Je suis sociale
Dopo quanto successo a Parigi è difficile riuscire a scrivere di determinate tematiche senza generare un qualche tipo di polemica, ma ci sono dei meccanismi che forse è bene conoscere per poter essere consapevoli delle proprie azioni. Continuando il discorso iniziato nel post precedente, quando parlavo di riprova sociale, vi domando: avete mai sentito del Bandwagon Effect (o effetto carrozzone o “salire sul carro dei vincitori”)? Ormai questa rubrica sembra diventato un concorso a premi e so che quei pochi che mi leggono mi odiano profondamente. Sto parlando del principio di associazione.
Il concetto è semplice, come esseri umani (un giorno mi piacerebbe essere vulcaniano ma credo che questo non sarà mai possibile) siamo propensi a fare associazioni involontarie. Si tratta di una risposta automatica che le persone hanno da sempre verso le cose che percepiscono come tra loro collegate.
Per spiegarvi cosa intendo vi faccio un esempio: tempo fa leggevo di un’intervista di un meteorologo televisivo che raccontava di un problema comune nel suo settore, ossia che lui e i suoi colleghi vengono spesso minacciati o addirittura aggrediti dalle persone più impensabili, le quali li incolpano della pioggia, della neve e della grandine. In poche parole le persone associano alla figura del meteorologo le notizie che vengono date al punto da farlo diventare responsabile delle condizioni meteo (come diceva Shakespeare “La natura delle cattive notizie contagia chi le dà”). Questo capita anche, e soprattutto, con le associazioni positive e sono i professionisti del marketing che ci spiegano come funziona, cercando sistematicamente di collegare i loro prodotti alle cose che ci piacciono di più. Così, le belle ragazze compaiono ovunque per prestare al prodotto i propri tratti positivi, bellezza e desiderabilità.
So che può sembrare maschilista, ma purtroppo questo tipo di associazione esiste (e si vede spesso nelle fiere, vedete EICMA 2015) ed è stato dimostrato da numerose ricerche scientifiche (per gli anglofoni, aggiungo il link a questa tesi di laurea dove trovate anche una lunga bibliografia), che mostrano come gli esseri umani vengono influenzati a loro insaputa “forzando” determinati tipi di associazioni (tipicamente, alla fine dell’esperimento, la maggior parte dei partecipanti negava di essere stata influenzata). Il principio di associazione funziona così bene e in maniera così inconsapevole che l’industria collega spesso i prodotti con le mode culturali in corso. Così succede che durante le Olimpiadi o i Mondiali o altre iniziative del genere, veniamo informati continuamente su quali sono i prodotti “ufficiali” in dotazione alla nostra nazionale.
Ma questo principio si vede anche nella società dove molti comportamenti, apparentemente strani, si spiegano col fatto che la gente comprende perfettamente il principio di associazione (anche se spesso lo nega) da sforzarsi in tutti i modi di associarsi ad eventi positivi e prendere le distanze da quelli negativi, anche se non è stata la causa né di questi né di quelli (avete mai provato a dare una cattiva notizia? È difficilissimo). Ed ecco che arriviamo al punto, al fenomeno di questi ultimi giorni, dove sui social network ognuno sta prendendo le distanze o esprime la propria vicinanza ai fatti avvenuti a Parigi (condizionati anche dagli stessi social, come Facebook che con messaggi subliminali, suggerisce di modificare la propria foto profilo).
Ho visto ogni genere di post, dalla persona che esprimeva dolore, alle foto di Parigi, alle bandiere, ai commenti ai fatti, fino a dei veri e propri “spiegoni” (trattasi di spiegazioni lunghe e noiose per motivare azioni o opinioni), senza dimenticare gli attacchi politici, l’incitamento all’odio e così via. Non voglio entrare nel dettaglio e non voglio essere polemico, ma dal mio punto di vista ho assistito alla fiera del “principio di associazione”.
Se siete curiosi, vi invito a rivedere molti post pubblicati nel weekend tra il 13 e il 15 Novembre, magari a mente fredda, e ad analizzarli secondo questo nuovo punto di vista. Ad ognuno le sue conclusioni.
Vi lascio con una frase tratta dal libro “La fine è il mio inizio” di Tiziano Terzani (di cui vi invito a leggere anche “Lettere contro la guerra” come risposta ai fatti successi recentemente) in cui diceva che “Bisogna capire cosa c’è dietro i fatti per poterli rappresentare. La fotografia – clic! – quella la sanno fare tutti.”, lo stesso principio secondo me si può applicare nel 2015 con i post pubblicati social network.