Crows Zero: Cazzotti d’autore
Il regista giapponese Takashi Miike ha diretto più di 90 film in oltre un ventennio di attività, e in qualsiasi filone si sia mai cimentato, è sempre, o quasi, riuscito a tirare fuori dal cilindro film niente male, con pochi, pochissimi passi falsi. Oggi vi parliamo di Crows Zero (2007). Il film si può etichettare in maniera generica come “live action” tratto da un manga, vale a dire l’omonimo Crown di Hiroshi Takahashi. Ma in realtà ci troviamo di fronte a qualcosa di ben più consistente di una semplice trasposizione su celluloide di quanto visto nelle tavole del suddetto manga.
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Al centro delle vicende c’è l’istituto Suzuran, la cosiddetta scuola dei corvi. In pratica, un covo popolato dai peggiori teppisti del Giappone in cui sostanzialmente non si svolge alcuna attività didattica propriamente intesa, gli studenti si tirano banchi addosso e i professori… praticamente non si vedono mai in tutto il film. Viene da chiedersi in base a quali principi ci si diplomi alla fine dei tre anni in una scuola del genere… forse basta sopravvivere? Boh, non è importante! Il figlio di un pericoloso yakuza, Genji Takaya è il giovane protagonista di questa violenta pellicola. Arrogante e dal pugno facile, come del resto qualsiasi altro personaggio nel film, conserva però dei saldi principi morali, è un “cattivo ma non troppo” diciamo, che cerca di riuscire laddove suo padre fallì ai suoi tempi: la conquista completa della scuola Suruzan.
Per compiere tale impresa, dovrà formare una banda conquistando la fiducia degli “studenti” e a quel punto sfidare Tamao Serizawa, attuale leader della banda più pericolosa della scuola che di fatto, detiene il controllo assoluto del territorio. Lo so, raccontato cosi sembra veramente un plot di bassa lega per una giapponesata altamente rinunciabile, e invece no, Crows Zero è un’ autentica figata! Visto con la prospettiva di chi non discrimina a priori ma piuttosto può apprezzare un film d’azione tipicamente giapponese, surreale e sopra le righe, il lavoro fatto da Miike funziona sotto tutti i punti di vista.
I personaggi sono tutti caratterizzati alla grande, o meglio, sono tutti piuttosto macchiettistici ma ognuno di essi rappresenta la propria versione del “teppista rissoso tutto d’un pezzo” in modo straripante e convincente, riuscendo in qualche modo a restituire una poderosa “seriosità” che rende anche un contesto cosi poco credibile e “fumettoso”, davvero epico. In effetti il film dura la bellezza di 128 minuti, non pochissimo visto il genere, ma il tempo che si prende per creare un po’ di “spessore” attorno ai personaggi (il tutto diluito dal ritmo prolisso dei momenti “esplicativi” del film tipico del cinema nipponico) fa sicuramente parte dei meriti di questo lungometraggio e sostanzialmente lo differenzia da altri filmacci asiatici brutti che traggono ispirazione da temi e stilemi simili.
PERCHE’ VEDERLO: Perché è girato bene, perché è recitato bene, perché Miike riesce a dirigere scene di risse collettive con grande estro, perché da un plot assurdo/banale tira fuori personaggi ottimamente caratterizzati e un film altamente galvanizzante. Perché inquadrature e fotografie sono degne delle tavole di un grande mangaka. Perché i protagonisti sono tutti cazzuti, incazzati e se le danno di santa ragione con gran prepotenza senza mai però sfociare nella violenza più cruda, un compromesso che ci è davvero piaciuto e che rende la visione adatta a tutti. Infine, perché è sicuramente uno dei migliori “cine-manga” in circolazione.
A CHI È CONSIGLIATO: Sicuramente a chi ama il cinema giapponese. Molto difficilmente potrebbe piacere a chi non apprezza questo tipo di regia dai tempi un po’ anomali e da chi non riuscirebbe a mettere da parte pregiudizi sul fatto che sia possibile fare un film dall’indubbia bontà trattando temi apparentemente assurdi, come scontri tra bande di studenti rivali. È consigliato a chi quindi simpatizza per gli estremi giapponesi, chi vuole divertirsi con un bel film d’azione e banalmente, a chi ha apprezzato il manga, anche se il film gode di una dignità e identità assolutamente indipendente rispetto alla sua fonte di ispirazione.