Confessioni di un sincero bugiardo.
Inventarsi storie. Stesso hobby tanto del fumettista quanto del bugiardo. Stefano Bonfanti, praticante più sulla prima che sulla seconda, confessa sinceramente quanto a suo avviso si somiglino le due categorie.
O forse vi dice una marea di menzogne. Ma se fosse così, si appella alla sospensione dell’incredulità.
“Pseudologia fantastica”. Un nome sobrio e asettico, perché dire “bugiardo patologico” si tira dietro tutte quelle accezioni immorali e antisociali che, a ragion veduta, associamo alla brutta pratica di alterare la “verità” per poterne trarre un utile.
Ma la menzogna è per forza collegata ai vantaggi che ne derivano? Fingersi maggiorenne per comperare alcolici, fingersi nullatenente per non avere creditori alla gola, fingere di lavorare per prendersi lo stipendio senza cazziatoni. Fingere “per”.
Io, cresciuto sotto vento all’odore di zolfo delle fiamme che bruciano i bugiardi per l’eternità, ho sempre avuto un grosso disagio nel “fingere per”. Non dico di essere quello che, sotto la pressione di una verità di comodo, suda e smania finché non vuota il sacco, ma se faccio tanto di conquistarmi qualcosa con la menzogna, inizio a sentire la vocina del grillo parlante che mi sussurra “vergogna… vergogna… vergogna…”. Brutto colpo per un drogato di autostima come me.
Nondimeno sono bugiardo fino al midollo.
La realtà, bella o brutta che sia, dopo un po’ mi stufa. La mia mente ha bisogno di ritmi veloci e di evoluzioni costanti, non tanto della mia vita, quanto del mondo che mi circonda.
E constatare gli aspetti di un mondo sclerotizzato nelle sue routine, nelle sue manie, nel suo inesorabile determinismo è l’apoteosi della frustrazione.
Va da sé che, un giorno l’anno in cui ho l’alibi per mentire, divento incontenibile. E i social aiutano eccome.
Vero che per ogni fenomeno sorgono immancabili le orde di “anti-”, già a dichiararsene stufi sin dalle nove di mattina, ma quella volontà di esser simpatici a ogni costo o di caccia di attenzioni che vedrebbero dietro la celebrazione del Pesce d’Aprile non è proprio il mio caso. Forse è piuttosto un retaggio dell’infanzia di cui non sono riuscito a liberarmi, ma ogni primo aprile sento l’esigenza di superare i miei standard passati e mi cimento in una vera e propria pesca a strascico nei confronti delle vittime dei miei scherzi.
L’ultima volta, solo a metà pomeriggio, un mio amico mi manda un messaggio: “ti prego, dimmi che non è un pesce…”. Capire a quale si riferisca mi mette in sincero imbarazzo, perché dalla mezzanotte precedente ho letteralmente inondato il mio account Facebook di contenuti che vanno dalla più plateale cialtroneria alla più accurata montatura, complice – non a caso – la propensione che il mio lavoro mi dà nella grafica e nel fotoritocco.
Chiedo se si riferisse al mio nuovo tatuaggio di Zannablù, alla comparsa del volto di papa Francesco in una macchia di muffa nel mio studio, al fatto che ho liberato i Marò, che sono diventato respiriano, che il mio cinghiale dalle zanne blu è diventato il protagonista di una serie televisiva a cartoni di produzione internazionale o che Obama mi abbia invitato a cena perché le sue figlie si sono innamorate dei miei fumetti.
A parte le più plateali spacconerie, ognuna di queste celie ha avuto il suo piccolo esercito di “I want to believe”, e la data di calendario ha impedito loro di odiarmi troppo per il mio sadismo nell’illudere per poi deludere.
Ironia della sorte, gli algoritmi di Facebook sono diventati tali che le smentite del due aprile non riescono a ricevere tutta la visibilità che ha avuto il post originario, tanto che molti suoi destinatari rischiano di prenderlo per buono e via. In effetti il mio grillo parlante è già lì a frinirmi nell’orecchio, e ora chi lo tiene più?
Ma tutta questa digressione è solo a conferma del destino mio e di chi ha scelto la mia professione.
Siamo bugiardi e mentiamo. Mentiamo raccontando storie, mentiamo inventandoci tutte quelle pezze d’appoggio per le quali dette storie possano restare in piedi.
Non è forse mentire la spasmodica ricerca della “sospensione dell’incredulità” di ogni sceneggiatore?
E non se ne chiamino fuori i disegnatori, che vogliono ingannare gli occhi dei lettori, mostrando loro realtà che non ci sono?
Riabilitiamo dunque piazzisti, rappresentanti e avvocati: è il mondo dell’intrattenimento a pullulare di bugiardi professionali. La nostra sola fortuna è il placet di chi in realtà vuole cadere nelle nostre menzogne.
E la nostra anima si salva, perché nessuno in realtà ci crede.
O almeno mente a sua volta, dicendo di non farlo.