quando ho sentito Lavinia Pinello dire che scrivere fantasy è difficile, ho storto un po’ il naso. Certo la frase di Lavinia era inserita in un discorso più ampio, nel quale si denunciava il mancato lavoro di ricerca e di crescita che uno scrittore dovrebbe fare prima di scrivere qualsiasi libro di qualsiasi genere, in particolar modo quando si tratta di un’opera fantasy. Sì, perché sebbene il bello del genere fantasy sia di poter costruire noi stessi il mondo nel quale ambientare la storia, di poterlo elaborare e plasmare come se fosse un personaggio o una storia, è anche vero che gli elementi che compongono il fantasy classico hanno un origine e affondano la loro genesi in tradizioni, racconti e fiabe che l’umanità tramanda da secoli. Questo non impedisce allo scrittore fantasy di inventare la propria versione della strega, ma forse varrebbe la pena che conoscesse qual è la figura della strega delle fiabe prima di crearne una versione completamente nuova. Insomma, non si approda al cubismo senza prima aver imparato a disegnare un naso in modo realistico, altrimenti quella mancanza di cultura traspare, e in qualche modo il lettore (quello più attento) la percepisce, e percepisce che l’autore ha trattato il tutto con leggerezza. E questo fa scadere la qualità dello scritto.
Una ulteriore riflessione va fatta riguardo a questa possibilità, offerta dal genere fantasy stesso, di plasmare ogni dettaglio del mondo senza alcun limite. È una risorsa, e va ben spesa. Quando Tolkien creò gli orchi (partendo da quello che gli elfi già erano nella cultura popolare) non lo fece perché aveva bisogno di una manciata di cattivi da far combattere contro i buoni. Questo, purtroppo, è il modo in cui vengono generati la maggior parte degli elementi nei libri fantasy che mi capitano fra le mani, ed è tristissimo. Ogni elemento del fantasy di Tolkien ha una componente metaforica che si rapporta all’umanità e ai suoi comportamenti: quando Tolkien parla degli orchi, ci parla di un lato dell’umanità che vuole mettere in cattiva luce. Quanti scrittori fantasy ho sentito parlare dei propri elfi, nani, orchi (e via dicendo) come se fossero elementi da usare a uso e consumo dell’autore, per soddisfare la sua voglia di raccontare una storia, senza scopo? Quanti autori di fantasy ho visto dare il nome ai fiumi e alle montagne, ai laghi e alle popolazioni, e speculare sulla fantapolitica dei loro regni e sui mostri che infestano i boschi incantati, senza chiedersi: ma questo mostro qui, cosa significa? Che senso ha? Cosa voglio dire con tutto questo?
Scrivere fantasy quindi non è facile, è vero, ma nel senso che scrivere fantasy “di valore” non è facile. Scrivere racconti di elfi, magia e draghi è una boiata. È talmente una boiata che nella logorrea dettata dalla propria egocentrica voglia di raccontare storie, la maggior parte degli scrittori fantasy produce direttamente non libri ma trilogie, saghe intere. Duemila pagine di scritto per dire cosa? L’eterna lotta tra i bene e il male? Che l’amicizia e l’amore sono importanti? Che il destino è nelle nostre mani? Banalità al servizio di lettori banali. Scrivere fantasy di valore, al contrario, è difficilissimo, perché nella sua natura di universo fantastico che si plasma sulla base delle intenzioni narrative dell’autore, il fantasy è una sorta di cartina tornasole di ciò che lo scrittore ha di importante da dire, e se non ha nulla da dire, noi lettori attenti di fantasy ce ne accorgeremo.
A cura di Luigi Bigio Cecchi