Arriva Il Confine e la Bonelli sembra decisa ad oltrepassarlo fino in fondo
Il Confine, nuova epopea targata Sergio Bonelli Editore, è finalmente arrivata tra noi dopo almeno un paio d’anni di rumors, anticipazioni più o meno ghiotte e annunci ufficiali e ufficiosi. E, va detto, che ha saputo creare intorno a sé un’aspettativa spasmodica e viscerale, soprattutto per come è stato presentato.
Una serie, pubblicata all’interno dell’etichetta Audace, con al centro una sorta di mistero alla Twin Peaks (chi ha ucciso chi? Che fine ha fatto il tal del tali?) ambientato precisamente sul confine tra Italia e Francia, tra montagne non meglio specificate.
Con questo mix, la Bonelli è riuscita con Il Confine a ispirare una grande curiosità, specialmente tra le fila degli appassionati bonelliani duri e puri, non abituati a questo tipo di offerta. Anche se forse dovrebbero ormai farci l’abitudine con questo clima di novità costante che sembra aver preso residenza in Via Buonarroti 38.
La Bonelli, infatti, sta vivendo tempi pazzi. In senso buono, ovviamente. Si respira un clima di meravigliosa follia creativa, un’aria in cui per un motivo o per un altro la parola d’ordine è diventata “sperimentare”. Ed è una cosa che hanno notato un po’ tutti, dai lettori veterani delle edicole agli sbarbatelli cresciuti a pane e fumetteria.
In questo decennio abbiamo visto: Orfani, Dylan Dog e il rilancio, l’ascesa di Dragonero, Morgan Lost, lo sbarco in libreria, Mercurio Loi, l’Ultimate Tex (la serie col giovane Aquila della Notte), Monolith, l’etichetta Audace, il neonato Bonelli Universe, la futura serie tv su Dylan con James Wan, il ritorno di Mister No, il crossover tra Dylan e Batman e il prossimo film su Dampyr.
Tempi pazzi per la SBE, dicevamo. E proprio partendo dal film su Dampyr, in arrivo nel marzo 2020, facciamo un salto per parlare di Mauro Uzzeo, che di quella pellicola è anche sceneggiatore, e del Confine.
L’Audace Bonelli
Il Confine della Bonelli è forse il simbolo di questi tempi pazzi. Tempi pazzi, quando forse qualcuno direbbe direttamente eretici con tanto di cappuccio sulla testa e torcia accesa, accompagnando il suo livore ad un certo spaesamento. E non avrebbe tutti i torti, visto che quello che era teoricamente uno degli editori più conservatori d’ Italia, fondatore e prosecutore di un modello di business capace di tirare avanti per decenni senza troppi intoppi, ha deciso cambiare pelle, di aprirsi al futuro con una certa intraprendenza dando vita ai progetti più arditi, nel panorama italiano ma non solo.
Tutta questa aria nuova, però, non deve ingannare: il centro dell’intero meccanismo, il cuore della Fabbrica dei Sogni, continua a rimanere l’edicola e il modello di fumetto popolare ad esso ancorato. Basta affacciarsi un attimo sugli scaffali per rendersi conto che lì non solo la Bonelli la fa ancora da padrone, ma che prosegue a proporre ai suoi lettori un’offerta sempre ricca e soddisfacente. Solamente, data l’evoluzione costante del mercato e l’aprirsi di nuovi scenari, si è resa necessaria una prospettiva diversa e un’identità leggermente più fluida, sempre però con i piedi saldamente piantati nella tradizione.
Del resto, guardare al futuro non vuol dire dimenticare il passato, così come crescere e sviluppare nuovi rami non vuol dire trascurare le radici, anzi.
Quest’aria l’abbiamo respirata più o meno ovunque e su tutte le pubblicazioni, tradizionali e non. Perfino Tex si è profondamente rinnovato ed è arrivato a sdoppiarsi, con una serie dedicata alle sue avventure giovanili.
Tendenze nuove, energie fresche, visioni laterali e innovative hanno travolto tutti i personaggi, quelli in vita da 70 anni come quelli appena usciti. Tuttavia, per focalizzare queste correnti la Bonelli ha scelto in maniera lungimirante di creare un punto d’incontro, un ombrello capace di racchiuderle tutte. Questa casa comune è l’etichetta Audace, varata ad ottobre 2018 e che in un anno di vita ha già dato prova della sua potenza di fuoco.
Un’etichetta che, a partire dal nome, vuole essere quel guardare all’avvenire che abbiamo parlato, non a caso usando un nome vecchio (Audace era il primo marchio della Bonelli nel 1948) ma con una significato nuovo.
Voglia di fluidità
La Bonelli ha voglia di superare il confine e ha dimostrato di poterlo fare. L’etichetta Audace, facendo un paragone facile però calzante, sembra seguire le orme della fu Vertigo adattando il mix al contesto italiano, con un occhio rivolto però all’estero, oltreconfine.
L’idea è quella di produrre contenuti adulti capaci di trattare i temi più svariati, seguendo contaminazioni, suggestioni e anche più semplicemente sfruttando l’assist dato dalla contemporaneità. Questa è davvero una rivoluzione non da poco in Bonelli, perché fino a non molto tempo fa le pubblicazioni venivano sempre inserite all’interno di precise cornici di genere, anche se poi quelle stesse pubblicazioni si dimostravano poco propense a farsi ingabbiare.
Diversa, anzi diversissima, è anche la strategia di vendita di questi nuovi prodotti “audaci”. Là dove il bonelliano classico preferiva sempre e soltanto le edicole, stavolta si cerca invece di dare una corsia preferenziale alle librerie e alle fumetterie.
Sono infatti finiti i tempi in cui per superare il confine dell’edicole la Bonelli doveva appoggiarsi ad altri editori, come Mondadori e Bao Publishing. Adesso, lo spazio va a cercarselo di persona e questa volontà è perfettamente coerente con lo spirito di Audace. In libreria, infatti, il posto te lo devi cercare pubblicando tanto ma, soprattutto, cercando di proporre cose diverse, borderline, fluide.
Il concetto di fluidità, tra l’altro, è un’altra componente del DNA Audace. Per fluidità possiamo intendere una natura ibrida, di storie capaci di contenere al loro interno elementi noir, horror e romance, ma può essere intesa anche come volatilità nel senso lato, di storie fatte e pensate per non essere ancorate ad un solo medium o a un solo canale di vendita. Infatti, ecco che tutte le serie Audace finora uscite, come Deadwood Dick, Mister No, Cani Sciolti, hanno avuto una versione economica da edicola. Inoltre, attingono da varie fonti, come la letteratura, vecchi personaggi che avevano bisogno di una rinfrescata e la storia recente. Per le altre ci sarà forse un po’ d’aspettare e altre non le vedremo mai, come Senzanima, ma la visione fluida rimane.
Ma fluidità la possiamo anche intendere, come abbiamo sottolineato sopra, come capacità di passare da un medium all’altro, dal fumetto alla televisione, al cinema e ai videogiochi. Un’altra ambizione mai negata, anzi proprio annunciata con forza, dell’etichetta Audace e delle sue IP. Ed è qui che arriviamo al Confine, che di questa nuova politica della Bonelli è forse il cavallo di battaglia.
Oltre questo Confine, per la Bonelli è tutta terra straniera
Il Confine per la Bonelli nasce infatti, come tanti progetti messi in cantiere in questo pazzo decennio, per avere una prospettiva oltre quella cartacea. In particolare, per essere multimediale, per poter emigrare con facilità da un medium a un altro. Infatti se ne parla fin da subito come di una storia in lavorazione in contemporanea al suo adattamento televisivo per Lucky Red. Un’operazione dunque sulle orme di Mark Millar e il suo Millarworld dopo che Netflix ci ha messo le mani sopra, come il recente The Magic Order.
A dirla tutta, sembra fare ogni cosa per facilitare e rendere naturale questo eventuale processo, visto che il primo numero si pone già da subito come il primo episodio di una moderna serie tv su carta.
Il Confine è stata creata dal già citato Mauro Uzzeo in compagnia di Giovanni Masi, due veterani in Bonelli oltre che una coppia di autori particolarmente sensibile a quelli che sono i ritmi e i canoni delle narrazioni seriali contemporanee uniti ad una visione collegiale della scrittura. E proprio quello della collegialità è un altro aspetto distintivo del Confine, nonché in generale delle produzioni televisive.
Intendiamoci: un fumetto non è mai un lavoro di sole due persone, lo sceneggiatore e il disegnatore. Dietro c’è anche il letterista, a volte il colorista (e in America pure l’inchiostratore) e sempre una redazione e un editor, così come un romanzo non è mai solo un frutto dello scrittore ma dietro c’è anche sempre un editor, un editore, una redazione.
Queste produzioni sono da sempre collegiali, ma stavolta col Confine la Bonelli ha voluto osare attingendo ad un numero straordinario di professionisti per curare ogni singolo dettaglio.
Oltre a Masi e a Uzzeo, che firmano la sceneggiatura, nel primo volume (intitolato La neve rossa), troviamo Giuseppe Palumbo ai disegni, Federico Rossi Edrighi dietro al layout, Adele Matera ai colori, senza dimenticare la straordinaria cover di LRNZ e i compiti di regia di Emiliano Mammucari e Fabrizio Verrocchi e il lettering di Marina Sanfelice. Abbiamo anche Marco Nucci, autore di un vero e proprio backstage degno della miglior serie tv.
Quello che abbiamo dietro, dunque, è un team composto dal meglio del meglio che per questo Confine la Bonelli poteva offrire. Una troupe (se mi passate il termine) piena di professionisti al top in ogni settore di riferimento.
E, a dirla tutta, non ci sembra affatto un paragone troppo campato in aria, anche se il “pilot” è nel dettaglio abbastanza rivedibile.
Il Confine: un buon pilot finito troppo presto
L’obiettivo di questo progetto è chiaro, sia dal primo volume che da quelle che sono le mai troppo nascoste ambizioni di Uzzeo e Masi: creare qualcosa che abbia il fascino delle grandi serie post-moderne, come l’enfasi del mistero di Lost e la coralità di Twin Peaks, ma assolutamente e totalmente italiano, anzi: europeo. E si vede nelle ambientazioni, nei personaggi, nei riferimenti, nelle citazioni e nel linguaggio.
Si può dire, sotto questo aspetto, che l’esperimento è già riuscito e che La neve rossa assolve il proprio compito d’introduzione, di essere il primo assaggio di un qualcosa che pesca da tanti sapori diversi e cerca di metterli insieme interpretando una ricetta con altri ingredienti. Purtroppo, però, riesce a fare poco di più, quasi nulla.
Come primo numero, infatti, pare deficitario di troppe cose per essere davvero convincente e appagante. Risulta soprattutto corto, monco, l’intera vicenda procede un po’ troppo veloce e l’appetito del lettore viene soddisfatto solo in minima parte. Non si tratta però di quell’assaggio che stuzzica e spinge ad andare avanti, di quel primo episodio sconvolgente che ti prende, ti rapisce e poi chiude tutto con un colpo di scena tale da farti desiderare a tutti i costi il prossimo.
Probabilmente non ne ha il tempo, anzi lo spazio dovuto e il difetto è una mera questione di pagine. I pilot delle moderne serie durato sempre di più rispetto alle puntate normali, soprattutto se pensate per essere pubblicate settimanalmente e non per un binge-watching furioso. Lo abbiamo visto di recente con il Watchmen di Lindelof, ma lo vediamo in continuazione, perché si tratta di una consuetudine televisiva ormai accettata e digerita dal pubblico.
Il Confine invece da l’impressione che questo pilot sia troppo veloce: la lettura scorre rapidissima e si fatica a metabolizzare l’ambientazione, a prendere la giusta confidenza perché nel momento in cui ci sei riuscito si chiude e senza neanche un particolare plot twist. Se forse era impossibile riuscire a diluire il tempo come il pilot di Twin Peaks, che David Lynch volle lungo addirittura 94 minuti, qualcosina in più si poteva fare.
Almeno si poteva cercare di raggiungere lo standard bonelliano delle 94 pagine, che ha dimostrato più volte di essere il contenitore ideale per vicende tra loro diversissime, perfino quelle dall’impostazione più televisiva.
E risulta fastidioso specialmente perché quel poco che vediamo è assolutamente promettente. Inoltre, c’è la sensazione costante la Bonelli di questo difetto del primo numero de Il Confine ne sia consapevole, tant’è che al Lucca Comics and Games non aveva portato il “pilot” in anteprima, ma addirittura i primi tre volumi, quasi volete spinger ad un binge-watching.
A parte i già menzionati difetti sulla brevità, il primo volume del Confine dal punto di vista della resa si presenta decisamente bene. Ai disegni c’è uno come Giuseppe Palumbo, mentre l’aiuto di Federico Rossi Edrighi al layout ci restituisce delle tavole dal ritmo davvero incalzante.
I dialoghi sono ben confezionati e graffianti, così come i colori e il lettering, che opera una precisa scelta di stile optando per baloon rotondeggianti e morbidi. Si vede e si sente che questo è un lavoro che porta la firma di tante raffinate mani, così come l’aspetto grafico del volume, davvero elegante, insieme al frontespizio a doppia pagina (molto americano) e all’uso del “nel prossimo episodio”.
Purtroppo, però, per i problemi di brevità ci troviamo di fronte un primo episodio che risulta nel complesso un po’ debole, per quanto il gustoso backstage di Marco Nucci riesca a mettere una pezza sulla sensazione monca che lascia al lettore dopo la lettura.
Per questo è forse presto per dare giudizi su Il Confine, ma penso si possa già dire che quantomeno la serie targata Bonelli merita quantomeno di essere seguita perché la buona volontà di creare qualcosa di nuovo si vede.