Non ti sto aspettando – ovvero: degli editori e del peccato originale
Miriadi di aspiranti autori preparano progetti da sottoporre alle case editrici. Molti meno sono gli aspiranti editori, che preparano libri da sottoporre ai lettori. E verranno travolti da miriadi di proposte dei primi. Stefano Bonfanti, che ne fa parte, sospetta di scontare i postumi di una qualche sorta di peccato originale.
Forse solo pensando che i libri crescano sugli alberi nel cortile delle librerie possiamo non renderci conto di quanto variegato sia il panorama editoriale, in un Paese in cui escono centocinquanta libri al giorno. Ma vi garantisco che di editori ve ne sono di tutte le fatte e di tutte le stazze.
Dall’enorme gruppo editoriale che cambia le regole del mercato con una zampata, al primo improvvisato che stampa su digitale le copie giuste giuste da vendersi all’autore in cambio delle sue prestazioni e del suo denaro. E pur scartando i balordi, resta il fatto che non c’è un limite minimo alla struttura di una casa editrice, che a volte si regge sulle spalle di un singolo e cammina coi suoi sogni e i suoi umori.
Ciò detto, per chi – come il sottoscritto – si consola col “piccolo è bello” e fa da one-man-band pur di portare ogni anno una decina di fumetti suoi e dei suoi fidati autori sugli scaffali delle librerie, suona alquanto buffo ricevere e-mail indirizzate al responsabile della selezione candidati presso l’ufficio risorse umane, da parte di laureati in filologia moderna che si candidano come segretario di edizione, proof-reader e correttore di bozze o più banalmente come editor.
Ma come biasimarli? Pensando alla posizione lavorativa dei tuoi sogni, sarebbe straordinario se fosse in un’azienda che paga lo stipendio a una squadra di dipendenti affinché si occupino di cercare… proprio te.
E, hai visto mai fosse proprio questo il caso, tanto vale darsi un tono in quel modo.
Poi è chiaro, ognuno tira l’acqua al suo mulino pur di portare a casa il pane. Chiunque offra beni o servizi vorrebbe essere il fornitore di tutto il resto del mondo, e la valanga di biglietti da visita di tipografie (che ormai forniscono servizi pressoché indifferenziati) da noi ricevuti nelle fiere del settore ne è la prova.
Il sottinsieme di chi vorrebbe fornire se stesso è ancor più motivato: in un’Italia in cui trovare lavoro – o meglio: un posto di lavoro – è un’impresa tragicomica, mitragliare indiscriminatamente di curriculum a destra e a manca è solo il secondo step quando il cherry picking iniziale non ha portato a niente.
Tutto questo non solo senza che alcuno abbia mai affisso un cartello “cercasi personale”, ma neanche abbia dato il sospetto di averne mai l’esigenza: per essere il tuo potenziale datore di lavoro, basta esistere. Altro non c’è da sapere.
Secondo certe dottrine, saremmo tutti corresponsabili del peccato di Eva per il semplice fatto di essere venuti al mondo. Le lingue più affilate parlano di una malattia immaginaria creata per vendere una cura immaginaria e sorvoliamo su quanto l’analogia possa calzare con una concezione del lavoro che ci viene instillata sin dalla nascita nel nostro Bel Paese.
Ma intendiamoci: nessuno si lamenta delle candidature spontanee, tanto di collaboratori, fornitori, organizzatori di eventi et similia, quanto piuttosto del loro colpire indiscriminato, senza sapere chi sei, cosa fai e di cosa hai bisogno. Un’ode all’offerta mirata? Può darsi, ma stiamo anche attenti a non cadere dall’altra parte del cavallo.
Oramai ho una risposta da copiaincollare per ognuna delle N e-mail in cui mi si chiede in che modo proporre un progetto alla nostra casa editrice. In realtà, la nostra formula editoriale, il nostro modus operandi e il tipo di prodotti che proporremmo si basa su una nostra scelta spontanea, quando non anche di titoli studiati assieme agli autori, quindi le candidature spontanee potrebbero pure non avere spazio.
Ma “nessuno nasce imparato” e, hai visto mai, potremmo anche fare di necessità virtù, sperando nel caso strano in cui il progetto vincente provenga da un autore che ha bisogno di spingerlo direttamente nella casella e-mail di un editore, quando sul web ci potrebbero essere fior di vetrine.
Aprire una sezione del sito per la sottomissione di progetti nutrirebbe false speranze, ma di contro un “no” secco e preventivo non sarebbe nell’interesse di nessuno.
Pertanto ci limitiamo a essere chiari sul tipo di progetti che possiamo prendere in considerazione: sono dati oggettivi e, per quanto facilmente estrapolabili da una proposta commerciale omogenea come la nostra, spendere due parole per descriverlo è il minimo della cortesia.
A quel punto, sei tu candidato ad applicare la scrematura: se il tuo progetto è idoneo, procedi pure, se non lo è, astieniti.
E qui giungiamo a quell’offerta mirata di cui sopra. Ultimamente sono più volte incappato nel fuoco di sbarramento di candidati che mi tempestavano di domande su ogni dettaglio utile per proporre il Progetto Perfetto. Sembrava che, a ogni risposta da me data, si svelasse sempre più loro l’infallibile formula segreta per farsi pubblicare. Manuale delle istruzioni: seguile passo per passo e il risultato è assicurato!
Tapino me a non rendermene conto in tempo: spinto dalla cortesia, sono stato dovizioso di dettagli, salvo vedermi arrivare qualche tempo dopo un progetto sviluppato appositamente per noi.
Potrebbe essere tutto di lode per la professionalità e la dedizione del candidato, ma come trascurare quella coltre di aspettative che ammanta la proposta?
E infatti, per quanto l’accordo neanche troppo implicito fosse “ricontattiamo solo se interessati”, non manca l’e-mail di sollecito qualche tempo dopo, con punte di vago vittimismo per non aver preso in considerazione il Progetto Perfetto.
Per uno naturalmente incline al senso di colpa come il sottoscritto, che ha passato mezza vita a sentirsi puntato addosso un Sacro Indice dal cielo, è piuttosto inevitabile sentirsi corresponsabile di questo gioco di illusione e delusione verso una giovane promessa dell’Arte. E con tutte le grane che mi trovo costantemente ad affrontare, ci manca soltanto il bonus non richiesto.
L’apprendimento sul campo, dunque, non finisce mai. Adesso il nuovo protocollo è tagliar corto: caro candidato, fa molto piacere che ti preoccupi di darci la scarpa per il nostro piede, anche se non siamo scalzi. Qui si producono libri e non carriere editoriali. Vuoi calibrare il tiro? Bene, quanto fatto è tutto sugli scaffali: quella è la nostra missione.
Serviti pure e fai le tue scelte, io poi farò le mie.
Sarò lieto se nella mia casella potrà arrivare dal niente il Progetto Perfetto, col quale diventeremo entrambi ricchi e famosi. Ma prenditi il tuo tempo: io non ti sto aspettando.