Tutti nel fiume! Ovvero: non è bello ciò che è bello, figuriamoci tutto il resto.
Il “bandwagoning” è quella sorta di fallacia logica alla base del vecchio detto di ogni nonna o zia giudiziosa: “ma se i tuoi amici si gettassero nel fiume, ti getteresti anche tu?” …quando le stesse nonne o zie, magari, si sarebbero gettate in ben altri fiumi per il semplice fatto che orde di nonne e zie precedenti a loro lo hanno già fatto. Il consiglio di Stefano Bonfanti, editore, fumettista e iconoclasta per professione, è dunque questo: trattenete il respiro e… tutti nel fiume!
“Un canadair pieno di benzina, ecco cosa”.
Traspariva una certa ferocia dal tono apparentemente pacato della segretaria, mentre l’eco dei suoi tacchi riecheggiava nel corridoio.
In effetti, dov’eravamo, si percepiva una sorta di ovattata distanza dal caos che stava accadendo pochi metri più sotto. Corridoi dell’Area Pro nel festival del fumetto più importante d’Italia e secondo al mondo… sì, proprio quello lì.
“Ma poi cosa saranno mai? Io lo chiedo ai miei figli: «cosa fanno questi YouTubers?» e loro non mi sanno dire altro che «ma mamma, sono famosi!» – «Sì, ma COSA fanno?» – «Guadagnano un sacco di soldi!» – «Sì, MA COSA FANNO?»”
L’aplomb della donna in tailleur mi sembrava incrinarsi ogni secondo che passava, mentre il suo gesticolare era sempre più convulso e il suo tono sempre più simile al ruggito di un felino di grossa taglia.
Quasi avevo la tentazione di ricordarle, con un filo di voce, che apprezzavo la sua schiettezza, ma ero lì giusto per fare una fotocopia e non per programmare genocidi.
Ora, la tentazione un po’ l’avevo avuta quando, pochi minuti prima, per entrare negli uffici avevo dovuto attraversare una piazza affollata con una densità di teenager al metro quadro pari neanche alle più sperticate stime di affluenza nelle manifestazioni, prima che vengano ridimensionate dalla Questura.
In effetti, se sei in prima linea a coordinare uno stand di dieci metri lineari, costantemente assalito da centinaia di persone per volta, i minuti sono preziosi e farsi largo piantando gomiti nelle innocenti costole di quelle che avrebbero potuto essere venti scolaresche assieme, può dare un po’ di malanimo.
Ma alla fine la muraglia umana era stata superata – non senza difficoltà – e potevo anche stoicamente dimenticare. La segretaria invece non si capacitava del perché tutte quelle giovani anime fossero accalcate lì fuori o in piedi su piloni e sellini di biciclette. Come mai, il fatto che qualche non meglio precisato YouTuber stesse per arrivare nella sala incontri, fungeva così tanto da magnete umano?
Fotocopia fatta e segretaria salutata, ho riattraversato la muraglia umana in senso opposto, tirando dritto in una selva di colli estesi all’inverosimile per scrutare se le celebrità del tubo fossero già comparse a poche decine di metri. L’immagine del canadair mortifero mi continuava a inquietare, vuoi perché comunque sono stato teenager anch’io, vuoi perché non sono per le soluzioni troppo selettive: a quel punto, o stermini l’intera razza umana, o lasci correre.
In effetti, i teenager sono la versione un po’ più plateale e un po’ meno sofisticata di ciò che accade un po’ in tutti gli homo sapiens del pianeta. Livello base di un qualche corso di antropologia, prima di passare alla versione in cui si inizia a mantenere un cordiale sorriso anche quando si affondano i pugnali fra le scapole altrui.
E poi, va detto, il fenomeno “YouTuber” stesso è a sua volta un caso di scuola, forse perché la sua repentina comparsa nella nostra quotidianità ci ha impedito di assuefarci tanto rapidamente al suo concetto.
Ma, diciamocelo, alla fin fine è sempre la stessa solfa: parte della natura umana è evitare il lavoro pesante, quando c’è qualcun altro che può farlo al posto tuo. E nella fattispecie, il lavoro pesante è l’esercizio di un proprio, autonomo, giudizio critico.
Ricordo i modelli più basilari della microeconomia del primo anno di università: gli individui avevano preferenze così ben delineate che potevano in ogni momento dichiararti il saggio marginale di sostituzione fra cipolle e carote: “una cipolla in più in cambio di due carote in meno e sono felice uguale”. Ma la realtà è ben altra. Le preferenze mutano a ogni battito del cuore, la disponibilità dei beni fluttua in base a miriadi di fattori così lontani che il famoso effetto farfalla è all’ordine del giorno.
Al netto di tutti gli ortaggi: nessuno sa, né può sapere, quello che realmente vuole. Né cosa, nello specifico, gli apporterà quel quid di benessere in più rispetto al non averlo.
Vagliare tutte le possibilità immaginabili fa esplodere il cervello ed è per questo che sono naturali le scorciatoie. Un po’ come una scimmia affamata che si arrovella sul mangiarsi o meno una determinata bacca, hai visto mai fosse velenosa: arriva una seconda scimmia che, disinvoltamente, se ne pappa una e il dilemma è risolto. La mangio anch’io.
Quindi, lasciamo perdere quella storia dell’uomo come essere evoluto e ricordiamoci quanti (pochi) anelli ci separano dai nostri antenati primati.
Tornando strettamente al nostro ambito: posso, in ogni momento, avere un’idea chiara di tutta quella che è l’offerta di intrattenimento del pianeta? No. Ma proprio no. Un “no” ben lungi da una qualsiasi approssimazione di “sì”.
Ogni giorno si alza un creativo e sa di voler realizzare quell’opera che verrà conosciuta e apprezzata dal resto della popolazione mondiale. Ogni sera un creativo appende i suoi strumenti al chiodo e decide di andare a lavorare in banca.
Quante rock band “indie” vogliono lanciare il prossimo successo discografico? Quanti romanzieri della domenica vogliono diventare il prossimo Dan Brown? E quale strabordante percentuale di lettori di fumetti si improvvisa in qualche modo emule dei suoi autori preferiti per definirsi loro “collega” in men che non si dica?
Eppure, l’Olimpo di chi è veramente al di là della barricata è relativamente poco numeroso. Davvero l’offerta artistica è così soggetta a una dicotomia tanto netta?
In realtà, se la scarsa qualità di un’opera equivale alla velenosità di quella famosa bacca, il mondo è pieno di bacche buone che nessuno ha il coraggio di assaggiare; di contro, una miriade di scimmie intossicate continua a far proseliti con l’emulazione della sua voracità. Se ci mettiamo in mezzo anche la soggettività di valutazione (che, a torto, a volte vorrebbe mettere in discussione anche le più minime regole di base della produzione artistica), viene pure a mancare quel minimo di riferimento oggettivo che separa le scimmie vive da quelle che tirano le cuoia.
Va da sé che, in questo quadro, è ben più che ordinario seguire la marea, anche per il più fine degli intenditori. La vox populi diviene un dittatore spietato che decide chi sì e chi no, cosa si fa e cosa non si fa, cosa esiste e cosa è condannato all’oblio.
Attenzione: non sto dicendo che ciò che va per la maggiore è automaticamente un bluff, tutt’altro. Solo che la polarizzazione di giudizio è così imperante che si perde ogni senso di “scala di preferenze”, mentre si separa con una trincea il bene dal male.
Siamo italiani? Ok: un unico sport nazionale. Usa le mani al posto dei piedi e smetti di esistere.
Il cinema o riempie le sale o fa dei flop. La musica o è in alta rotazione, o la ascoltano solo quei tuoi amici alternativi che mettono quasi diffidenza.
A volte, dopo uno scambio di mezzi discorsi, puoi trovare quell’anima gemella con la quale esterni un giudizio liberatorio come quello che fa avere i 92 minuti di applausi al Rag. Fantozzi.
Cinque minuti di complice iconoclastia ma poi va a finire che entrambi vi nascondete agli occhi dei più, pensando alla triste sorte del Dottor Muccino da Malibù.
I corollari di questo teorema sono migliaia. Personalmente, ad esempio, mi chiedo come mai in quella kermesse fumettistica di cui all’inizio, godo di uno status appena sotto a quello della celebrità, mentre se vado in qualche grande libreria durante il resto dell’anno mi ritengo fortunato se i miei fumetti sono riposti di costola in uno scaffale stipato nell’angolino più estremo.
Gente che, a maggio, mi dice “è uscito il nuovo fumetto? Che bello! A Lucca lo compro!” mi fa pensare che ci sia un gusto perverso nel diventare appassionato di fumetti per solo quattro giorni all’anno solo perché altri duecentomila come te fanno la stessa cosa.
O ancora, si pensi all’interdisciplinarità delle star, emerse in un ambito ed assurte al ruolo di artisti a trecentosessanta gradi. Il calciatore che scrive il libro, lo scrittore che fa cabaret, il cantante che gioca a calcio, il comico che fa… beh, un po’ di tutto.
Si direbbe che qualche divinità abbia raccolto i tuoi punti esperienza e te li abbia restituiti sotto forma di doti sovrumane in tutto l’ambito dello scibile. Ma, più semplicemente, sei diventato quella bacca che ogni scimmia mangia a prescindere dalle tue tossine.
Colpa di qualcuno? Tua certo no: sei quello zerovirgola percento di creativi che si alza la mattina e la sera s’innalza sulle ali dorate del fattore C, per aver meritoriamente raggiunto la tua bella fetta di scimmie. Colpa del tuo produttore-barra-editore-barra-manager? Macché. Lui ha giusto il fiuto per gli affari ed ha annusato per tempo la tua attrattiva verso le scimmie. E magari tutti i suoi colleghi stanno cercando di soffiarti a lui offrendoti collaborazioni in ambiti nei quali fino ad allora saresti stato visto come una sorta di eretico. Colpa delle scimmie? Ma se l’ho detto prima che pensare esclusivamente col proprio cervello è una fatica insormontabile per i più!
No, cercare la “colpa” qui è un po’ come chiedersi se due protagonisti di un porno si amano veramente.
In tutto questo panorama sufficientemente sconfortante, ci sono anche le frustrazioni accessorie. Sarebbe infatti consolatorio se il popolo bue premiasse solo opere di scarsa qualità: a quel punto, l’alibi della scarsa media intellettiva ti renderebbe automaticamente una rara prelibatezza che i palati ruvidi non sanno apprezzare.
Il problema è quando il tuo benchmark è oggettivamente qualitativo e diventi tu il rosicone se denunci certi comportamenti paradossali. Aspetto che mi ha reso pressoché inconfessabile un aneddoto di eoni fa, quando esponevo a una fierucola i miei fumetti assieme al variegato assortimento di una fumetteria amica.
Una ragazza si mise a sfogliare uno dei nostri albi e a ridacchiare. Sfogliava e rideva. Ancora e ancora. Nella mia mente da esordiente rampante, pregustavo il momento in cui sarebbe passata all’azione, decidendo di comprare.
Mano al portafogli e… acquista un volume di Rat-Man, appena prelevato dal banco.
Sbigottito, non posso fare a meno di chiederle “ma quello non ti interessava?” indicando il mio. E lei: “Sì ma… non lo conosco!”
Ora. Adoro Rat-Man e da tempo ho messo il Leo nella schiera dei maestri ma… confesso che mi morsi la lingua per non riferire alla signorina il parallelismo che mi ronzava nella testa. Mi sembrava infatti che avesse passato il suo tempo a concupire uno sconosciuto per poi sfogare i suoi istinti belluini in un ordinario amplesso col marito.
A quel punto, infatti, si trascende dall’apprezzamento. A quel punto è fedeltà.
Se lo confesso adesso è perché spero di essere fuori da ogni sospetto: solo da completi esordienti si può sperare di competere coi Maestri. Poi ti accorgi del tuo peso nella grande economia delle cose e ti accorgi del girone in cui stai giocando. In quindici anni di trincea, ho capito perfettamente che poche scimmie si bullano di mangiare le mie bacche. Si siano evolute un po’ troppo?
E poi va detto: nel caso, la ragazza in questione aveva un gran bel pezzo di marito.
Metaforicamente parlando, è chiaro.