Il dinosauro bipolare (ovvero: si stava peggio quando si stava peggio?)
Ne hanno parlato in molti, chi ad affilar le lame, chi a spezzare lance. E poi arriva Stefano Bonfanti dei Dentiblù, la cui carriera è passata d’un tratto da “esordiente all’arrembaggio” alla “vecchia gloria della generazione passata” senza mai transitare dalla fase “fumettista celebre e di successo”, a voler dare i suoi two cents. Sempre il solito spilorcio.
Roma, da qualche parte sulla linea Tiburtina-Fiumicino.
Tre adolescenti seduti vicino a me, che discutevano animatamente ma senza mai staccare i polpastrelli dagli schermi touch dei loro smartphone, sembravano l’espediente narrativo di un qualche sceneggiatore che, nel giro di pochi secondi, vuol dirti tutto sul contesto del film che sta iniziando. Li chiameremo convenzionalmente Qui Quo Qua.
Il film in questione si chiama Romix. Sì sì, avete letto bene. Romix.
Esordisce Qui, leggendo il messaggio di qualche amico che dava loro appuntamento alla fiera di fumetti più frequentata della capitale, sbottando: “Ecco, lo ha scritto con la X. Odio la gente che scrive «Romics» con la X!”
L’amico Quo, invece, denota una competenza in materia di gestione-eventi-con-YouTubers ben superiore a quella che lascerebbe intendere il suo aspetto imberbe e la sua voce ancora bianca. Sicuramente una competenza superiore alla mia, giurassico fumettista che ha tutto tranne il problema di tenere un profilo basso. Eppure decine di migliaia di persone si stanno riversando nei cinque padiglioni di una manifestazione che, senza X, si intitolerebbe alla Nona Arte. Se lo sceneggiatore di cui sopra fosse alle prime armi, niente lo fermerebbe dalla tentazione di scrivere una scena in cui, qualcuno che lavora nel mondo del fumetto da una quindicina di anni, su uno stipatissimo treno diretto verso una manifestazione di fumetti frequentata da centocinquantamila persone, venisse fermato da qualcuno che lo riconosce.
Chiaro, la nostra professione manda allo sbaraglio i nostri alter ego disegnati e quindi le nostre facce hanno il beneficio di restare per lo più anonime, se non per i più ferventi seguaci. Ma se è vero che anche un grande come il buon Leo dichiara di poter girare semi-indisturbato nella sua Parma, va detto che pure a un minuscolo come me, nei pressi di una convention del settore, capita spesso di notare sguardi ammiccanti se non venire direttamente interpellato da lettori, simpatizzanti o curiosi. No no, niente di tutto ciò.
Però non è per questo che lo sceneggiatore misterioso denota il buon mestiere di evitare di scadere nei cliches più beceri.
Il loquace Quo prosegue sui punti di forza e sui punti deboli di un evento che vedesse protagonista qualcuno che convenzionalmente chiameremo Favij, mentre Qua ascolta silenzioso e Qui continua a messaggiare con gli storpiatori di nomi. Intanto, un gruppetto di modenesi (mi fingo di orecchio fino, poi l’accento poteva essere anche di Sassuolo o di Carpi. O di Lambrate. Chi può dirlo…) si affianca in piedi nel corridoio.
In quella mezz’ora, solo captando parte delle loro conversazioni, mi sono preso un master sulla massimizzazione dei followers del tuo canale YouTube, dalle tematiche alle modalità di sponsorizzazione e spamming. La mia autostima di giurassico è scesa a livelli di cretaceo, un po’ come si sentirebbe uno studioso di aramaico antico in un raduno di fan di Fedez.
Ma ecco che – finalmente – arriviamo alla stazione. Una passerella così stipata che a confronto le sardine in scatola sono a rischio di agorafobia, spingeva molti ad attraversare – come variante – uno squarcio in una rete metallica, attraversare un fosso e scavalcare una recinzione. Io, da bravo dinosauro, avevo le articolazioni inette a farlo (o forse era quel senso di contegno che sorge a una certa età) e sicché mi sono beccato la sorte della sardina, sempre attento a non beccarmi uno spadone in un occhio o amenità del genere.
Arrivato finalmente dalla mia ciurma, già da quattro giorni a sorbirsi la vita di fiera al nostro stand, trovo finalmente un contesto più familiare, fatto di nuvolette, copertine ed eroi disegnati. Ma l’illusione dura il tempo prima di sgranchirsi e fare un giro. Ovvio che il colpo di scena non è la forte presenza di cosplayers o la preponderanza di chi è lì per gli YouTubers: già era stato preannunciato tutto nel preambolo di Qui Quo Qua e se scoprissi in tal modo l’acqua calda, sarebbe come se, ne I Soliti Sospetti, Keyser Söze andasse in giro col nome tatuato in fronte o come se, in Star Wars, Luke Skywalker richiedesse uno stato di famiglia nei primi cinque minuti di film.
Lo so che di cinque padiglioni, solo uno è destinato ai fumetti come da tempi immemori. Quindi, buono buono, resterò nel mio e cercherò il contatto umano con gli addetti ai lavori del nostro adorato ghetto, senza varcare le soglie del padiglione.
Ma pur restandoci dentro, già sui banchi degli stand vicini al nostro si vedono le prime spade e i primi corsetti. Seguono la pasticceria siciliana, i dolciumi giapponesi e le caramelle. Magliette a non finire, ramen, waffel e cappellini.
Siamo ancora sulla scoperta dell’acqua calda? Beh, un po’ sì, ma credo che stavolta il nodo sia nella misura. Un po’ come se la scoprissimo bollire a 200°C, con buona pace della ben nota temperatura di ebollizione.
Ma il punto in realtà è un altro. Il punto è che, in un mondo avvezzo a schierarsi fra colpevolisti e innocentisti, complottisti e debunker, paladini dell’Ice Bucket e detrattori o quant’altro, io non ho capito ancora come la penso.
La reazione più tipica per chi è del settore è inorridirsi per l’imbarbarimento a cui è progressivamente sottoposto il fumetto sin da quando la funesta dicitura “and games” fece la sua comparsa ormai eoni fa. Ma, ben si sa, ubi maior minor cessat e il famigerato “and games” iniziò a essere filtrato, quando invece l’idiosincrasia si spostò sul fenomeno cosplay e sul relativo indotto di fotografi della domenica. Adesso anche qualche duro e puro era sceso a patti, dichiarandoli benvenuti in contesti ben più da puristi del fumetto. Chissà, magari un domani sopraggiungerà una qualche nuova categoria di pietre dello scandalo e nel frattempo gli YouTubers saranno stati metabolizzati, per quanto indigestamente. A quel punto, se tanto mi dà tanto, anche a loro verrà dato il benvenuto, nella lotta al nuovo misterioso invasore.
Io, iconoclasta e bastian contrario per natura, credo che dovrei schierarmi sul fronte opposto a quello tipico dell’intellighenzia ed affermare che, finché riesce a togliere la gente dagli stadi o dal torpore dei divani, per farla anche solo passare disinteressata davanti ai nostri libri, ben venga un festival della cultura pop a trecentosessanta gradi. In una nazione con un altissimo tasso di analfabetismo di ritorno, anche la serendipità può essere un toccasana per gli editori.
Dovrei dir questo, lo so.
Ma, chissà perché, zigzagando in quella congerie di prodotti eterogenei, proprio mi resta difficile.
Penso a chi fa le vacanze in montagna e, se piove, si lamenta perché non sa che fare, mentre se c’è il sole si lamenta che non vengono funghi né mirtilli. Il fumetto da solo non tira pubblico, mentre nei festival di pubblico viene soverchiato dagli altri fenomeni.
E da lì la più annosa delle questioni: meglio una fetta grande di una torta piccola o una fetta piccola di una torta grande?
Il saggio dovrebbe riuscire a non prendere posizioni pregiudiziali, ben sapendo che la verità sta da qualche parte nel mezzo e viene premiato chi riesce, con sapienza ed arguzia, a trarre vantaggio da ogni cambiamento, senza arroccarsi sul “si stava meglio quando si stava peggio”.
Io invece non sono saggio. Io al più sono bipolare.
Quel che è certo è che la X tanto invisa a Qui, il suo senso ce l’ha. Se il calembour originario fondeva “Roma” a “comics”, gli ingredienti adesso sono talmente tanti che quel “mix” è ben più consono a quanto ci troviamo davanti. E di pari passo con la crescita del pout-pourri, c’è stata l’esplosione del pubblico. Attenzione, però. Neologismi a parte, non è la sola Città Eterna ad essere teatro di un tale meltin’ pot: il fenomeno è vasto e globale. E se mi posso azzardare, è un mix evidentemente del tutto destinato a rimanere.
Sicuramente nella testa di un dinosauro bipolare come me.
Spero solo di non estinguermi nel frattempo.